Soffro, lo capite che soffro, patimenti che strappano le urla.
Maledetti figli di una madre detestabile,
possiate crepare, voi e vostro padre e che questa casa precipiti
in rovina…Ahi!
Perché il fulmine non mi incenerisce, perché continuo a vivere?
Come vorrei lasciare questo mondo odioso, dissolvermi nella
morte.
(Euripide - Medea)
Un altro fatto orribile, tragico, di quelli che fanno
male solo a pensarlo e ti riempiono il cuore di tristezza e pietà, è di nuovo su tutte le
testate giornalistiche.
Madre uccide la figlia di 18 mesi e poi si toglie la
vita.
Questa volta la mamma in questione è una professionista, appartiene
ad un ceto sociale agiato, ha studiato, non vive ai margini.
Eppure è sola. O pensa di esserlo.
Follia, disperazione,vendetta?
Cosa si scatena nelle mente di una donna che uccide il
proprio figlio?
Spesso si parla
di “Sindrome di Medea”. Medea è la protagonista della tragedia di Euripide, che
uccide i figli avuti da Giasone fuori dal matrimonio quando lui sta per sposare
Glauce e vuole sottrarglieli. Il giudice Creonte le concede di vederli per l’ultima
volta e lei li uccide. Lapidario il dialogo tra i due quando Giasone le chiede:
«E così allora li hai uccisi?» E Medea risponde: «Sì,
per farti soffrire».
Resnick (1969) si interroga sulle modalità
che le madri adottano per porre fine alla vita del proprio figlio restituendo
una classificazione che comprende cinque categorie di infanticidio
sottolineando come il periodo più a rischio per un minore è quello fino a sei
anni di vita e le divide in 5 categorie,
- altruistico:
in questo caso la madre spesso si suicida dopo aver ucciso il figlio malato
(suicidio allargato) per salvarlo da una vita di sofferenze. A questo
comportamento si associa la Sindrome di Beck, cioè una visione pessimistica di
sé e del proprio futuro;
- con elevata componente psicotica: la madre uccide il figlio dando ascolto ad allucinazioni che le "ordinano" di commettere il brutale gesto;
- di un bambino indesiderato: si verifica quando il figlio è nato da una relazione extraconiugale o perché la madre è troppo giovane e immatura. In questo caso i tentativi di suicidio della donna sono scarsi;
- accidentale: la madre, già abituata a picchiare il figlio, ne causa la morte a causa di un gesto impulsivo in seguito alle urla e ai pianti del bambino. La donna spesso soffre di disturbi di personalità e irritabilità. Spesso si tratta di donne che hanno subito violenza da piccole e il marito è poco partecipe ai problemi della famiglia;
- per vendetta sul coniuge.
- con elevata componente psicotica: la madre uccide il figlio dando ascolto ad allucinazioni che le "ordinano" di commettere il brutale gesto;
- di un bambino indesiderato: si verifica quando il figlio è nato da una relazione extraconiugale o perché la madre è troppo giovane e immatura. In questo caso i tentativi di suicidio della donna sono scarsi;
- accidentale: la madre, già abituata a picchiare il figlio, ne causa la morte a causa di un gesto impulsivo in seguito alle urla e ai pianti del bambino. La donna spesso soffre di disturbi di personalità e irritabilità. Spesso si tratta di donne che hanno subito violenza da piccole e il marito è poco partecipe ai problemi della famiglia;
- per vendetta sul coniuge.
Mentre Mastronardi (2006) propone un’altra
classificazione, quella delle motivazioni che portano all’infanticidio
dividendoli in due blocchi: il primo riguarda le madri che sono responsabili
penalmente e quindi imputabili ed il secondo che invece comprende le donne per
le quali sussistono cause psicopatologiche che ne compromettono parzialmente o
totalmente la capacità di intendere e di volere.
Quello che più mi colpisce, aldilà della psicologia a
buon mercato e delle singole classificazioni,di quello che posso aver letto o
studiato, penso che i motivi che possono
spingere una madre ad uccidere il proprio figlio, siano diversi e legati tra di
loro. Che alla base di una tale disperazione ci sono elementi psicologici,
sociali, relazionali e un dolore enorme, così grande da sembrare senza
soluzione. Di solito, infatti, queste tragedie avvengono a ridosso di una
perdita affettiva, di un lutto, di una separazione.
Mi chiedo cosa ci sia alla radice di un gesto tanto
estremo. Una fragilità patologica? L’assenza di amore, la non vicinanza delle
persone care? Il terrore che non si possa proteggere il proprio figlio dai mali
dell’universo e dal dolore e allora si decide di proteggerlo con la morte?
L’incapacità di chiedere aiuto?
c’è la donna che realmente ama i suoi figli ed è proprio
per salvarli dal dolore della propria
depressione che li uccide, uccidendosi poi lei stessa.
Terribili drammi che ci devono far riflettere su cosa si faccia o non si faccia
per prevenirli. http://adelaide-baldo.psicologi-psicoterapeuti.it/articoli/pdf/madri_infanticide.pdf”
C’è una
bellissima tesi di Annalisa Cavallone che parla di infanticidio-figlicidio.
Tante le ragioni
che spingono a compier un atto così atroce, tante le situazioni, le sofferenze,
magari le violenze psicologiche, le incomprensioni, gli abbandoni, le
solitudini, le miserie, tante le storie.
E’ possibile che
una persona consideri il mondo così brutto e che per amore, decida di sottrarre
il proprio figlio a tali mali, uccidendolo?O che si creda, come Meda, una madre
così orribile “detestabile” così non all’altezza del proprio compito da
preferire la sua e la morte di suo figlio, alla vita?
Sì è possibile.
E non sempre è
colpa di una malattia psichiatrica, o meglio, non solo.
E allora
dobbiamo porci alcune domande. Forse non tanto “perché lo ha fatto” ma che vita
faceva, quanto la morte della sua mamma l’abbia spinta nel baratro della
solitudine, che tipo di famiglia, amici, relazioni la circondavano, a chi ha
chiesto aiuto nel momento di difficoltà? E quanti non hanno capito/sentito e distratti
hanno guardato altrove?
Perché quella
donna, forse, era apparentemente normale, avrebbe potuto anche tenere un blog, avrebbe potuto
raccontare la sua vita senza davvero raccontarsi, avrebbe potuto benissimo essere
una di noi.
Apparentemente normale, con un comportamento ordinario,consueto, ma così angosciata dentro e così sola da non credere più ad alcun senso, neanche a
quello nuovo portato dal proprio figlio.