Per lei, mia madre.
Ti guardo.
Sei seduta sul divano con lo stile
che ti contraddistingue, sobria e regale e l’impeto di venire lì ed
accoccolarmi tra le tue braccia come un tempo, mi assale.
Non serve parlare, ti ho detto
tutto, mi hai detto tutto.
Ci siamo raccontate dei sogni che
passano insieme alle loro code; ci siamo strette a questo nodo che ci lega al
mondo, strattonate, allontanate, ritrovate.
Ho urlato nel silenzio di notti
insonni e tu mi hai sentito, io ti ho scaldato, quando tremavi.
Abbiamo vinto battaglie che non
pensavamo di combattere; hai parlato con le cose inanimate e queste hanno
vissuto di vita propria, almeno nel mio immaginario.
Ho visto, grazie alla forza della
tua fantasia, posti, persone, paesi, luoghi che solo la ricchezza della tua
inventiva poteva rappresentare in immagini visibili solo ai miei occhi.
Hai sfidato la vita, ti hanno
emozionato gli arcobaleni e l’azzurro di
diversi cieli, hai combattuto la prepotenza del più forte.
E sei qui, più bella che mai. E le
tue rughe parlano di te.
Penso che vorrei essere la madre
che tu sei stata per me.
E allora mi rivolgo a te, bambino
mio.
Vorrei che avessi occhi verdi come
lei, ciglia folte con le quali sfogliare i ricordi della vita e vorrei che
questi non volgessero mai in rimpianti.
Vorrei parlarti delle distanze, dei
dubbi e delle paure.
Incontrerai qualcuno che ti
sembrerà così simile a te, da pensare di condividere il futuro insieme, vorrei
essere lì ed abbracciarti, come ha fatto lei, quando vivrai il dolore
dell’abbandono e la sensazione di non avere più il futuro; quando imparerai a
tue spese, che le cose che ti allontanano dalle persone, spesso, sono le stesse
che ti riportano a loro, che la diversità ha spesso un potere adesivo, eppure
scoprirai la natura del dubbio e della separazione;
allora dovrai superare le
incertezze con scelte coerenti, e confermare gli impegni assunti, giorno dopo giorno,
anche quando sarai stanco anche quando fuori piove, senza contravvenire ai
patti fatti con la tua anima.
Dovrai, per forza di cose, deludere
qualcuno e sopportarne il peso, pur di non tradire te stesso, come lei, con la
sua eterna coerenza, costi quel che costi.
Non so se sarò capace di indicarti
la via da seguire, i confini entro i quali dovrai camminare, i margini del
giusto e dello sbagliato, del bianco e del nero, ma cercherò di illuminarti,
dal faro della riva, come lei fa ogni qual volta fatico ad arrivare su nuove
sponde.
Ti lascerò andare, quando vorrai
partire, quando dovrai disegnare spazi da riempire di cose nuove, ma mi
ritroverai ad aspettarti e non dormirò vicina al telefono.
Avrò paura che potrà succederti
qualcosa di brutto e cercherò di evitarlo, ma già so, che non potrò caricarmi i
tuoi dispiaceri, ne far sì che questi si rimpiccioliscano.
Starò in ansia, quando non ci
sarai.
Starò in ansia, quando non torni.
Starò in ansia ai tuoi esami.
Starò in ansia per te, proprio come
lei è in ansia per me, ma gioirò dei tuoi successi, orgogliosa e fiera.
Per anni ho pensato che il cordone
ombelicale che mi ha unito a lei per nove mesi, non sia stato mai reciso,
elastico e duttile, invisibile, eppure presente; si è adeguato alle pieghe
delle nostre vite, si è allungato superando distanze fisiche ed emotive, saldo
e forte come la roccia.
Ho paura, paura di sbagliare, di
non riuscire a renderti libero, di non essere in grado di non viziarti del mio
senso di precarietà, di darti la sicurezza che ti serve per crescere, scevro e
libero da timori e pregiudizi.
Ti guardo e mi domando se potrò mai
amare mio figlio come tu hai amato me.
Mi accoccolo tra le tue braccia, in
silenzio; tu mi accogli e la fatica della giornata trascorsa scivola via, un
bagno caldo al rientro dopo una giornata uggiosa, casa e rifugio per cuori
inquieti.
Penso che tu sia sempre stata
questo, il mio rifugio.
Mi chiedi a cosa sto pensando, ti
rispondo “a te”.
Non sai che vorrei dire a mio
figlio che vorrei essere come te, che vorrei trasmetterle quello che sei.
Vorrei che ti somigliasse, dentro e
fuori, che fosse la tua contiguità, non la mia, così potrei vederti quando, un
giorno non ci sarai.
Eppure, so che neanche la morte
potrà spezzare il nostro contatto.
Ti raggiungerò anche senza toccarti,
scovandoti, anche, in quella perdita di coscienza.
Mi spingerò a te nel sopore profondo di quel nuovo limbo.
E lo farò con caparbietà e dolcezza
con determinazione e spavento, cullandoti tra parole e racconti, esattamente
nel modo in cui tu mi calmavi nel cuore della notte quando i brutti mostri mi
entravano nella stanza turbandomi e più tardi quando l’incertezza di crescere,
minava il cuore di una bambina.
E poiché avrò ancora bisogno di te,
dovrai seguirmi, consigliarmi, badare a me, dal posto ameno in cui ti troverai,
attraverso il fascio di luce che ti avvolgerà.
Ti
raggiungerò ovunque da qui oltre le stelle, oltre la vita e oltre, superando
così la distanza che ci separerà.
Mi
hai insegnato la sensibilità, l’onestà civile e morale, l’empatia, insieme alla
capacità di soffermarsi sul mondo interiore degli altri e l’intelligenza di
capire cosa muove i cuori altrui.
Mi
hai insegnato il buon senso ed il suo contrario, la fantasia ed un mondo
popolato di magia, comunicandomi l’incanto e il disincanto insieme a grandi
ideali, accompagnati spesso dalla delusione di non poterli mettere in atto; ma
sei sempre rinata dalle tue macerie.
Vorrei
dare a mio figlio le stesse tue risorse, il piacere di ridere e occhi profondi
per vedere al di là delle cose e del mare, di quel mare che tanto ti affascina
sorprendendoti ancora con i toni dei suoi mille colori.
Non
vorrei dargli delle ali, sarà lui stesso a costruirle con il mio aiuto, ma una
grande valigia, da cui estrarre decine e decine di desideri e con questi l’abilità
di realizzarli; una grande valigia che l’accompagni per il mondo, quando
intraprenderà lunghi viaggi di andate e ritorni, colma di piccoli pezzettini di
te, piena di quello che di te, io sarò capace di trasmettergli.
Ma
non dovrà preoccuparsi il giorno che dovesse perderla in qualche aeroporto o in
qualche stazione sperduta, perché ciò
che la valigia contiene gli vivrà dentro in modo così vivace da fargli
dimenticare che i giorni hanno fini e che la bellezza passa.
Voglio
però pensare che gli avrò insegnato la capacità di ritrovare la bellezza lungo
la linea dell’orizzonte, quella sottile che separa il cielo dal mare, che
sfiora tutte le sere la luna in fuga, fino alle stelle ed oltre. Lì saranno ad
aspettarlo le persone che sono partite prima di noi.