Lo ammetto. I selfie mi sconcertano. Non dico che
non mi sia mai capitato di postare foto per il semplice gusto di imprimere un
ricordo, anzi, l’autoscatto ha un suo perché. La fotografia è la scrittura
della luce e come tutte le scritture, anche quest’arte, soggiace alla lettura e
al giudizio dell’altro. Ma il selfie è altra cosa. Questa smaniosa frenesia di
condividere la propria immagine impressa in azioni ovvie o normali, e in pose
artefatte, che niente hanno a che vedere con il “cogli l’attimo” indebolisce la
mia fiducia nel genere umano, che è già molto vicina allo zero. Da poco ho scoperto,
con una certa incredulità, che esiste anche un’asta per tenere il cellulare in
modo che uno sia libero di fotografarsi. Non ci volevo credere. Il bello è che
la mania del selfie non risparmia nessuno: madri non proprio giovanissime con
prole numerosa che mostrano grazie e graziotte, donne con problemi di peso,
uomini convinti di essere i nuovi Argentero, capi di stato, gente che sta lì,
lì, per esalare il suo ultimo respiro, eppure è pronta a condividere
socialmente, anche la morte. Spesso mi capita di pensare quando, qualche
persona che non vedo e non sento da anni mi chiede l’amicizia su un social,
cosa la spinga a credere che sia piacevole riallacciare un’ amicizia virtuale,
quando volutamente, abbiamo smesso di frequentarci venti anni prima. Stesso
dicasi per il selfie: cosa spinge una persona a credere che altre trovino
interessanti le sue cosce in riva al mare, o i suoi piedi smaltati? E’ ovvio
che io mi riferisca alle persone che fanno del selfie la loro primaria forma di
comunicazione, non certo a chi sporadicamente condivide momenti che ritengono
importanti o semplicemente, propri. E
non rispondetemi che uno si selfa per far ridere e divertire gli altri perché, anche,
no. Grazie. Credo piuttosto che uno si faccia, selfie per, raccontarsi, mostrarsi,
apparire, esporsi, sui social, diffusissima forma di comunicazione a portata di
tutti. E allora, come domanda mio figlio quattrenne quando sono mossa da azioni
non chiare nei suoi confronti, io chiederei a questi signori: ma che avete
nella testa? A chiedermelo non sono solo io, visto che studi recenti stanno
analizzando questo fenomeno come nuova malattia:
“Gli studiosi
ora si chiedono se si tratta della moda del momento, e quindi passeggera, o se
nasconda qualche bisogno psicologico. La scienza è all'opera per dare risposte.
Una ricerca ad hoc dell'Università Cattolica a Milano, condotta dal team del
professor Giuseppe Riva, docente di Psicologia e nuove tecnologie della
comunicazione. E lui è netto: "Un selfie è da considerarsi differente da
un semplice autoscatto, il quale non prevede la componente social della
condivisione, e anche da un self-shot, termine che nel contesto dei
nuovi media è arrivato a identificare le fotografie di sé stessi a tema
erotico. La ricerca, tuttora in corso, ha tre obiettivi principali: in primo
luogo, ovviamente, quello di comprendere per quale motivo le persone scattino
così tanti selfie; ma anche capire se ci siano differenze tra uomini e donne in
questa pratica, e infine analizzare le possibili caratteristiche psicologiche,
dal punto di vista della personalità, delle persone che hanno l'abitudine di
puntare verso sé stessi la fotocamera del proprio smartphone”.
Questi i risultati:
“I risultati preliminari emersi finora hanno
mostrato qualcosa di interessante: 150 partecipanti (35% maschi, 65% femmine),
con età media di 32 anni, hanno completato un questionario sui dati anagrafici;
uno sul loro utilizzo di social media, sull'attività del selfie e sulle
motivazioni associate; il questionario Big Five Inventory per la misurazione
dei tratti di personalità.
Perché "ti selfi"
Gli scopi riconosciuti all'attività del selfie sono soprattutto "far ridere e divertire gli altri" (39%), "vanità" (30%) e "raccontare un momento della propria vita" (21%). Emerge che i selfie si fanno non tanto per esprimere come sono o come si sentono (identità, aspetti interiori) bensì per raccontare agli altri con chi sono, dove sono e cosa stanno facendo (aspetti esteriori).
Gli scopi riconosciuti all'attività del selfie sono soprattutto "far ridere e divertire gli altri" (39%), "vanità" (30%) e "raccontare un momento della propria vita" (21%). Emerge che i selfie si fanno non tanto per esprimere come sono o come si sentono (identità, aspetti interiori) bensì per raccontare agli altri con chi sono, dove sono e cosa stanno facendo (aspetti esteriori).
Le donne sono più selfie-dipendenti
Non può certo essere considerata una sorpresa il fatto che le donne amino farsi i selfie più degli uomini: le donne ne scattano, infatti, molti di più, e risultano più interessate alle motivazioni interiori. Inoltre, altro aspetto piuttosto prevedibile, affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici sui social network, e temono più dei maschietti di ricevere commenti negativi.
Non può certo essere considerata una sorpresa il fatto che le donne amino farsi i selfie più degli uomini: le donne ne scattano, infatti, molti di più, e risultano più interessate alle motivazioni interiori. Inoltre, altro aspetto piuttosto prevedibile, affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici sui social network, e temono più dei maschietti di ricevere commenti negativi.
Che ti passa
nella testa?
Per quanto riguarda l'ultima domanda di ricerca, sono tre gli aspetti della personalità che risultano associati all'attività del selfie, spiega la ricerca in corso: "Le persone che si fanno selfie, rispetto a coloro che non se li fanno, appaiono significativamente più estroverse (ovvero più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali) e più coscienziose (ovvero più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso) ".
Per quanto riguarda l'ultima domanda di ricerca, sono tre gli aspetti della personalità che risultano associati all'attività del selfie, spiega la ricerca in corso: "Le persone che si fanno selfie, rispetto a coloro che non se li fanno, appaiono significativamente più estroverse (ovvero più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali) e più coscienziose (ovvero più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso) ".
Quindi, teoricamente, la donna
incline al selfie, sarebbe significativamente più socievole, estroversa, dotata
di autocontrollo e capace di pianificazioni strategiche.
Buffo, no?
Ed io credevo che fosse meno
sveglia della rappresentante della specie dell’anatra muta.
E’ proprio vero. Devo in qualche
modo rinvigorire la mia fiducia nel genere umano.