Capisci
che hai una età anagrafica in cui gli ormoni la fanno da padrona quando ti
commuovi allo stesso modo per le capriole di Nesli fatte in occasione della
semifinale di celebrities Masterchef, come per i corpi allineati dei bambini che
sembrano dormire il sonno siriano che non ha niente di giusto. Nessun ormone
offusca la chiara visione di come, invece, dovrebbero andare le cose. I bambini
dovrebbero capriolare, gli adulti, forse, meno cucinare.
Capisci
che sei in quella fase della vita, quella di mezzo, in bilico tra una età non giovanissima,
ma neppure troppo avanzata e una vecchiaia sempre più vicina, irrequieta come una
adolescente in erba, ma più matura, quel tanto che ti permette, rispetto alle teenager,
di comprendere esattamente la portata dei cambiamenti in atto dentro e fuori. Capisci che non sei più quella di ieri, ma non
sai neanche verso quale tipo di modello di donna ti stai avvicinando, e ti ingegni
a vivere in balia degli eventi, adattandoti alle circostanze. I cambiamenti del
corpo e dello spirito e quelli di un destino su cui lavori alla cieca, quelli
no, quelli devi ancora capire come accettarli.
Capisci che la scimmia
che ti gira intorno, invitandoti a ballare – più che di un invito parlerei di stalkeraggio,
non è quella di Gabbani, ma quella dell’orologio biologico che ti ricorda che,
c’è vita oltre gli ormoni, una vita, però, ancora difficile da decifrare.
Perché sei lì, in mezzo all’età di mezzo, quella vicina al grande passaggio, in
balia di variazioni ormonali che ti fanno amare a dismisura, l’arrivo, ancora puntuale,
del tuo ciclo. E curi l’appuntamento con quel compagno con cui fai coppia da
anni con un riguardo diverso, perché è con lui che tenti di riaccendere la
fiamma dell’amore dentro una relazione che sai, sta per finire. Non hai mai
amato le mestruazioni come in questa età. Lo avessero detto a quindici anni,
non ci avremmo mai creduto.
“Non so bene quando succede che, il
viso che ti accompagna ogni giorno da tanto a questa parte, a un certo punto ti
molli, diventando diverso. Non saprei dire come, quando e in cosa è cambiato.
Se siano le rughe intorno agli occhi, o la pelle più sottile della carta, o
semplicemente che il tempo ci cambia senza darci un intervallo ragionevole ad
accettare il nuovo adattamento. Anche le spalle si incurvano addolcendosi come
i lati delle colline. Il turgore lascia spazio a nuove mollezze e le rotondità
spuntano al posto della pancia una volta, tesa. Il problema di essere arrivate
a quella età che sta nel mezzo, è che, non abbiamo ancora sviluppato un’idea
diversa di noi stesse e siamo ancora legate a quella che avevamo di noi, prima
di arrivare, dove siamo. Bisognerebbe cambiare approccio. Convertire in forza
il cammino percorso. Bello o brutto che sia stato. Lasciare andare questo è il
punto. Lasciare andare l’idea di quello che siamo state e accettare il
cambiamento. D’altra parte, se invecchiamo, almeno siamo sicuri di vivere più a
lungo. In questo senso l’invecchiamento è l’unico mezzo - per ora non ce ne
sono altri in giro - per ricordarci che siamo ancora in pista. Che strane che siamo,
noi persone, ci auguriamo la vecchiaia ma neghiamo di esserci arrivate.
Arrivare a una certa età, ma sperare di dimostrare meno di quella età, oppure,
portare a compimento quello che siamo destinate a essere, maturando lentamente
e volgendo verso una nuova stagione, non necessariamente più brutta delle
precedenti. Certo, la primavera presenta i suoi aspetti positivi, risveglia
torpori e formicolii, certo, l’estate esplode di giallo e sembra ancora tutto
possibile, all’inverno siamo ancora lontane, ma temo che, noi donne dell’età di
mezzo dovremo soffermarci più sull’autunno, rivalutandola come stagione di
passaggio e di raccolto.
Una stagione che è un giro di boa,
la prova del nove su quanto siamo state brave a seminare. Dovremmo fare come i
contadini. Abbiamo zappato la terra, divelto balle di zolla, arato, accudito,
curato, amato. Dovremmo, ora, raccogliere i frutti. Fagioli, cicoria, bieta,
carote, e le bacche di rosa canina che, non ho la più vaga idea di cosa siano,
ma le immagino miracolose, estirpando la gramigna, i ricordi brutti che
infestano la visione del futuro. La stagione in cui si accende la stufa e si
raccolgono gli affetti veri, oppure quella in cui si va per boschi a sperare di
fare incontri interessanti come i caprioli, in cerca di erba da brucare e
attratti dalle case dai camini fumanti.
Oppure, navigare a vista senza l’uso
di strumenti utili alla navigazione. Vivere così, come capita, come ci va sul
momento adattandoci alle circostanze a mano a mano che le cose cambiano. A
indicarci la via, solo le stelle di notte e i punti cospicui di giorno”.
Da Navighiamo a vista, libro che non so se vedrà mai la luce.