Non so cosa lei abbia pensato
quando lui le ha inferto i primi colpi. Quando le si è scagliato contro con la
furia malvagia di chi vuole sopprimere, dominare, strappare. Che uno pensa che
la barbarie si manifesti solo al di fuori dei propri confini. Più in là, più in
là, in un posto lontano, in luoghi desolati, in case caratteristiche, dove i
muri raccontano violenze domestiche e singhiozzi sommessi. Le bambine di là,
chiuse nella stanza perché non sentano che il papà sta uccidendo la mamma.
Forse questo deve aver pensato, mentre lui l’accoltellava. Fa solo che non
sentano, fa solo che dormano il sonno più profondo e che il risveglio non sia
tragedia che segna il loro destino. E forse ha lottato. Sì, ha lottato, contro
quei colpi mortali.
E così mentre ti ritrovi a
leggere i giornali come fai ogni mattina, tu che hai sempre studiato i casi di
femminicidio, che conosci lo stolking che, odi la sopraffazione in ogni sua
forma ti soffermi a fissare la fotografia di una donna i cui occhi hai incrociato
per le vie della tua città, forse al parco, forse in profumeria, forse chissà e
una morsa ti chiude lo sterno. Manca il respiro, manca l’aria, manca la forza
anche per riflettere.
Trentasei anni, madre di due
bambine, di due e sette anni, uccisa a coltellate dal marito di trent’anni più
grande nella cucina della loro casa. Una casa poco distante dalla mia, davanti alla
quale sarò passata miliardi di volte, un palazzo che conosco bene. E tutto si
amplifica. La rabbia, il dolore, le lacrime. Per una donna, per una madre, per
una persona, che non conoscevi, un viso, tra i tanti che incontri ogni giorno.
E ti fermi a pensare che sei
madre di un figlio maschio. Che tocca anche te, cercare di cambiare questa
cazzo di cultura che consuma il cervello e perpetra, in ogni luogo e in ogni
epoca, l’oppressione per antonomasia, il governo dell’uomo sulla donna.
Insegnare la cultura del non possesso, che le cose e le persone non si
posseggono. Imparare a non giustificare, difendere, proteggere ad ogni costo. Imparare
a gestire il dolore dei nostri figli, stando accanto in silenzio, di modo che
imparino ad accettare la sofferenza dell’addio. Che non si può, non si deve,
non è pensabile esercitare il potere del più forte, fisicamente,
psicologicamente ed economicamente perché il comportamento di un altro essere
risponda ai nostri desideri. Per quanto doloroso,
posso essere. Dovrebbe essere esercizio quotidiano, dai banchi dell’asilo.
Poche regole. I
gioghi che si usano, si ripongono al loro posto. Non sono i nostri. Se lei non
vuole più giocare, si smette il gioco. Ci devi stare. Puoi piangere, specialmente
se lei è speciale, ma non puoi trattenerla.
Non è difficile.
Eppure: ” Gli omicidi basati sul
genere si manifestano in forme diverse ma ciò che accomuna di più tutte le
donne del mondo è proprio l’uccisione a seguito di violenza pregressa subita
nell’ambito di una relazione d’intimità. Queste morti “annunciate” vengono spesso
etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di
famiglia. Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti,
padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini
che avrebbero dovuto rappresentare una sicurezza. I numeri in Italia sono
impietosi: muore di violenza maschile una donna ogni due o tre giorni”.
terribile. Quello che scrivi è vero, verissimo. E anche io sento questa responsabilità, da madre di figlio maschio.
RispondiEliminaC'è qualcosa di molto malato in tutto ciò, molti definiscono "normali" tragedie del genere ed e' raccapricciante perché e' come se esistesse una causa che arma la mano di chi uccide. Si cerca il problema fuori della persona e così non e'. Nel mio piccolo mi batto con tutte le mie forze per non vedere casi di sopraffazione di nessun tipo e genere, e cerco di trasmettere questo ai miei figli. Occorre una doppia cultura: rispetto verso gli altri e capacità di farsi valere, urlare e combattere per se stessi e per la propria vita, di cui nessuno deve avere in mano il destino che non siamo noi!
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