Nel 2005 Ayelet Waldman sulle pagine del New York
Times scrisse che amava suo marito più dei suoi figli, dichiarazione che le
costò una valanga di critiche e riuscì ad alimentare un dibattito feroce, ancora
attuale, recentemente ripreso da Amber Dotysu YourTango che tutt’oggi riesce ad
accendere l’ira funesta della maggior parte delle madri italiane e no. Posto
che, siamo tutte concordi, credo, nell’affermare che, sia meglio per un bambino
vivere in una famiglia dove i genitori si amano piuttosto che in una famiglia
dove i genitori si sopportano, c’è in questa affermazione qualcosa che mi
irrigidisce, mi mette sulla difensiva e istintivamente mi dà fastidio. E, forse,
la ragione va proprio cercata in quell’”istintivamente”. Ma andiamo per gradi.
“Se una buona madre è una che ama il suo bambino più di chiunque
altro al mondo - scriveva nell’articolo la Walman- io non sono una buona madre.
Difatti sono una cattiva madre. Amo mio marito più dei miei figli. Non potevo
credere di essere odiata da così tante persone », ricorda. La Ayelet è stata considerata, come racconta oggi, «un caso di follia, una
minaccia, una donna cui dovrebbe essere tolta la custodia dei figli». L’autrice e attivista è madre di
4 figli, e moglie innamorata in maniera «vitale e persino torrida» dello scrittore Michael Chabon, ha
scritto un libro, un pamphlet divertente intitolato Bad Mother, ovvero “crimini
materni, calamità minori e occasionali momenti di grazia di una mamma cattiva”,
pubblicato negli Usa da Doubleday. Una risposta esplicita alle critiche? «Sì, proprio
così –spiega la Waldman – volete vedere chi è e cosa fa una cattiva madre? Adesso ve lo
spiego io!». Una provocazione, allora? «Guardi, la
mia famosa frase è stata fraintesa - in quello scritto mi chiedevo come mai
tante donne, tra quelle che conoscevo, non avessero più rapporti sessuali con i
mariti, al contrario di me. La mia tesi era che avessero spostato la passione
verso i figli. La libido aveva lasciato il posto al desiderio materno, e questo
faceva di loro delle buone madri. Ne concludevo che forse io non ero una buona
madre, continuando ad amare mio marito con passione».
«Mi rendo conto, e forse le madri italiane non lo accetteranno del tutto, visto che amano i loro figli non solo più dei mariti, ma addirittura più di Dio!». I peggiori nemici delle mamme sono le altre mamme. Osservatrici implacabili, in attesa di un passo falso dell’altra per attivare l’allarme. Perché? «Sono (siamo) terribilmente insicure e stressate. Si sentono giudicate (come succede anche a me) e diventano intolleranti e punitive prima di tutto verso se stesse. Mi sono chiesta molte volte da dove venisse l’ansia materna. Ne ho sofferto intensamente quando presi la decisione di stare a casa dal lavoro per dedicarmi alla famiglia. Ricordo che pensai si trattasse di risentimento, e di aver capito in seguito come invece fosse uno stato vicino alla disperazione ». Una “brava mamma” è sempre allegra, non si lamenta mai, gioca con i suoi figli (che indossano sempre vestiti puliti), prepara una prima colazione sana, è attiva nella comunità e la sera non è mai stanca per il sesso”.
«Mi rendo conto, e forse le madri italiane non lo accetteranno del tutto, visto che amano i loro figli non solo più dei mariti, ma addirittura più di Dio!». I peggiori nemici delle mamme sono le altre mamme. Osservatrici implacabili, in attesa di un passo falso dell’altra per attivare l’allarme. Perché? «Sono (siamo) terribilmente insicure e stressate. Si sentono giudicate (come succede anche a me) e diventano intolleranti e punitive prima di tutto verso se stesse. Mi sono chiesta molte volte da dove venisse l’ansia materna. Ne ho sofferto intensamente quando presi la decisione di stare a casa dal lavoro per dedicarmi alla famiglia. Ricordo che pensai si trattasse di risentimento, e di aver capito in seguito come invece fosse uno stato vicino alla disperazione ». Una “brava mamma” è sempre allegra, non si lamenta mai, gioca con i suoi figli (che indossano sempre vestiti puliti), prepara una prima colazione sana, è attiva nella comunità e la sera non è mai stanca per il sesso”.
La Dotysu, poi, sulla stessa linea
dell’altra, racconta:” ho imparato
un'importante lezione: mio marito deve sempre avere la priorità sui figli. Non
mi fraintendete, amo i miei ragazzi e farei qualunque cosa per loro. Ma amo di
più mio marito”. Entrambe le scrittrici sono convinte che se ci si impegna
seriamente per mantenere viva, appassionata e sana la propria relazione di
coppia ne gioverà l’intera famiglia e si educheranno i figli all’amore, al
rispetto per il partner. Insomma, si darà un esempio chiaro e concreto di quali
sono i propri valori.
La Aylet afferma anche che, la
maggior parte delle madri segue dei modelli sociali imposti, peraltro
irraggiungibili, offerti da una cultura che vuole una madre quasi perfetta, anche
se spesso la realtà non risponderebbe a questi esempi. Di qui, scaturirebbe una
certa ansia da prestazione che ci renderebbe tutte nevrotiche e poco inclini
alla cura del compagno, ai bisogni di coppia, al piacere per il sesso. Presenta
le madri come donne immolate al sacrificio che antepongono il benessere dei
figli rispetto al proprio e a quello della coppia stessa, affermando che, il
principio secondo cui, un buon genitore è colui che sacrifica tutto per la
felicità dei figli, non faccia per lei.
IO mi chiedo, allora, un buon
genitore è colui che ama il proprio compagno/a più del proprio figlio? O
meglio, è un buon genitore colui che ragiona in termini di maggiore o minore
amore? O tutta questa storia è solo una enorme sciocchezza, essendoci al
mondo, e viva Dio, delle variabili infinite di madri e di padri?
Condivido, senza ombra di dubbio
che sia giusto impegnarsi, quotidianamente, nei confronti del proprio compagno,
che sia giusto allontanare la noia, che sia giusto investire in modo
costruttivo sulla relazione coniugale, senza ritenere i figli proprietà
esclusiva e prolungamento della propria persona. Ritengo, sacrosanto il diritto
dei figli all’emancipazione, nelle sue più svariate declinazioni, il loro a
essere amati nella “giusta” maniera, come il diritto sacrosanto del “compagno”
a non essere dimenticato, abbandonato, trascurato. Cosa che, spesso, richiede acrobazie sentimetali proprie del miglior funambolo. Ma, l’amore che provo nei
confronti di mio figlio è qualcosa di totalmente diverso rispetto a quello che
provo nei confronti di mio marito. E non si tratta di amare di più l’uno e meno
l’altro, si tratta, invece, di amarli in modo “diverso”. L’amore si costruisce,
sempre. Che sia amore filiale o amore relazionale. Ma c’è del viscerale, una
profondità antica e interiore nella messa al mondo di un figlio che ha una
portata infinita, rispetto a qualunque altro atto creativo. La costruzione di
un amore, che avvenga giorno dopo giorno, ora dopo ora, presuppone l’incontro
reciproco di due volontà che si scelgono quotidianamente. Quel figlio che metti
al mondo, senza la sua volontà, richiede un impegno in termini di “amore”
maggiore rispetto a quello messo nei confronti di una relazione, proprio perché
manca dell’atto di scelta iniziale della parte in causa, quello secondo cui due anime rinnovano scientemente
una promessa di condivisione di vita e progetti, che un figlio trova già
impostata.
Un figlio, è il figlio di quel
progetto. Un figlio è il bisogno ancestrale della continuità della specie, il desiderio
mortale di immortalità. Sicuramente esiste una regola aurea della maternità, l’archetipo
culturale, profondamente radicato, della madre che cura, che protegge. Alla
stesso modo esiste ancora l’idea cattiva secondo cui essere donne significa
essere madri, le donne che vogliono essere madri sono buone e altruiste mentre
quelle che non vogliono, sono persone egoiste. Esiste una sacralizzazione della
maternità non reale perché non esiste la madre perfetta, come non esiste
la donna perfetta. Non esiste una maternità buona o una maternità cattiva,
ci sono piuttosto dei ruoli che si sovrappongono e sono difficili da gestire.
E sì, molto spesso anteponiamo il fatto di essere madri a quello di essere
donne, non perché il figlio nato cancella la nostra personalità, quanto
piuttosto perché quel figlio nato assorbe, travolge, invade, pervade e ti fa
innamorare perdutamente. Come un quindicenne.
E l’innamoramento verso il proprio
figlio non può che essere diverso rispetto a quello del proprio compagno, perché
istintivo, primordiale, fatto di odore, di pelle, di sangue, di naturale senso
di abnegazione che non ha niente a che fare con l’istinto materno, quanto
piuttosto con qualcosa di fusionale, esclusivo, assolutizzante. Naturale amarlo
più della propria vita, ordinario nella sua straordinarietà, azzurro, come il
cielo che deve essere.
UN amore diverso, appunto. Credo che la risposta sia tutta lì e che le polemiche innestate dalle dichiarazioni di quelle scrittrici, così come le dichiarazioni stesse, siano solo un modo ingegnoso per attirare l'attenzione e farsi pubblicità.
RispondiEliminaNon sono moglie e non sono madre, sono però d'accordo con te sul fatto che non ha senso parlare di "intensità" diverse per due tipi di amore così differenti.
RispondiEliminaLa cosa importante è amare tanto e il più intensamente possibile entrambi.