Torno,
con una certa irrequietezza, a parlare di argomenti vicini ai motivi per i
quali, questo blog è nato.
Maternità,
nelle sue diverse declinazioni, nelle sue innumerevoli sfumature, nei suoi
diversi significati. O forse, più precisamente, di Gravidanza, nelle sue diverse declinazioni, nelle sue innumerevoli
sfumature, nei suoi diversi significati.
Lo faccio, riportando la riflessione della
scrittriceMichela Murgia, sulla maternità surrogata che, dopo giorni di
scelleratezze e stupidità lette ed ascoltate, urlate dai fedeli sostenitori del
family day, da alcune correnti femministe, dagli oltranzisti difensori della “famiglia
tradizionale”, mi sembra il ragionamento più serio ed onesto, fin’ora
affrontato.
La
riflessione della Murgia nasce dall’appello contro la "maternità
surrogata"presentato da un pezzo del movimento Se non ora
quando -l’associazione Snoq Libere- che ha aperto il
dibattito a sinistra, denunciando i rischi di quello che viene
appositamente descritto come «utero in affitto». La Murgia non ha firmato l’appello,
spiegando in un corretto, integro e schietto ragionamento, la sua posizione.
Prima
di cominciare a discutere di maternità surrogata penso che andrebbe definito
meglio cosa dobbiamo intendere per maternità
nel 2016. Se con essa ci riferiamo alla dimensione fisica e/o spirituale che
unisce al desiderio procreativo la
disposizione ad assumersi la responsabilità genitoriale su una vita altrui,
è escluso che essa si possa surrogare,
giacché è un atto di volontà e consapevolezza personale non alienabile.
È
fin troppo ovvio dire che non basti
restare incinte per parlare di maternità, ma forse non è altrettanto
ovvio ricordare che questa affermazione è una conquista civile piuttosto
recente. Per secoli siamo state infatti madri per forza, impossibilitate a
sottrarci al percorso del sangue e alle funzioni collegate, se non a prezzo di una
fortissima condanna sociale. Sono state le lotte del femminismo del secolo scorso a costringere la società a ripensare
la maternità fino a definire madre solo
quella che accetta di esserlo, trasformando in scelta individuale ciò
che era un destino collettivo.
Non
è quindi tollerabile oggi in un discorso serio sentir definire “maternità” il
processo fisico della semplice gravidanza, che in sé – e lo sappiamo tutte –
può escludere sia il desiderio
procreativo sia la disposizione
ad assumersi la responsabilità e la
cura del nascituro. Di conseguenza è improprio discutere anche di
maternità surrogata. Si può discutere invece di gravidanza surrogata, purché resti chiaro che si tratta di
qualcosa di profondamente diverso. Operare questa distinzione è tutt’altro che
ozioso, perché la legge italiana – entro i limiti che conosciamo – permette già
ora a una donna che resta incinta di scindere
i due processi e agire per rifiutare il ruolo indesiderato di madre, sia
attraverso l’interruzione di gravidanza, sia attraverso la rinuncia permanente
a curarsi del neonato.
Chi
si oppone alla gravidanza surrogata chiamandola “maternità” e adducendo come
motivazione l’unicità insostituibile del legame che si stabilirebbe tra
gestante e feto sta ponendo le condizioni perché gravidanza e maternità tornino
a essere inscindibili e quella sovrapposizione torni a essere usata contro le
donne SEMPRE, ogni volta che per i motivi più svariati provassero a scegliere
di non essere madri.
Reintroducendo
nel dibattito la mistica deterministica
del “sangue del sangue” non si sta quindi mettendo in discussione solo
l’ipotesi della surrogazione gestazionale, ma anche alcuni comportamenti che
sono già normati come diritti nel nostro sistema giuridico, cioè l’aborto e la possibilità di rinunciare alla potestà genitoriale,
per tacere dell’adozione, legame
di pura volontà che in questo modo – non originandosi “dall’avventura umana
straordinaria” della gravidanza – tornerebbe nell’alveo delle maternità di
serie B. Sbalordisce dunque che a
utilizzare la categoria del legame naturale siano donne che si richiamano al
percorso femminista.
La
motivazione è evidente: proprio perché un
essere umano non è una merce, in nessun caso il denaro versato alla
donna gestante può essere considerato un corrispettivo per il bambino, ma
sempre e soltanto una remunerazione
della sua gestazione. Si paga il tempo, si paga il rischio, si pagano le
assistenze, ma non si compra il
nascituro, la cui cessione avviene per pura volontà da parte di colei
che ne è a tutti gli effetti la madre fisica. Non importa di chi sono gli ovociti e lo sperma: anche la gestante
ci mette del suo, non è un mero corpo attraversato. Non importa nemmeno quanto
è costato il processo: il risultato sarà comunque un dono, che può restare in
mano alla sola persona che ha il diritto di considerarlo proprio fino a quando
non rinunci spontaneamente a farlo.
La
discriminante in un ragionamento da credenti non può dunque essere “quanto
voglio il figlio”, che è un desiderio legittimo sia sul piano emotivo che sul
piano simbolico, ma “quanto sono
disposta a usare il corpo di un’altra per ottenerlo”. Che lei me lo
conceda è relativo: il bisogno economico potrebbe spingerla a farsi mia schiava
come Bila lo fu di Rachele e in questo non c’è autodeterminazione. La mia a
prezzo della sua… è accettabile? Ed è autodeterminazione
il pensiero che mi impedisce di percepirmi pienamente donna se non divento
anche madre? Non lo so, perché questa spinta a riprodurmi non l’ho mai
avvertita dentro di me al punto da considerare un’ipotesi del genere. So però
che davanti al desiderio di un’amica,
di una sorella del cuore, quello che non ho chiesto mai a un’altra per
me stessa, lo farei io liberamente per lei. E non vorrei che esistesse una legge che mi dicesse che non posso farlo”.
Personalmente,
quello che trovo di più bello in questa lunga considerazione, è la certezza di
non avere certezza in materia e, di conseguenza, l’umiltà di dire “non lo so”,
ma se lo sapessi, vorrei poter essere libera di scegliere.
Non so, io invece non riesco a non pormi dubbi, e tanti.
RispondiEliminaPerché questa remunerazione per la gestazione è, in realtà, qualcosa di più. La maggior parte di chi sceglie di fare da surrogato lo fa per un bisogno economico più o meno grande, e quindi per guadagnarci. Inoltre, da quel che ho letto, intorno a questo sistema c'è un vero e proprio mercato, un giro di soldi enorme che ha come prodotto finale un essere umano, un bambino.
E poi l'ultima considerazione. E' vero, ci sono tante donne che, rimaste incinte, scelgono di non tenere il piccolo, ma si tratta di eventi accidentali. Questo abbandono, poi, a volte può, anche in bambini adottati cresciuti in contesti di grande amore, gravare come un peso sulla vita di questi ragazzi. E' giusto avallare un sistema in cui scientemente si mettono al mondo bambini che non conosceranno uno o entrambi i genitori naturali? Sappiamo se, per quanto amatissimi, questi ragazzi un giorno non chiederanno conto di quel che è stato fatto loro?
Ecco io non riesco a considerarla solo una questione di maternità o gravidanza, perché ritengo bisogna mettersi anche in basso e vederla dall'altezza di un bambino.
Tutti dubbi più che leciti e non scontati. Purtoppo il fattore economico è presente anche nel sistema delle "adozioni". Moltissime adozioni internazionali scontano il pagamento di tasse, prezzi per gli interventi delle Onlus che si occupano di adozioni più o meno lecite, eppure, nessuno si sogna di far cambiare questo sistema. Indubbiamente il rischio di sfruttamento c'è e credo che sia questa parte che vada normata. Purtoppo moltissime donne abbandonano figli, e non sono casi accidentali, basta vedere le strutture dei minori per conoscere la misura del fenomeno. Sul fatto se sia giusto o meno mettere al mondo figli che non conoscereanno i genitori naturali, il quesito è il medesimo che si potrebbe rivolgere per i bambini adottati in tenera età nati da genitori che non li hanno voluti riconoscere, o che li hanno abbandonati. Quindi, in generale molti quesiti sono simili in entrambi gli istituti. Credo fermamente che se l'accesso all'adozione fosse più semplice, meno tortuoso e dispendioso, sicuramente sarebbero minori anche le richieste per una gravidanza surrogata. Grazie per la riflessione e condivido con te l'idea che comunque vadano sempre rispettati i bambini.
RispondiEliminaScusa se mi permetto, anche io condivido alcuni dubbi di Hermione, e pensavo che i genitori che abbandonano figli, che poi diventano adottabili, non vengono pagati per farlo, per cui non è la stessa cosa che per la gravidanza surrogata. Questi bambini esistono, vivono il trauma dell'abbandono, a volte della violenza e dell'abuso, e poi incontrano delle persone che li adottano (pagando degli enti, anche se a volte sembra più un'estorsione che altro, non i genitori che li hanno abbandonati). Mi sembra che i due istituti siano diversi, in questo senso.
EliminaSe poi fosse garantito che l'istituto dell'utero in affitto potesse sussistere, ma solo in forma gratuita, oppure il denaro fosse solo ed esclusivamente a copertura di eventuali spese mediche, allora forse anch'io sarei più propensa a rivalutare la mia posizione. Perchè certo non vorrei che se un giorno qualcuno volesse farmi questo "dono", dovesse rinunciare perchè illegale.
Rimarrebbe però sempre il dubbio che ai bambini nati in questo modo si faccia un torto...E' solo un dubbio, una domanda che mi pongo. Forse anche i figli nati dalla fecondazione assistita eterologa, in fondo, potrebbero soffrire di problemi di identità, una volta scoperto di non condividere il patrimonio genetico dei genitori (di uno, o di tutti e due)...
Sono uomo, non credete nel senso tradizionale del termine e in generale propenso più al dubbio che alla certezza però francamente l'argomento mi lascia molte perplessità. La dignità umana non si compra e non si vende e su questo penso siamo tutti d'accordo e, sia se mettiamo il denaro come rimborso alla gestazione ,sia se lo mettiamo come vero e prorpio commercio vi è comunque una transazione economica a fronte della vita umana che istintivamente aborro.Per spiegarmi meglio non trovo nulla di immorale nel prestarsi alla gravidanza surrogata trovo veramente difficle da accettare il corrispondere mercede per questo anche se non vedo alternative percorribili.Rimango nel dubbio piu profondo ma grazie per aver trattato l'argomento
RispondiEliminaGrazie a te per la riflessione. Non posso che avere la stessa tua perplessità riguardo il fattore economico, come non posso non pensare che possa esserci una mercificazione della pratica. Credo però che questa mercificazione sia già in atto, specie in paesi con grossi problemi economici. Immagino che il problema, come quasi la maggior parte dei problemi, vada affrontato in maniera trasversale e su più fronti. Normare, facilitare le adozioni, evitare business di qualsiasi tipo e soprattutto strumentalizzazioni.
EliminaResto anche io nella più profonda incertezza.
È bello poter dire "non lo so", e ancor di più sapere che si vuole poter scegliere, nel caso.
RispondiEliminaCondivido i tuoi pensieri, io uomo che non lascerà niente dietro di sé. Ed in altre questioni vorrei aver la libertà di poter scegliere, nel caso che spero arrivi il più tardi possibile
Concordo pienamente.
EliminaLe riflessioni che hai riportato sono intelligenti e, francamente, io la penso allo stesso modo.
RispondiEliminaNon sono certa che consentire questo tipo di "pratiche" non possa recare danni, legati alla "mercificazione" del corpo ed allo sfruttamento della povertà, ma è innegabile che, se fosse solo questa la ragione, allora tutti questi movimenti dichiaratamente contro dovrebbero preoccuparsi più del costo delle adozioni, soprattutto internazionali, della prostituzione, del mercato illegale degli organi ecc. Mi sembra che si voglia vietare solo per mettersi la coscienza a posto e poi nascondere la testa sotto la sabbia lasciando che i bambini che verranno al mondo con questa tecnica (e ci sono e ci saranno sempre, se non qui, in altri paesi)crescano senza tutele e diritti.
E poi, come scrive meglio di me la Murgia, se puntiamo il dito sul legame indissolubile mamma - bambino che non può essere spezzato, dobbiamo tornare a mettere in dubbio il diritto all'aborto, la contraccezione, la PMA, il diritto a non riconsocere i figli ecc., tutti progressi dell'umanità che abbiamo faticosamente raggiunto.
Essere madre non è solo questione di pancia, è questione di crescita ed educazione costante, quotidiana, di amore donato giorno per giorno, non solo di cellule lasciate crescere dentro di sè.
A pagare il prezzo di questi rigurgiti di mal celato moralismo, sarebbero solo le donne.
Ogni progresso, infatti, ha il suo rovescio di medaglia. Con questo, però,non lo si può e non lo si deve fermare. Grazie
RispondiEliminaIo sostengo che si usino i discorsi filosofici per non affrontare quelli concreti: chi sono le donne che OGGI offrono il loro utero? QUANTE volte lo fanno nella loro vita? QUANTO vengono pagate? Non c'è nessuno che ritiene che queste informazioni siano importanti?
RispondiEliminaVisto che in italia non è legale, dovremmo essere in grado di avere statistiche su come si caratterizza questo fenomeno nei paesi dove sussiste ed è legale. Non mi sembra che vi siano dati in questo senso, almeno non nelle discussioni che ho letto finora.