Due brutti episodi, più di altri
ci hanno colpito in questi giorni. Ne parlano tutti i media, tutti i social
network, tutti i cuori. E ci colpiscono per la rabbia che evocano, perché qualcosa
si poteva fare, perché in entrambi i casi sono fatti che presentano cronache di
morti annunciate. Il primo caso è quello di Fabiana, accoltellata e poi
bruciata viva in un contesto sociale che gronda prevaricazione e disagio e l’altro
quello della ragazza che perdona il suo compagno che le spappola la milza per
gelosia o Dio sa cos’altro. Decisione indifendibile tanto che anche il suo
avvocato decide di abbandonare la sua causa. La cosa che più mi colpisce e che,
invece, sembra essere una cosa di secondo piano è, che i due hanno insieme un bambino di un anno.
E allora ripenso a un fatto che
ho vissuto in prima persona e cerco l’aiuto di Lucy per tentare di capire.
Conobbi una ragazza, che chiamerò
F., quando ero in servizio presso i servizi sociali dove svolgevo una funzione
amministrativa che però mi portava a stretto contatto emotivo con gli utenti
del servizio. F.era giovane, straniera ma da anni residente in Italia, sveglia
e con un figlio con molti problemi che seguiva quasi sempre da sola perché il
marito lavorava. Un’escalation di avvenimenti e F. seguita dal servizio
sociale, quindi con tanto di assistente e supervisore dell’assistente, fa
capire a me e forse dice alle addette ai lavori che le prendeva. Io, meno
avvezza delle mie colleghe e certi racconti, smanio e cerco di capire come
aiutare la poveretta che, secondo me, era una vittima e del marito e del sistema.
Riferisco a voce, (farlo per iscritto avrebbe significato aprire una procedura
penale che F. non voleva) e chiedo e ottengo che F. sia seguita con più
attenzione. E non scorderò mai il colloquio avuto con la posizione
organizzativa del servizio. Lei mi disse che sono moltissime le donne che subiscono
violenza, ma sono poche, davvero poche quelle che decidono davvero di lavorare
su se stesse per spezzare alcuni comportamenti che le intrappolano dento
rapporti violenti. Se da una parte il sistema della denuncia e dell’aiuto è
difficile (per denunciare devi sapere poi, dove andare a stare. Se scappi, devi
avere un posto sicuro e una rete di professionisti, avvocati, specialisti,
poliziotti capaci di difenderti e seguire il tuo caso) dall’altra parte la
donna, spesso, perdona. E lo fa per stupidità, perché crede nella bontà di un amore
malato, nelle scuse, nei fiori dopo le botte, nel finto pentimento. Lo fa perché,
pur avendo modelli di riferimento diversi, pensa che la sua storia sia unica,
diversa e il suo uomo è solo vittima di un momento difficile. Magari ha perso
il lavoro, magari ha solo bevuto un po’, magari è stanco, magari l’ha contraddetto.
Magari.
La cosa più assurda, mi disse l’assistente
sociale è, che molte donne, dopo aver avuto la forza, di dire basta, aver
lavorato su se stesse con terapie e analisi, essersi costruite un nuovo modello
di vita, si rimettano con uomini dalle stesse caratteristiche di quelli appena
lasciati e danno luogo a relazioni violente come quelle appena spezzate.
Ho saputo che F. ha lasciato suo
marito dalla stampa locale, quando lui ha tentato di gettare dalla finestra la
seconda figlia che non sapevo avessero avuto. Non sapevo, avendone perso le
tracce ( molto spesso le donne che rifiutano l’aiuto dei servizi si vergognano
e tendono all’isolamento per proteggere la propria decisione dai giudizi). Una
brutta storia di cui abbiamo dovuto dar conto davanti ad un magistrato. F ha
raccontato la sua verità. Le botte dovute a una violenza in progressione. Un
marito cambiato, la cui indole, non proprio docile è stata traviata dal giro di
prostituzione e riciclo di soldi sporchi e vizi e soprusi. I servizi non
avevano notizie di F. da quattro anni. Nel frattempo loro avevano cambiato
casa, erano andati in una più grande, con tre camere, in ogni camera un
televisore al plasma e standard di vita più elevati. E una figlia in più, pare,
non amata per il fatto che fosse femmina, mentre il padre avrebbe voluto un
maschio sano, a differenza del primo figlio. Mi chiedo se e come in quattro
anni, una donna al limite della violenza non trovi la forza e la voglia di
prendere i propri figli e scappare al primo posto di polizia se vivendo l’inferno
in terra.
F. io l’ho guardata negli occhi.
F. ha avuto realmente paura, ma forse più dell’incertezza, più di quello che
avrebbe potuto fare per se stessa e per i propri figli, e ha scelto una
certezza fatta di botte, piuttosto che, darsi una faticosissima possibilità.
E allora torno al punto di
partenza.
Fabiana, la ragazzina uccisa
barbaramente a diciassette anni, forse ci ha provato a darsi una chance.
A dire basta. Basta alle angherie
di un ragazzetto che le impediva di uscire, la marchiava con i pizzichi, non la
faceva respirare, pretendeva che gli amici cancellassero il suo numero perché solo
lui poteva chiamarla. Forse ha provato a spezzare questa catena. Ho letto che per
far capire alla famiglia della ragazza chi fosse veramente capace di comandare,
lui l’ha portata via per una settima e poi l’ha restituita alla famiglia. Una
fuitina dalle tinte fosche che forse avrebbe dovuto accendere campanelli d’allarme.
Mi chiedo cosa avrei fatto io, cosa avrebbe fatto mio marito o mio fratello o
mio padre se un ragazzino dagli atteggiamenti da ras del quartiere mi avesse
preso mia figlia per una settimana o me l’avesse picchiata per gelosia.
C’è dell’altro dietro alla
famiglia di quest’essere che paralizza un paese in depressione economica, dove
le istituzioni latitano e padroneggiano altre associazioni? Forse, può essere.
Non lo sappiamo.
Sappiamo solo che la violenza genera
violenza.
Ma la violenza scatta anche e specialmente
se si tratta di difendere la propria nidiata.
Una madre lo sa.
Non lo posso dire cosa avrei
fatto, non lo posso pubblicare. Ma di certo non sarebbe riuscito a raccontarlo
neanche lui o perché espatriato, o perché impossibilitato dalle suture dei
punti e dal dolore causato dalle fratture alle gambe.
E quindi torno alla decisione
dell’altra ragazza di perdonare.
Il padre di suo figlio, il suo
compagno, quello che le ha spappolato la milza per le botte, molto
probabilmente non cambierà. Io me lo auguro per lei, per loro ma soprattutto
per quel bambino. Lo potrebbe fare solo con un supporto psicologico, con anni
di analisi e analisi di coppia. Ma dubito.
Quello che invece, quasi
sicuramente accadrà, sarà che quel bambino riprodurrà i modelli comportamentali
dei genitori. Vedrà una madre succube e la difenderà prima, per odiarla poi,
per non aver difeso il suo diritto alla felicità e odierà suo padre, magari per
le botte che darà anche a lui per poi imitarlo, conoscendo solo quel tipo di
amore. Quando e se il padre non deciderà di gettarlo dalla finestra, come il
padre della figlia di F.
Ora, io credo che oggi ci siano
miliardi di modi per lasciare un uomo violento. Sportelli antiviolenza, centri
per le donne, servizi sociali, polizia, carabinieri, ospedali, chiese,
famiglie, parenti, amici e che se una decide di rimanere e a prendersi le
sberle e a farsi fracassare di botte lo può pure fare, ma non può, e ribadisco
non può se ha un figlio. Perché quel figlio vede, sente, assorbe e riproduce. E
se una ha il diritto di scegliere di vivere come vuole che lo faccia senza
mettere al mondo una creatura che con una probabilità prossima alla certezza
assomiglierà molto di più al carnefice di Fabiana piuttosto che a Bamby.
Che il cielo accolga tutte le
Fabiane e aiuti le loro famiglie.
Mi prendo una vacanza.