giovedì 16 luglio 2015

Ridere, ridere, ridere ancora


 Dice che,

 bisogna essere leggeri. Dice che bisogna ridere, che quando si ride si è più belli. Che gli occhi diventano le pagliuzze della luna, due linee tratteggiate, come i contorni fluidi delle nuvole. Dice che se si ride di gusto la vita ri-sorride, una sorta di specchio magico. E più si è leggeri più si va in alto.  Tornare a volare dopo una legnata, mica è cosa facile. Ci vuole l’abilità del giocoliere, la costanza dell’esercizio e una bella sbronza. Che se sei leggero, tutto questo viene meglio. Perché si sta un gradino sopra. Sopra i dispiaceri, sopra le sfortune. E li si guarda dall’alto in basso, e pure con un atteggiamento un po’snob. Di quelli con la puzza sotto il naso, perché il naso lo hai in su, a guardare le linee tratteggiate delle nuvole dai contorni fluidi. A quel punto gli occhi non sono più solo fessure che lasciano oltrepassare fili di luce ma sono anche balconi fioriti da cui sporgersi nelle sere d’afa estiva. Sta di fatto, tuttavia che, il problema sia sempre lo stesso: è facile essere felici, quando si è felici. In quel caso, si è leggeri come la figlia di Bianca Balti.

Poi però, devi far i conti con l’altro problema. Quello del sentire. Che cozza con la voglia di ridere, litiga con la leggerezza, si azzuffa con la levità.

Ed io sento.

“Io sento.
Ho questa orchestra pazza e stonata nella testa con cui mi sveglio ogni mattina.
Questo buco nel cuore per cui tutto mi attraversa fino a investire respiro e ragione.
E ti assicuro che non avrei voluto essere così.
C'erano giorni in cui mi sembrava di soffrire per il dolore di tutti.
Mi convincevo che ogni animale seviziato, ogni bambino deriso, ogni foresta abbattuta, fossero una ferita all'anima del mondo di cui io dovevo considerarmi responsabile.
Non mi voglio giustificare ma gradirei che almeno tu lo comprendessi.
Il problema di nascere e crescere con questa maledizione di sentire tutto, troppo.
E rischiare, proprio per questo, di perdersi.
Di accettare la realtà roteando un'ascia fra le mani, colpendo a caso.
Fino a rimanere sola.
E non capirci, di nuovo, più niente”.

Se si riesce a ridere con questo dentro, è fatta…

5 commenti:

  1. Hai ragione: è facile ridere quando si è felici. Riesce benissimo a tutti. Ma ridere quando qualcosa ti morde dentro - che sia dolore, malattia, depressione, ipersensibilità - ecco, quello è più difficile.

    E non lo faccio un problema di rughe d'espressione: basterebbe semplicemente avere qualche ora di serenità al giorno, sarebbe già una bellissima cura.

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  2. Se si potesse imparare tutto questo...nascere con un'ipersensibilità acutissima complica non poco la vita...io sono così e non tutti capiscono...pochi...nessuno? Spero con tutto il cuore che il mio Francesco possa guardare ogni giorno che inizia con fiducia e serenità...

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  3. Penso si abbia l'obbligo morale di essere felici o meglio di ricercare la felicità, ma prima bisogna capire cos'è. Per me è uno stato emotivo non una condizione oggettiva non a caso ognuno di noi può rispondere facilmente alla domanda "Ti senti felice?" e più difficilmente alla domanda "Sei felice?".Siamo abituati a considerare la sensibilità come un pregio importantissimo e in effetti è tutto quello che ci differenzia dall'essere robot senza un anima. Quando però il nostro sentire prende il sopravvento, trasformando le nostre giornate da radiose ad angosciose bisogna avere il coraggio di socchiudere la porta del nostro cuore quel tanto che basta per non perdere noi stessi. Credo sia un peccato spegnere una bella luce perchè troppo accecante per i nosti occhi, sarebbe meglio attenuarla un po e continuare a goderne

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  4. Ero andata indietro nel tempo del mio blog, ho trovato un tuo semplice e sereno commento che mi ha portato qui, non sono nello stato d'animo di postare qualcosa relativo all'argomento del post, ma io sento.
    Gingi

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  5. La sensibilità e l'empatia, nel mondo odierno possono essere una maledizione.
    Secondo me, un aiuto può venire dal circondarsi di persone ottmiste e positive. Peccato che se ne trovino poche, in giro, che non siano anche superficiali.

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