Pma non è la sigla di un prodotto medio
annuo o l’abbreviazione di qualche stramba multinazionale. Pma sta per procreazione
medicalmente assistita, vale a dire l’insieme delle cure chirurgiche,
farmacologiche, ormonali o altro che permettono agli individui in difficoltà di
procreare. Non vorrei parlare delle tecniche in se, di statistiche o del numero
crescente di coppie infertili, (ci sono siti e blog molto più autorevoli del
mio), ma di sentimenti. Di emozioni, sensazioni, paure, attese, sensi di colpa,
insuccessi e progetti.
Vorrei parlare di una valigia, la valigia
dei sogni, quella valigia che porta con se la gente che popola il mondo che
ruota intorno alla scelta-non sempre libera- della fecondazione medicalmente
assistita. E’ una valigia zeppa di cose.
Bisogna metterci dentro vestiti caldi che
proteggano dal gelo dei fallimenti, impermeabili che lascino scorrere sopra la
liquidità di certe lacrime amare, la leggerezza e la speranza, un pezzo delle
vite vissute e un pezzo di quelle sognate. Un po’ di sano umorismo che serve a
mandar giù quei rospi indigesti destinati, poveracci, a non diventare mai principi.
Occorre infilarci un po’ di tenacia e un po’
di pazienza, un po’ di sale, un po’ di pepe e un po’ di culo. Parecchio culo. Si,
perché l’esito del percorso è incerto; è imprevedibili in termini di risultati,
difficile in termini di equilibri.
La fortuna, e il suo contrario ci mettono
spesso lo zampino e nonostante la prima sia cieca il secondo ci vede benissimo.
L’infertilità, sterilità o qualunque nome si
voglia dare alla difficoltà a mettere al mondo figli è una malattia e lo è nell’anima
prima ancora che nel fisico. E’la malattia del vuoto, il vuoto di qualcosa che
non c’è. Il tipo di vuoto di cui parlo è simile al vuoto che si prova per una
perdita, un abbandono, una morte. Ma è anche simile alla sensazione che si
prova dopo una delusione, dopo un tradimento. E’ la sensazione di essere stati traditi, imbrogliati da quell’ordine, atavico
e biologico, naturale, per il quale noi donne, siamo destinate a procreare e
non riuscendoci ci vergogniamo sentendoci in colpa. Il vuoto che racconto ha a
che fare con la percezione del tempo, con l’insostenibile peso del pensiero della fine. Il tempo che
passa, inarrestabile, feroce, scorre verso qualcosa che non torna indietro,
verso la vecchiaia, la morte. La mancanza di un figlio ti priva della
possibilità di lasciare qualcosa di te, dopo di te, al mondo.
Occorre aver intrapreso il viaggio verso un
figlio che non c’è, per capire che l’infertilità è la malattia del vuoto;
l’assenza ti lacera come un lutto perdendo la proiezione che hai di te nel futuro.
Allora, quando questo vuoto ti assale, ti
devi fermare e ti devi chiedere cosa sei disposto a fare per colmare il buco
che senti. Puoi urlare a squarciagola, sbattere la testa contro tutti gli
spigoli dei muri della tua e delle case altrui, spiccare dal calendario tutti i
santi, compresi i patroni,ucciderti di moijto, toccare il fondo e poi
riemergere e cominciare a preparare la valigia.
E’ difficile, è faticoso, ti devi confrontare
con cose rispetto alle quali non avevi mai pensato di doverti confrontare.
Avere figli, non averli, adottarli, ricorre alla provetta o mandare al diavolo
la tata Lucia (quella di S.O.S. tata, la più anziana delle tre, per intenderci)
insieme allo stuolo infinito di fastidiosi, molesti, irragiungibili pargoli che
popolano il tuo immaginario. Reinventarti.
Qualunque sia la scelta che si compie, il
bagaglio da preparare e da riportare è pesante.
Qualunque sia il viaggio, sarà una prova di
coraggio che a confronto, l’esercito degli ospiti dell’isola dei famosi (
edizione milleseicento) preferirebbe non mangiare più per il resto della vita,
pur di non doverla affrontare.
Sarà coraggioso accettare la propria
condizione, come lo sarà intraprendere un percorso di procreazione medicalmente
assistita, o riscegliere il proprio/a compagno oltre il progetto figlio, reimpostando
il senso del vivere insieme.
La nostra valigia però, non dovrà più
contenere sentimenti di colpa o di vergogna da nascondere sotto strati di
segretezza.
Non si tace il coraggio.
Se voleste parlare, la mia casella di posta
non è intasata di messaggi…anzi!
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