mercoledì 30 dicembre 2015

Conversazione tra moglie e marito, in una buona giornata


Io: ti amo

Lui: ti chiamo

Io:?

Lui: nel senso che, le faremo sapere.

Auguro a tutti di avere delle buone giornate che, nei prossimi 365 giorni nuovi, averne anche solo alcune, è già buona cosa.

martedì 29 dicembre 2015

Per sempre


Per sempre, fa paura, ma da anche sollievo.

Per sempre è impegnativo. Eterno, atemporale.

Per sempre è una condanna, ma anche il suo contrario. Assolve dalla precarietà.

Per sempre è definitivo, immutabile. Eppure, niente lo è davvero. Perché alla fine, si è sempre in tempo, per ripensarci.

Per sempre, è tanto, tantissimo. Per sempre è dalla luna e ritorno.

Per sempre è così zeppo di significato che le parole non lo contengono.

Scusami, quindi, se ti amerò per sempre. Ma sono tua madre.

venerdì 18 dicembre 2015

L’infelicità, è una roba seria


A Natale l’infelicità pesa di più. Pure alcune parti del corpo, ma quelle, per ragioni assai diverse dal carico dei propri fardelli. A Natale, l’infelicità la si vorrebbe nascondere, sottrarre alla vista come al cuore, dimenticarla, almeno nei giorni di festa. E, invece, è proprio durante quei giorni che grida più forte. L’infelicità a Natale è insopportabile, strazia e l’unica cosa che si vorrebbe fare è non vedere, non sentire, fingere che vada tutto bene. Restare immobili, come statue di sale, fermi a credere che nessuno piange nessuno.

L’infelicità è una roba seria, non la lavi e non la levi via, neanche con la candeggina. Neanche il più sofisticato sistema di pulizia riuscirebbe ad addolcirne il fango, manco la signora Luisa, quella che veniva presto, finiva presto e non puliva mai il water.

L’infelicità non si vorrebbe mai vedere nei volti dei bambini, negli occhi dei vecchi. Trafiggono come lance, certi sorrisi negati. E’ sbagliato pensare che sia solo appannaggio di alcuni, dannatamente erroneo, credere però, in una sua eguale distribuzione. L’infelicità è una vecchia e sporca infame. L’indegna compagna di molte vite. Tocca chiunque, ma su qualcuno si ferma, si attacca e come un cancro dilaga e alberga. Tanto che a un certo punto, non sai più quale sia la sua origine e se si possiedano gli strumenti per combatterla. A Natale non siamo tutti più buoni, siamo solo tutti più stanchi. E chiediamo umanamente una tregua, una pausa miracolosa che calmi anche gli animi più derelitti.

venerdì 11 dicembre 2015

Il peggio di...


Peggio di un gruppo di whatsapp composto principalmente da donne, madri dei compagni di scuola del proprio figlio, c’è solo:

-          Essere la rappresentante di classe della scuola del proprio figlio;

-          Accorgersi che il latte è scaduto dopo che lo si è messo e bevuto nel caffè;

-         Acquistare una tinta per la ricrescita, pensando di risparmiare i soldi spesi dal parrucchiere, sbagliare colore della tinta, per distrazione, andare dal parrucchiere spendendo il doppio di quanto avresti speso se fossi andata per fare la tinta per la ricrescita, rimediare al danno fatto, facendone uno di più ampie dimensioni;

-          Il sugo di pomodoro sugli spaghetti al tartufo nero;

-          Il “sa di tappo” del Masseto tenuta dell’Ornellaia 2011;

-          Chiedere soldi alle madri dei compagni della classe di tuo figlio per regalo di Natale per le maestre;

-          La mozzarella della pizza a trancio che rimane attaccata alla carta;

-         Il correttore t9 che si prende troppe libertà, a cui vorrei dire che, a volte, stronzo,  non è strano, è proprio stronzo.

mercoledì 9 dicembre 2015

Salviamo Santa Claus


Personalmente, la polemica presepe no, presepe sì, recita no, recita sì, crocefisso no, crocefisso sì, nelle scuole, mi fa lo stesso effetto di quando, da ragazzina, vedendomi negato un desiderio, facevo del tutto per realizzarlo. Abbraccio con entusiasmo l’idea di uno stato e di una scuola laica, ma odio che mi si impongano scelte contrarie ad una bonaria tradizione per non suscitare la sensibilità altrui, quando, quotidianamente, l’emotività, la delicatezza e l’impressionabilità è messa a dura prova da atteggiamenti e fatti ben più gravi di una recita di bambini che cantano la fratellanza con cappellini rossi e pon pon bianchi. Io sto con Santa Claus e lo difenderò a spada tratta, anche a costo di perdere consenso. Quest’uomo che esiste nell’immaginario collettivo di adulti e piccoli, esplosione del rito dell’attesa, dell’atto magico del credere, indipendentemente dal credo religioso, incarna la possibilità che qualcosa di bello possa sempre accadere. E’ l’icona della possibilità, della speranza. E’ desiderio, aspettativa, sogno. E’ il cuore che batte, misto a paura. Mi avrà portato i regali? Come mi avrà giudicato? E’ adrenalina, è memoria che si fa rappresentazione e ricordo e mattone per la propria crescita. E mi rivedo piccola, nascosta in camera insieme ai miei cugini, con i muscoli contratti a spasimare per un sogno.
Risento nelle orecchie il rumore di gesti buoni, simulati per amore. E quel brivido lungo la schiena che sa di eccitazione e desiderio, cocente ieri come oggi, lo abbiamo provato, uguale, in altre mille situazioni.  Sappiamo bene quale importante ruolo svolga la memoria nello sviluppo di un individuo. Purtroppo, però, spesso lo dimentichiamo. Abbiamo complessi meccanismi di conservazione e distruzione dei ricordi, impalcatura invisibile delle nostre personalità, che ci rende quello che siamo. E, se ci riflettiamo bene, i ricordi più belli sono legati alla possibilità del cambiamento.  Inside out, il delizioso film sulle emozioni della Pixar, insegna l’importanza dei ricordi base e Babbo Natale, è, un ricordo base. Come lo è la scoperta della sua inesistenza, prima ruga della fragilità di un genitore, prima crepa della sua grandezza, agli occhi di un bimbo.

 Tutto il resto è archivio che va spolverato, ogni tanto ripulito, qualcosa va gettato, il più delle volte per sopravvivenza, ma mai e poi mai, qualcuno dotato di buon senso, penserebbe di cancellare un ricordo base. Perché i ricordi base sono i pioli delle cose belle che abbiamo vissuto. L’odore di nostra madre, o di nostro figlio. La sensazione della prima cosa bella, vista, provata. Il primo bacio, la prima perdita, il suono delle voci familiari, l’incanto di un momento che si fa felicità. Sono quelle cose che restano lì e ci rendono quello che siamo. Il baule dal quale attingere ogni volta che, un dolore o la nostalgia ci trapassa, senza sapere bene verso quale direzione.

 Ricordi base, impalcatura, scheletro del nostro essere.

 I ricordi base sono universali, indipendentemente dal credo, perché uguali sono le emozioni, identico e doloroso il percorso per diventare grandi, più fluido e sereno, per chi, però, possiede una speranza. E Babbo Natale è questo” è un atto di fede nel domani”, credere con ottimismo che qualcosa può e deve essere migliore.

Speranza di tutti. Pure di chi non crede.

Save the Christmas. Save Santa Claus

 

 

 

lunedì 30 novembre 2015

C'eravamo tanto amati


Mi domando: dove va a finire tutto l’amore provato, quando una storia finisce?

Voglio dire, tutta quella roba che sembra strappare la pelle, esplodere il cuore, rizzare i capelli, dove va messa, quando poi lui o lei, non la vogliono più?

Che tu vorresti trovargli un posto, a tutto quel ben di Dio, che ti sembra assurdo doverlo gettare nella spazzatura con il residuale, magari di mercoledì, che è un giorno sciocco per gettare nell’inceneritore gli amori finiti. E te ne stai a pensare che è proprio uno spreco, buttarlo tutto quell’amore, ma è come un montone foderato di lapin venduto in saldo il 20 di agosto. Bello, eh, ma un po’ troppo caldo. Magari là fuori c’è pure qualcuno che pensa che sia un ottimo affare.

Ecco, dove lo si mette un amore grande, che sembrava proprio tale e non un semplice calesse e forse era proprio amore, ma ora, non lo è più?
-
Che mica tutti son bravi a raccogliere i pezzi, non tutti riciclano amori stropicciati e pochi riescono a trasformarli in nuove energie. Qualcuno scrive, altri dimagriscono, qualcuno beve, di solito quelli che dimagriscono non bevono, oppure bevono e dimagriscono e smettono di mangiare e pure di respirare. Perché gli amori finiti sono come i lutti senza i morti. Più o meno diceva così la mia amica Barbara. Piangi cadaveri che non ci sono. E neanche puoi inscatolare, come nei traslochi pezzi di amore dentro pacchi numerati con la scritta su “fragile”.
Dovrebbe esserci un paradiso per gli amori finiti, un giardino di fiori dove stanno i sentimenti terminati. Lì potrebbero vivere ad oltranza, sollevando noi umani dal cercare un cazzo di posto dove infilarli per non scoppiare.
Possibile che nessuno ci abbia mai pensato?

P.S.

Io sto bene, almeno, per il momento!



martedì 24 novembre 2015

Ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere


Da bambina, a casa mia, era normale consuetudine fare il gioco del letto che vola.
Si saliva sul letto grande, quello dei genitori e mia madre, con me e mio fratello a lei avvinghiati, facendoci chiudere gli occhi, ci iniziava ad un fantastico viaggio fuori dalla finestra. Ne ho parlato nel mio primo libro, “Resta dove sei” e forse anche qui, in qualche post datato ma, avendo una certa, perdo colpi. Non vogliatemene.
Insomma, torno sull’argomento, perché, il viaggio ad occhi chiusi sul letto volante, mi ha insegnato a vedere oltre il visibile. Per farla breve, si apriva la finestra, ci si stringeva, tante volte fossimo caduti per le correnti d’aria fredda e ci si innalzava, su, su. Niente a che vedere con un viaggio in aereo, eh. Il viaggio sul letto volante era cosa assai diversa. Perché il nostro letto volante era più di un semplice mezzo di trasporto. Era dotato di personalità, di intelligenza e sentimenti propri.
Come il tappeto volante del film Disney Aladdin. Avete presente? Possedeva la strana intelligenza, che, unita a quella di mia madre, permetteva di vedere le meraviglie del mondo, immaginando paesaggi, persone, ambienti e storie. Storie sopra le nuvole, sotto. Storie gialle, rosse. Storie odorose. Forse da lì è nata la mia voglia di scrivere e raccontare, anche senza la penna in mano o la tastiera davanti. Così, i cieli del mondo e i paesaggi sotto, non hanno più avuto segreti per la mente di una bambina in cerca di ispirazione. Un letto coraggioso, il nostro, folle nel suo genio, caldo e soffice. Il tutto lo devo, però, a mia madre. Donna di stravagante inventiva che malgrado le sberle della vita, crede ancora che nei boschi abitino, folletti.
Grata di questa esperienza, ho provato a riproporre, con lo stesso entusiasmo, il medesimo gioco a mio figlio, il quale, candidamente, mi ha risposto, guardandomi come se fossi matta che, i letti non volano.
Quale parte della frase “dona a chi ami ali per volare,  radici per tornare e motivi per rimanere*”  devo approfondire?
*Dalai Lama
 

lunedì 23 novembre 2015

giovedì 19 novembre 2015

I giorni tristi


Adesso, vieni qui che, ti devo spiegare una cosa importante.

La ragione non sta mai da una sola parte.

Si sposta di continuo. Una volta è sopra, una volta è sotto, a volte a capo.

L’importante sarebbe che, una volta a capo, la gente sapesse davvero ricominciare un nuovo rigo.

Come quando tu cerchi una pagina bianca per iniziare un disegno, che se è sporca di un tratto nero, non va bene, la vuoi nuova e intonsa.

Intonsa? Che non è stata usata, non è stata tagliata, ma anche che non è mai stata letta. Insomma vuoi che sia pulita.

Di pulito, in questi giorni, non c’è niente.

Che giorni sono, questi?

Giorni tristi.

Come quando Tristezza prende il comando in Inside out?

Più o meno. Non proprio.

Hai presente quando tu giochi alla guerra con i super eroi?

Si.

Hai presente quando quelli buoni, combattono contro quelli cattivi?

Si.

Ecco, bravo. Hai presente Hulk?

Si.

Lui è verde, enorme, fortissimo e soprattutto quando è arrabbiato, spacca.

Quando spacca, succede che rompa le cose, le case, che schiacci qualcuno. Ma Hulk è anche Bruce, quello innamorato di Betty, lo scienziato.

Quello buono, insomma, che diventa cattivo, solo perché gli hanno iniettato i raggi gamma.

Ecco, insomma. Esistono alcune persone che nascono buone, ma che diventano cattive.

Perché gli hanno iniettato i raggi gamma?

In un certo senso. Gli hanno immesso tanta rabbia. Di quella che fa esplodere, di quella che fa rompere.

Ah, ho capito. Ma poi si pentono?

Non sempre. Non tutti.

Non mi interrompere. Fammi andare avanti che perdo il filo.

Altri nascono cattivi e basta e altri ancora, che sembrano buoni, per difendere le proprie posizioni, diventano cattivissimi e fanno del male.

Non ho capito.

Neanche io.

Ok. Riproviamo.

A te, piacciono tanto i dinosauri. Hai presente quando vivevano i dinosauri e non c’erano gli uomini?

Si.

Bene. Poi i dinosauri si sono estinti e sono venuti gli uomini. Siccome però, si sentivano soli, ognuno a vivere nella propria caverna, hanno deciso che era meglio vivere insieme. Per vivere insieme, però, si sono a accorti che dovevano rinunciare a qualcosa, a fronte di una vita bella insieme. Come quando partiamo per andare in vacanza. Non possiamo portare tutti i tuoi giochi, allora tu rinunci a qualcosa, come mamma e papà, per entrare tutti insieme nella casa al mare che ci accoglierà. Bene.

Posso avere un ovetto Kinder?

Non ora.

Insomma. Quando gli uomini decidono di vivere insieme formano una grande famiglia che, poi diventa una città, poi un paese, poi uno stato, poi più stati, fino a formare il mondo e devono avere delle regole da rispettare. Ti immagini se tutti volessero fare quello che gli pare o prendere le cose degli altri?

Ma non si fa!

No, non si dovrebbe.

Comunque. I giorni tristi sono quando le persone vogliono prendere le cose degli altri. E le prendono con la forza. Le prendono facendo male e spesso ci rimette chi non c’entra. Non solo quelle materiali, soprattutto quelle che non si toccano. Tipo la speranza, i sogni, la possibilità del cambiamento. A te non piace quando gli altri ti tolgono le cose con la forza? Ecco, neanche ai grandi. Hai presente quando a scuola ti arrabbi perché c’è quel bambino che è più grosso e fa il gradasso forte della sua statura?

Chi, Adam?

Si, Adam.

Beh, di Adam ne è pieno il mondo. Ci sono tanti tanti Adam, Pietro, Giovanni, Pincopallo  che, per tanti motivi, proveranno sempre con la forza, ad imporre le proprie ragioni.

E allora io gli do un pugno.

No. Tu gli dai un pugno solo per difenderti. Tu hai la testa e devi ragionare. Tu sei più il più forte perché hai una bella testa, con tanti ricci biondi e tanti pensieri. Usali. Sempre.

Anche quando avrai paura, anche quando gli altri tenteranno di farti un torto.

Dopo il pugno glielo posso dare?

giovedì 8 ottobre 2015

Il matrimonio fa bene all'amore


-          Ma tu, mi ami?

-          Ti amavo.

-          E quando, precisamente, hai smesso di farlo?

-          Quando mi hai sposato. Se mi avessi voluto bene, bene davvero, non mi avresti sposato.

 

martedì 6 ottobre 2015

Teoria anti boomerang


Quelle cose che ti colpiscono come una bistecchierata di ghisa in piena faccia, come l’ultimo scroscio d’acqua proveniente da una grondaia nascosta sui capelli di recente piastrati, come una cacca di piccione sulla maglia nuova appena acquistata.
Quelle cose che non ti aspetti, che ti percuotono, battendo dove il dente duole, quelle che tornano, inaspettatamente, ma anche un po’ aspettatamente.
Come un boomerang, che se non riesci a schivarlo  ti prende in pieno, mentre è in volo, mentre percorre distanze e traiettorie che sembrano essere lontane dalle tue, eppure, arriva sempre a colpire nel segno.
Bisognerebbe avere una preparazione tecnica atta a schivare i colpi bassi, ma anche quelli alti, andare a scuola di arti marziali puramente difensive anti boomerang.
Una pratica con una precisa filosofia e spiritualità alla base.
Bisognerebbe sviluppare la capacità di autocontrollo nelle situazioni boomeranghesche, che a mio avviso, dovrebbero esplodere non tanto il concetto dell’uso efficiente dell’energia positiva e del rispetto dell’avversario, quanto piuttosto, il concetto del vaffanculo, contrario all’armonia nel suo insieme, ma tanto liberatorio.

 

giovedì 1 ottobre 2015

La sposa era bellissima


Un articolo dell’Huffington Post che parla di un semplice gesto d’amore, ha riaperto vecchie ferite. Un padre biologico ferma il matrimonio per chiedere al patrigno di accompagnare la figlia all'altare. Protagonisti: Todd Bachman, padre biologico della sposa e Todd Cendrosky, patrigno della ragazza e compagno attuale della madre di lei.

Così al momento di accompagnare la sposa all'altare- quel momento così intimo e profondo del rapporto di un padre ed una figlia che, sancisce il passaggio di un testimone, l’avvicendamento di ruoli e l’atto supremo di amore di un genitore nei confronti della propria figlia- il padre biologico si è voltato, è andato incontro a Todd Cendrosky, l'ha preso per mano e l'ha voluto al fianco suo e della figlia, riconoscendogli la funzione di padre, in seconda. Al di là del gesto che riconosce al padre una grande sensibilità e soprattutto la capacità di sapersi mettere da parte, fare un passo indietro e ammettere l’importanza di una persona che avrebbe potuto essere un suo antagonista, questo è un gesto bello che fa ricredere sulla bontà del genere umano e che mi ha molto colpita. Perché mio padre non c’era ad accompagnarmi il giorno del mio matrimonio. A dire il vero non c’era neanche il giorno del diploma, né quello della laurea, né alla nascita di mio figlio, ma, non so perché, la sua assenza mi è sembrata enorme proprio all’altare, che poi non era neanche un altare dal momento che mi sono sposata con rito civile. E leggendo sta cosa mi sono ritrovata a singhiozzare come una bambina a cui le si è spaccato il cerchietto di Hello Kitty. Alcune assenze sono più forti quando vedi gente intorno a te inzuppata di un dolore che tu, con il tempo e la fatica hai asciugato con ogni tipo di straccio. Gli stracci sono ancora lì, appallottolati in qualche dove pronti a sbucare fuori, bagnati come un tempo, in una giornata di pioggia, davanti ad un altare lontano.

Però, la sposa era bellissima.

 

giovedì 24 settembre 2015

Alla sinistra delle cose


Ho la mania della sinistra. Dormo a sinistra, cammino alla sinistra delle persone che, se non sanno di questa mia fobia, mi guardano interdette quando cambio lato, voto a sinistra.

Anche la mano sinistra mi è particolarmente simpatica, sempre all’ombra della destra, se non si è mancini. La destra sa fare tutto, scrive, porta il cibo alla bocca, fa cose. Una perfettina. La sinistra, se ne sta lì sperimentando attività che, come una sorella maggiore, l’altra sarà sempre più brava a fare.

E forse, è per questa propensione innata verso il lato sinistro delle cose che credo che il mio cuore, teoricamente adagiato al centro della cassa toracica, abbia deciso di farsi un po’ più in là e per questo senta le cose in maniera sbagliata.

martedì 15 settembre 2015

L'amore che posso


Sono giorni in cui la notte, fuori, allunga la mano ed espande il buio.

Si allarga fino a ricoprire oggetti e pensieri. E mi si appiccica addosso come una coperta corta. Come da un po’ non succedeva. Mi sento sbagliata, nel posto sbagliato, in ritardo, confusa.

Contromano in una strada ad unica corsia.

Sono giorni in cui dovrei dare il meglio, perché sono i giorni dell’inizio, della ripresa, del ricominciamo.  Il colore nitido del cielo di settembre, contrasta, invece, con quello dell’amore che posso. E sento un amore enorme, ma irrisolto, forse anche un po’ perso in mezzo ad una routine che mi va stretta. Per mio figlio dovrei essere, migliore, migliore per le persone che amo, migliore per quelle che vorrebbero, ma non possono, migliore della forma sbiadita che credo riflettere. Il bello è che, non c’è un perché. Forse, solo il caos di fuori che allunga la mano a scuoterci le coscienze. Immagini di bimbi riversi a pancia in giù, fiumi di gente che l’acqua non riesce a cullare, addii strazianti, la notte che, certe notti si fa inchiostro. Si fa madre Madonna anche la consapevolezza di non poter sempre guardare le spalle del figlio, del padre, del fratello e la croce diventa più pesante del peso che le spalle possono sopportare. E tutto l’amore che posso non riesce a rendere lieve il grido che sento, arriverà. L’amore che posso è niente, sebbene ti circondi come un tutto. Fatico a ridimensionarlo, fatico a renderlo, migliore.

giovedì 27 agosto 2015

La selfite


Lo ammetto. I selfie mi sconcertano. Non dico che non mi sia mai capitato di postare foto per il semplice gusto di imprimere un ricordo, anzi, l’autoscatto ha un suo perché. La fotografia è la scrittura della luce e come tutte le scritture, anche quest’arte, soggiace alla lettura e al giudizio dell’altro. Ma il selfie è altra cosa. Questa smaniosa frenesia di condividere la propria immagine impressa in azioni ovvie o normali, e in pose artefatte, che niente hanno a che vedere con il “cogli l’attimo” indebolisce la mia fiducia nel genere umano, che è già molto vicina allo zero. Da poco ho scoperto, con una certa incredulità, che esiste anche un’asta per tenere il cellulare in modo che uno sia libero di fotografarsi. Non ci volevo credere. Il bello è che la mania del selfie non risparmia nessuno: madri non proprio giovanissime con prole numerosa che mostrano grazie e graziotte, donne con problemi di peso, uomini convinti di essere i nuovi Argentero, capi di stato, gente che sta lì, lì, per esalare il suo ultimo respiro, eppure è pronta a condividere socialmente, anche la morte. Spesso mi capita di pensare quando, qualche persona che non vedo e non sento da anni mi chiede l’amicizia su un social, cosa la spinga a credere che sia piacevole riallacciare un’ amicizia virtuale, quando volutamente, abbiamo smesso di frequentarci venti anni prima. Stesso dicasi per il selfie: cosa spinge una persona a credere che altre trovino interessanti le sue cosce in riva al mare, o i suoi piedi smaltati? E’ ovvio che io mi riferisca alle persone che fanno del selfie la loro primaria forma di comunicazione, non certo a chi sporadicamente condivide momenti che ritengono importanti o semplicemente, propri.  E non rispondetemi che uno si selfa per far ridere e divertire gli altri perché, anche, no. Grazie. Credo piuttosto che uno si faccia, selfie per, raccontarsi, mostrarsi, apparire, esporsi, sui social, diffusissima forma di comunicazione a portata di tutti. E allora, come domanda mio figlio quattrenne quando sono mossa da azioni non chiare nei suoi confronti, io chiederei a questi signori: ma che avete nella testa? A chiedermelo non sono solo io, visto che studi recenti stanno analizzando questo fenomeno come nuova malattia:

“Gli studiosi ora si chiedono se si tratta della moda del momento, e quindi passeggera, o se nasconda qualche bisogno psicologico. La scienza è all'opera per dare risposte. Una ricerca ad hoc dell'Università Cattolica a Milano, condotta dal team del professor Giuseppe Riva, docente di Psicologia e nuove tecnologie della comunicazione. E lui è netto: "Un selfie è da considerarsi differente da un semplice autoscatto, il quale non prevede la componente social della condivisione, e anche da un self-shot, termine che nel contesto dei nuovi media è arrivato a identificare le fotografie di sé stessi a tema erotico. La ricerca, tuttora in corso, ha tre obiettivi principali: in primo luogo, ovviamente, quello di comprendere per quale motivo le persone scattino così tanti selfie; ma anche capire se ci siano differenze tra uomini e donne in questa pratica, e infine analizzare le possibili caratteristiche psicologiche, dal punto di vista della personalità, delle persone che hanno l'abitudine di puntare verso sé stessi la fotocamera del proprio smartphone”.

Questi i risultati:

“I risultati preliminari emersi finora hanno mostrato qualcosa di interessante: 150 partecipanti (35% maschi, 65% femmine), con età media di 32 anni, hanno completato un questionario sui dati anagrafici; uno sul loro utilizzo di social media, sull'attività del selfie e sulle motivazioni associate; il questionario Big Five Inventory per la misurazione dei tratti di personalità.

Perché "ti selfi"
Gli scopi riconosciuti all'attività del selfie sono soprattutto "far ridere e divertire gli altri" (39%), "vanità" (30%) e "raccontare un momento della propria vita" (21%). Emerge che i selfie si fanno non tanto per esprimere come sono o come si sentono (identità, aspetti interiori) bensì per raccontare agli altri con chi sono, dove sono e cosa stanno facendo (aspetti esteriori).

Le donne sono più selfie-dipendenti
Non può certo essere considerata una sorpresa il fatto che le donne amino farsi i selfie più degli uomini: le donne ne scattano, infatti, molti di più, e risultano più interessate alle motivazioni interiori. Inoltre, altro aspetto piuttosto prevedibile, affermano di sperare maggiormente di ricevere commenti positivi dagli amici sui social network, e temono più dei maschietti di ricevere commenti negativi.

Che ti passa nella testa?
Per quanto riguarda l'ultima domanda di ricerca, sono tre gli aspetti della personalità che risultano associati all'attività del selfie, spiega la ricerca in corso: "Le persone che si fanno selfie, rispetto a coloro che non se li fanno, appaiono significativamente più estroverse (ovvero più socievoli ed entusiaste, caratterizzate da elevate capacità sociali) e più coscienziose (ovvero più caute e capaci di controllarsi, con la tendenza a pianificare le proprie azioni piuttosto che ad agire di impulso) ".

Quindi, teoricamente, la donna incline al selfie, sarebbe significativamente più socievole, estroversa, dotata di autocontrollo e capace di pianificazioni strategiche.

Buffo, no?

Ed io credevo che fosse meno sveglia della rappresentante della specie dell’anatra muta.

E’ proprio vero. Devo in qualche modo rinvigorire la mia fiducia nel genere umano.

 

martedì 18 agosto 2015

Un uomo

"L'amore non è un riposo e quando nasce dai coiti dell'anima può diventare tragedia".
 
 "Un uomo" Oriana Fallaci

venerdì 14 agosto 2015

Il posto delle margherite


La verità sul caso Harry Quebert * è stato il caso editoriale dell’anno scorso. Scritto da Joel Dicker, classe ’85, è un romanzo giallo. Non solo. E’ un libro sull’arte del saper scrivere, sui sentimenti, sull’attribuzione di senso alla vita che solo la scrittura e l’amore sanno dare. Forse è un libro sull’amore. Quello con la A maiuscola, quello che si aspetta tutta la vita e oltre, quello di cui si continua a vivere anche dopo che il compagno ci ha lasciati. Un amore a volte anche stucchevole, zuccheroso, adolescenziale, forse per questo anche più intenso. Un amore impossibile, viziato, destinato a far male. E un noir pieno di colpi di scena che tiene incollato il lettore fino all’ultima pagina. Di quei libri che, appena finiti di leggere, lasciano un vuoto pieno, l’ossimoro per eccellenza, simile alla vertigine. Perché quando un libro finisce, è come se finisse con lui la parte di te che ha risvegliato. E un po’ ti viene da piangere e un po’ da ridere. Rileggerlo per una seconda volta non darà mai le medesime sensazioni. E’ un libro di anime perdute, ognuno a modo suo. Dove l’apparenza cela verità intime e spesso dolorose, dove niente è come appare. Ma non scrivo del libro per recensirlo. La rete pullula di commenti, giudizi e recensioni.
Scrivo per il posto di cui hanno bisogno le margherite.

Mi spiego.

Nella verità sul caso Herry Quebert si racconta la morte violenta di una ragazza e con lei, la morte di un amore infattibile che sopravvive alla stessa. Infatti, l’innamorato, l’amante, lo scrittore, il protagonista Harry Quebert resta ad attendere il ritorno della defunta e ferma la sua vita alla sua scomparsa. E’ come se spingesse il tasto pausa, sospendendo desideri, bisogni, pensieri. Continua a compiere, giorno dopo giorno le azioni compiute quando lei le era accanto, compra un cane giallo di nome Storm, come lei avrebbe voluto e ciba i gabbiani che lei ha amato.

Ma lei non c’è. E con lei, manca totalmente il senso da attribuire alla sua esistenza. Manca la musa, manca la rettitudine. Senza, viene meno l’uomo probo, viene meno, l’uomo.

Che c’entra tutto questo con il posto delle margherite?

Il posto delle margherite rappresenta, per me, il luogo-non luogo, che ognuno di noi, più volte nella vita ha immaginato e provato a realizzare. Può essere un giardino di farfalle, un appartamento al centro o in periferia, uno status, una professione, un ruolo. Può essere, essere madre, non esserlo, essere esattamente ciò che si voleva diventare, può essere, essere ciò che si è cercato di cambiare. Il mio posto delle margherite, ad esempio, nel mio immaginario di bambina, ragazza e poi donna, era un giardino, pieno di margherite, in riva al mare con un tavolo sotto a un oleandro, dove poter scrivere circondata dai tanti  figli che avrei voluto avere, i miei cani ai piedi, il mio compagno accanto e vicino, i miei cari. E tanto più la vita reale, quella che il destino ci ha in qualche modo portato a creare, somiglia al proprio posto delle margherite, tanto più ci sentiremo appagati.

Ecco, io credo che la verità del libro che, coincide poi con la verità che ognuno di noi cerca, sia che non si può sprecare una vita intera aspettando di trovare il posto più giusto per le proprie margherite.

Spesso la morte, proprio perché di morte trattasi, rende eterni e cristallizzati sentimenti che altrimenti, vivendoli, subirebbero, per forza, le ingiurie del trascorrere del tempo. La morte, la sospensione, la pausa fermano il tempo, santificano persone, consacrano emozioni, ma sacrificano anche l’essenza della vita che poi, in sintesi, è provare a vivere continuando a cercare il posto più adatto dove piantare i semi delle proprie margherite anche quando somigliano alla gramigna.

Buon Ferragosto.

*“Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere: è bloccato, non riesce a scrivere una sola riga del romanzo che da lì a poco dovrebbe consegnare al suo editore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e professore universitario Harry Quebert, uno degli scrittori più stimati d’America, viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore, a Goose Cove, poco fuori Aurora, sulle rive dell’oceano. Convinto dell’innocenza di Harry Quebert, Marcus Goldman abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta. Marcus, dopo oltre trent’anni deve dare risposta a una domanda: chi ha ucciso Nola Kellergan? E, naturalmente, deve scrivere un romanzo di grande successo. La verità sul caso Harry Quebert è un fiume in piena, travolge il lettore e lo calamita dalla prima all’ultima pagina. è il giallo salutato come l’evento editoriale degli ultimi anni: geniale, divertente, appassionante, capace di stregare prima la Francia, poi il mondo intero”.

martedì 11 agosto 2015

La finestra aperta


Sono stata minuti che sembravano ore- e forse lo erano- a guardarlo dormire. Fuori, i fulmini illuminavano, senza preavviso, la stanza calmata dal vento ristoratore. Dormiva, dormiva del sonno buono dei bambini. L’odore della terra bagnata si è mescolato a quello delle pieghe del collo. E’ abbronzato, biondo, abbronzatissimo. I bambini quando dormono hanno il sorriso dei sogni, gli angoli della bocca sono sempre rivolti all’insù. Prendersi cura, questo è stato sempre uno dei miei problemi. Un esagerato sentimento volto alla protezione. L’istinto mi ha spinto a chiudere la finestra, la ragione a lasciarla aperta. Perché da lì passeranno aspirazioni, evasioni, affermazioni. Insieme agli scontri e spero, ai ritorni.

Quella finestra “sempre aperta di una casa di carta su di un’isola deserta, per chi sa volare che da noi possa arrivare a riposare” cantava Finardi. Quella finestra intorno alla quale, tutti i genitori, chi più chi meno, erigono un sistema di fortificazioni degno delle migliori opere militari balistiche, che neanche la linea Maginot, a difesa dei propri figli. Eppure, nessuna difesa mobile o statica è in grado di impedire la capacità di erosione del bisogno di libertà. Di provare, per sbagliare, imparare, cadere, costruire e costruirsi. Perché in fondo la vita dei nostri figli è fuori, oltre la finestra. Anche quando fuori piove. Anche quando leggi dell’ennesima stupida morte per droga, anche quando sai che, malgrado tu abbia seminato una vita, il suo campo, non puoi controllarne tutti i semi. Ed è proprio da quelli più spontanei e ingovernabili, quelli portati dal vento libero che brucia e poi calma, che, spesso, nascono i fiori più belli.

Dormi, amore mio. Dormi ancora.

giovedì 16 luglio 2015

Ridere, ridere, ridere ancora


 Dice che,

 bisogna essere leggeri. Dice che bisogna ridere, che quando si ride si è più belli. Che gli occhi diventano le pagliuzze della luna, due linee tratteggiate, come i contorni fluidi delle nuvole. Dice che se si ride di gusto la vita ri-sorride, una sorta di specchio magico. E più si è leggeri più si va in alto.  Tornare a volare dopo una legnata, mica è cosa facile. Ci vuole l’abilità del giocoliere, la costanza dell’esercizio e una bella sbronza. Che se sei leggero, tutto questo viene meglio. Perché si sta un gradino sopra. Sopra i dispiaceri, sopra le sfortune. E li si guarda dall’alto in basso, e pure con un atteggiamento un po’snob. Di quelli con la puzza sotto il naso, perché il naso lo hai in su, a guardare le linee tratteggiate delle nuvole dai contorni fluidi. A quel punto gli occhi non sono più solo fessure che lasciano oltrepassare fili di luce ma sono anche balconi fioriti da cui sporgersi nelle sere d’afa estiva. Sta di fatto, tuttavia che, il problema sia sempre lo stesso: è facile essere felici, quando si è felici. In quel caso, si è leggeri come la figlia di Bianca Balti.

Poi però, devi far i conti con l’altro problema. Quello del sentire. Che cozza con la voglia di ridere, litiga con la leggerezza, si azzuffa con la levità.

Ed io sento.

“Io sento.
Ho questa orchestra pazza e stonata nella testa con cui mi sveglio ogni mattina.
Questo buco nel cuore per cui tutto mi attraversa fino a investire respiro e ragione.
E ti assicuro che non avrei voluto essere così.
C'erano giorni in cui mi sembrava di soffrire per il dolore di tutti.
Mi convincevo che ogni animale seviziato, ogni bambino deriso, ogni foresta abbattuta, fossero una ferita all'anima del mondo di cui io dovevo considerarmi responsabile.
Non mi voglio giustificare ma gradirei che almeno tu lo comprendessi.
Il problema di nascere e crescere con questa maledizione di sentire tutto, troppo.
E rischiare, proprio per questo, di perdersi.
Di accettare la realtà roteando un'ascia fra le mani, colpendo a caso.
Fino a rimanere sola.
E non capirci, di nuovo, più niente”.

Se si riesce a ridere con questo dentro, è fatta…

martedì 14 luglio 2015

Del domani, vi è certezza.


Per Daniele tutto accade, domani. Anche le cose successe ieri. O ieri l’altro, comprese quelle che dovranno avvenire. Strana concezione hanno del tempo, i bambini. A pensarci bene, però, questa visione atipica del tempo a me sembra, bellissima.  E’ una visione possibilista, avverabile, quasi che, domani, tutto possa accadere. Anche quello che, no. E, se sono successe cose brutte, domani, le potremo sempre ripetere perché vengano meglio, perché siano cose, sì.

 Domani siamo andati a cena fuori. Domani è stata proprio una bella giornata. Domani siamo andati a cercare le ossa di dinosauro, perché, domani, noi siamo paleontologi. Così, in questo limbo tra passato e futuro, in questa striscia di terra di nessuno, lui è il padrone del suo stare. Strana concezione hanno dello stare, i bambini. L’inizio rincorre la fine in un gioco perpetuo che è favola e realtà, tutto si mescola in una pozione magica dal nome infanzia. Mentre noi ingurgitiamo mojito, loro bevono filtri dalle doti terapeutiche che, a differenza dei primi, non contengono neanche alcool. Certe volte mi sembra che il domani dei bambini racconti molto di più. Una storia antica che loro conoscono e che noi abbiamo dimenticato. Una storia antica con cui nascono. Una storia che sentono, prima di capire, di comprendere o accettare. Hanno la saggezza tipica dei vecchi. Semplice, genuina. Sarà, forse, per via del fatto che bimbi e vecchi si trovano molto vicini a quel domani di cui sopra. In un tempo che forse è ciclico e non lineare, i vecchi hanno vissuto quello che i bambini devono ancora vivere e si trovano vicini, vicini, quasi a sovrapporsi in un punto che è inizio e traguardo. E come in un gioco da tavolo- quando completato un giro, si passa dal via- il domani è il punto di partenza, e di ritorno. In effetti, l’eternità non ha un prima e un dopo. E forse, prima di nascere e dopo morti, siamo tutti lì, dentro al domani.

martedì 7 luglio 2015

I portatori di sogni


"In tutte le profezie
sta scritta la distruzione del mondo.


Tutte le profezie raccontano
Che l’uomo creerà la propria distruzione.


Ma i secoli e la vita che sempre si rinnova
Hanno anche generato una stirpe di amatori e sognatori;
uomini e donne che non sognano la distruzione del mondo,
ma la costruzione di un mondo pieno di farfalle e usignoli.


Già da bambini erano segnati dall’amore.
Al di là delle apparenze quotidiane
conservavano la tenerezza e il sole di mezzanotte.
Le madri li trovavano piangenti per un uccellino morto
e più tardi trovarono anche molti di loro
morti come uccellini.


Questi esseri convissero con donne traslucide
e le resero gravide di miele e figli nutriti
da un inverno di carezze.


Fu così che proliferarono nel mondo i portatori di sogni
ferocemente attaccati dai portatori di profezie
che annunciano catastrofi.


Li hanno chiamati illusi, romantici, pensatori di utopie,
hanno detto che le loro parole sono vecchie
- e in effetti lo erano
perché antica è la memoria del paradiso nel cuore dell’uomo -
gli accumulatori di ricchezze li temevano
e lanciavano eserciti contro di loro,
però i portatori di sogni tutte le notti facevano l’amore
e continuava a germinare il loro seme nel ventre di quelle
che non solo portavano i sogni ma li moltiplicavano
e li facevano correre e parlare.


In questo modo il mondo generò nuovamente la propria vita
così come aveva generato quelli
che inventarono il modo di spegnere il sole. -


I portatori di sogni sopravvissero ai climi gelidi
ma nei climi caldi quasi sembravano sbocciare
per generazione spontanea.
Forse le palme, i cieli azzurri, le piogge torrenziali
avevano qualcosa a vedere con questo,
la verità è che come laboriose formichine
questi esemplari non smettevano di sognare e di costruire bei mondi,
mondi di fratelli, di uomini e donne che si chiamavano compagni,
che insegnavano l’uno all’altro a leggere,
si consolavano nelle morti
si curavano e aiutavano fra loro, si volevano bene, si appoggiavano
nell’arte di amare e nella difesa della felicità.


Erano felici nel loro mondo di zucchero e vento
e da ogni parte venivano a impregnarsi del loro alito
e dei loro sguardi luminosi
e in ogni direzione partivano quelli che li avevano conosciuti
portando sogni
sognando profezie nuove
che parlavano di tempi di usignoli e di farfalle
in cui il mondo non sarebbe finito in un’ecatombe
ma, al contrario, gli scienziati avrebbero progettato
fontane, giardini, giochi sorprendenti
per rendere più gioiosa la felicità dell’uomo.


Sono pericolosi – stampavano le grandi rotative
Sono pericolosi – dicevano i presidenti nei loro discorsi
Sono pericolosi – mormoravano gli artefici di guerra
Bisogna distruggerli- stampavano le grandi rotative
Bisogna distruggerli – dicevano i presidenti nei loro discorsi
Bisogna distruggerli – mormoravano gli artefici di guerra.


I portatori di sogni conoscevano il loro potere
e perciò non si sorprendevano.
E sapevano anche che la vita li aveva generati
per proteggersi dalla morte annunciata dalle profezie.
E perciò difendevano la loro vita anche con la morte.
E perciò coltivavano giardini pieni di sogni
e li offrivano in dono con grandi nastri colorati;
e i profeti dell’oscurità passavano notti e giorni interi
controllando tutti i passaggi ed i sentieri,
cercando quei carichi pericolosi
che non hanno mai potuto intercettare,
perché chi non ha occhi per sognare
non vede i sogni né di giorno né di notte.


E nel mondo si è scatenato un gran traffico di sogni
che i trafficanti della morte non riescono a bloccare;
e dappertutto ci sono quei pacchi con grandi nastri colorati
che solo questa nuova stirpe di veri esseri umani può vedere
e i semi dei loro sogni non si possono scoprire
perché sono racchiusi in rossi cuori
o in ampie vesti di maternità
dove i piedini sognatori caprioleggiano
nei ventri che li portano.


Dicono che la terra dopo averli partoriti
scatenò un firmamento di arcobaleni
e soffiò fecondità nelle radici degli alberi.


Noi sappiamo solo che li abbiamo visti
Sappiamo che la vita li generò
per proteggersi dalla morte che annunciano le Profezie"


Da “La costola di Eva”

Gioconda Belli

martedì 23 giugno 2015

Le cose silenziose


Le cose silenziose sono le peggiori, perché sono lì e rosicchiano abitudini come i tarli delle vecchie credenze. Le cose silenziose, che siano taciti bisogni, mute necessità o urgenze tacite, lavorano di nascosto. Come i cinesi ammassati in grandi stanzoni. Silenti e in condizioni disumane. Poi, quando le cose silenziose trovano la loro voce, esplodono con la violenza delle cose silenziose. E crepano equilibri faticati e annosi. Sollevano dubbi e non danno risposte. Le cose silenziose sono come le salite che non ti aspetti: qualcuno dice trampolini, altri pendenze non percorribili. Spesso mettono davanti ad un bivio, intraprendere o no un viaggio. E allora riporto un brano di “Avrò cura di te” perché in fondo, poi, ogni viaggiatore, alla fine ha voglia di tornare a casa sua.

“Ho sempre avuto una fascinazione segreta per quei fachiri in movimento che sono i maratoneti. La loro corsa è un viaggio in cui si incontrano culmini di onnipotenza e strapiombi di disperazione. Chiunque affronti il percorso troverà in agguato un chilometro di piombo, durante il quale i pensieri si appesantiscono assieme alle gambe e la mente si rifiuta di sopportare il dolore: vorrebbe soltanto arenarsi al bordo della strada. In quel momento il maratoneta decide se ritirarsi o resistere. La crisi lo sovrasta e nessuno in coscienza può dirgli quando finirà. Ma l'atleta fa una scommessa con il proprio destino e rinvia la resa di un metro, di un altro, e poi di un altro ancora: finché le gambe ricominciano a respirare un'aria più leggera. Tagliato il traguardo, scoprirà che il chilometro di piombo lo ha trasformato. Avendo oltrepassato la morte, è diventato immortale. E' di questo che andiamo in cerca nei viaggi. Di una prova che consenta di comprendere chi siamo e di dare valore a quello che abbiamo”.