martedì 30 ottobre 2012

Il curriculum umano


Venerdì sera è morta improvvisamente la mamma di una mia amica.

Era giovane. Si è svegliata nella notte, ha sentito un rumore sordo al centro del petto ed è morta. Neanche il tempo di farle una camomilla, neanche il tempo di dirle quanto i suoi cari l’hanno amata. E’ morta tra le braccia del marito, silenziosamente.

Così senza preavviso, senza avvertire, senza dare il tempo di preparare le figlie a vivere una vita senza di lei.

Il suo compagno l’ha abbracciata e lei si è abbandonata. Lasciandosi andare altrove.

Le sopravvive anche sua madre. E credo che non ci sia dolore più grande se non quello di continuare a vivere dopo la morte del proprio figlio.

Sabato mattina c’è stato il funerale e tra le lacrime e il dolore per una madre che lascia questa terra, ho sentito la più strana delle omelie.

Un’omelia di stampo aziendalistico. In linea perfetta con gli standard europei.

Infatti, il prete ha detto, testuali parole che: ”Chi ha espletato un curriculum umano di tutto rispetto, rasentando la perfezione, è chiamato dal Signore. Non importa quanti anni hai, cosa ti rimane da fare. Se hai un buon curriculum umano e sei talmente buono da sembrare pronto a Dio, significa che è venuto il tuo tempo.

Fine, stop. Obbligo di fermata.

Tutti sappiamo cosa sia il curriculum vitae et studio rum, più comunemente curriculum vitae oppure, semplicemente, curriculum, che tradotto dal latino significa corso della vita (e degli studi), ma non chiedetemi cosa sa quello umano.

Davvero, non ne avevo mai sentito parlare. Sebbene immagini di cosa si tratti, non ne ho una definizione terminologica.

Poiché il primo è un documento redatto al fine di presentare la situazione personale, scolastica e lavorativa di una persona a un datore di lavoro ed è il primo approccio tra candidato e datore, onestamente, non vedo perché uno dovrebbe mandare il suo curriculum umano al Signore a meno che non si sia proprio scocciato di vivere. Nel qual caso però, credo che il suicidio non rientri tra le esperienze formative ritenute positive. Oppure è un modo di dire a Dio che non si è soggetti al licenziamento, perché si va via decidendo da soli. E il più delle volte, sbattendo la porta.

Non so perché, ma per i cattolici la morte è sempre una promozione. E giù a sciorinare di quanto stia bene ora il defunto e di come, chi resta, debba esserne contento.

Beh, non te la prendere prete. Io so che tu fai il tuo mestiere. Ma lascia a chi resta il diritto di essere incazzato, di urlare, sbattere la testa contro gli spigoli e tirare per i piedi il proprio caro. Fino a che esausto lo lascerà andare, sperando che la separazione diventi più sottile del vento e dell’aria e che sia capace di ritrovare la persona persa in ogni frammento di cielo e di sé.

Ma torniamo al curriculum vitae.

Considerando le sezioni standard per organizzare le informazioni in modo tale che siano facilmente leggibili da parte di chi riceve il curriculum vitae, concordo su:

- I dati anagrafici;

- La formazione.

- Le esperienze professionali;

- La conoscenza delle lingue straniere;

- Gli hobby e gli interessi;

- La liberatoria.

Ma mi chiedo, come organizzare le sezioni del curriculum umano?

Cosa inserire nelle esperienze professionali?

Buono in apprendistato professionalizzante?

Dovremmo forse scrivere una roba tipo, cose buone svolte, cose cattive pensate o fatte, peccati.

E che peso dare ai cattivi pensieri, che voto dare al bene, all’altruismo, alla giustizia, all’integrità morale, eppure all’odio verso chi fa del male?

In quest’ottica forse ha un senso il detto”Se ne vanno sempre i migliori”. Forse hanno un buon curriculum.

Mi chiedo però, visto che mi scoccia morire, perché vorrei vedere come va a finire la faccenda delle primarie, perché non posso pensare di non veder crescere mio figlio, perché lasciare chi si ama fa un male cane anche dal paradiso o dall’inferno e cerco di non andare ai funerali degli altri, sperando così che gli altri non vengano al mio: non sarebbe meglio essere un tantino più cattivi, così tanto per allungare di un pochino il tempo di perfezionamento sulla terra?

Il segreto credo sia barare un pochino sulle esperienze professionali: poca esperienza in buone azioni, o troppa poca competenza nel settore “bontà”per meritare di essere chiamati prima di terminare la personale best practice.

 

lunedì 29 ottobre 2012

Seconda settimana del lunedì del vaffa


E’ di nuovo il lunedì del vaffa.

La camera di mio figlio si trova in cima a due scalini alla fine di un corridoio sul quale si affaccia la porta del bagno.

Vaffa alla porta del bagno e a chi l’ha lasciata semiaperta e a me che l’ho presa in piena faccia per correre da mio figlio svegliatosi in piena notte.
 
E lunedì ed ho la parte della faccia sinistra blu.
 
Poteva andare peggio.

venerdì 26 ottobre 2012

Intervisto Simone Lenzi autore di "La Generazione"


Signore e Signori, suonino le trombe, rullino i tamburi, ho in serbo una grande sorpresa per voi.

Ho contattato Simone Lenzi, autore di “La Generazione” Dalai Editore, romanzo d’esordio drammatico e divertente, che sta alla procreazione medicalmente assistita come la poesia sta ad Alda Merini.

Rendo l’idea?

Simone è anche il cantautore dei Virginiana Miller. Dal suo romanzo ”La Generazione” Paolo Virzì ha tratto “Tutti i Santi giorni”film arrivato in tutte, le sale.

Gli ho scritto parlando di me, del mio libro in gestazione, di mammamimmo e di tutte voi, chiedendogli se avesse voglia di lasciarsi intervistare per parlare un po’, qui nel mio blog.

Mi ha risposto, sì, semplicemente sì.

Della serie, quando è un uomo a raccontare il figlio che non arriva, quando un uomo è un grande uomo.

Presto la sua intervista.

giovedì 25 ottobre 2012

I uomini sessuali e i vestiti tartan


Succede che, alle otto di mattina, mentre corro trafelata verso l’asilo di mio figlio, spingendo con una mano il carrozzino, con l’altra il mio cane impegnato ad annusare la qualunque, vedo avanzare con l’andatura di Keith Moss e il piglio di uno stilista sfrontato, un tizio, vestito dalla testa ai piedi di scozzese.

Noi chiamiamo tessuto scozzese il tartan, il particolare disegno dei tessuti in lana delle Higland scozzesi, quello dei Kilt, i tipici gonnellini scozzesi, per intenderci. Il disegno quadrettato è ottenuto con fili di colore diverso che s’intrecciano in uno schema definito, uguale e nell’ordito e nella trama. Quello del tizio in questione era di colore rosso.

Mentre Highlander si avvicinava, ondeggiando con i fianchi come una donna dai facili costumi, ho pensato, ”Urca, fijo mio, anche meno, che mi confondi le idee solo a guardarti”. A guardar bene ho notato il colorito del suo viso giallo-olivastro tipico dell’abbronzatura ottenuta da lampade abbronzanti, zigomi improbabili, sopracciglia da far invidia al vulcaniano dottor Spok della saga di Star Trek, dall’espressività mimica di una bambola di cera e una bocca, ma una bocca, che al confronto quella della Parietti sembra una linea retta.

Il tizio, con auricolare incorporato parlava al telefono in tono acuto e sdridulo, gesticolando, come, come… una checca isterica.

Utilizzo volutamente questa parola per aprire una discussione in proposito.

Il termine, dispregiativo e poco elegante, è di solito usato per indicare una persona omosessuale. Ovviamente è un appellativo offensivo per le persone gay.

Il termine però rappresenta una categoria ben precisa di gay e cioè quelli molto effemminati con atteggiamenti appariscenti, quelli che fanno di tutto per esaltare la propria sessualità, per sbattere in faccia la propria diversità.

Ora, chi mi conosce almeno un pochino sa quanto io combatta ogni forma di discriminazione. Di genere, di sesso, di religione. Chi mi conosce sa che mi farei ammazzare per il riconoscimento dei diritti umani. Credo nel diritto in materia di giurisprudenza, nel diritto al lavoro, nel diritto al matrimonio, all’adozione e credo nel diritto di mille altre cose per le quali milioni di persone gay ed etero si sono mobilitate per anni e si mobilitano per ottenere a favore di qualunque minoranza.

Non credo a una chiesa che nega sacrosanti diritti e alle persone che temono chi è diverso.

Ma non capisco, non capisco proprio, chi, come il tizio in scozzese, ostenta volutamente, la propria sessualità. E non parlo dei cosiddetti "carri" con i ballerini seminudi, nonostante siano la minoranza della gente presente alle marce dei gay pride, quelli che vengono più inquadrati e ripresi da fotografi, giornalisti, per farne poi scempio e dibattito ideologico.

Parlo degli esibizionisti in genere, al limite della sobrietà e del buongusto.

Mi da molto fastidio vedere due ragazzi eterosessuali pomiciare avvinghiati sulle panchine in un parco nella stessa misura in cui mi darebbe fastidio vedere baciarsi due gay. Figurarsi che mi ha messo in imbarazzo anche vedere il mio cane accoppiarsi in pubblico. Avrei preferito fornirgli privacy, un ambiente senza sguardi indiscreti, chessò una sigaretta dopo l’amplesso!

Penso che ogni forma di esibizione senza eleganza, senza stile sia controproducente per chi sogna una vita normale, aldilà della propria preferenza sessuale, che dubito interessi a qualcuno e alimenti gli stereotipi e la ghettizzazione di quelli che sono i gay che vivono secondo il cosiddetto "stile di vita gay".

Posto che, non intendo per ostentazione omosessuale quando qualcuno presenta il suo compagno/a e ne ribadisce il legame sentimentale, mi pare ovvio, mi sembra normalissimo che un gay o una lesbica si dichiarino tali sul posto di lavoro per definire la propria identità in contesti dove l’eterosessualità è data per scontata. L’ostentazione di cui parlo è quella volutamente urlata, quella arrogante, quella senza charme.

Quella di chi esibisce il macchinone, si fa vanto del successo, chi sfoggia le tette rifatte o i soldi in banca.

Mio nonno diceva che ci vogliono tre generazione per diventare signori. La prima fa i soldi, la seconda li mette da parte, la terza vive di rendita e gode dei privilegi di un certo ambiente.

E signori si nasce.

A me sembra che, a volte, la diversità sia strumentalizzata proprio da coloro che fanno di questa, una forma di protagonismo.

Non mi piace chi esaspera un vittimismo e chi non perde mai l’occasione di sottolineare la propria sessualità/diversità/ricchezza.

“Ho qualche amico omosessuale, che vive la sua sessualità come io, vivo la mia, in modo normale e naturale, senza ostentare alcuna differenza presunta o preferenza di genere. Persone che non hanno alcuna necessità di urlare al mondo la propria omosessualità, nello stesso modo in cui io non ho la necessità di urlare la mia eterosessualità”.


E allora, signore dal vestito rosso scozzese, a parte il fatto che è proprio una questione di stile e non ti dona il vestito che porti, ma poi, ti domando, visto che io vivo la mia sessualità in modo normale (tranne quando cerco un bambino e allora scrivo libri, ma questa è un’altra storia), se io non sento il bisogno di dirlo al mio vicino, perché tu devi farlo al mondo intero?
 
Se ti vedesse Checco Zalone, altro che uomini sessuali!

 

 

 

 

mercoledì 24 ottobre 2012

Nevicano ciliegie


Per definizione, la mente di un bambino non ha logica. E’ il regno della fantasia, dove tutto si mescola, le cose realmente accadute, insieme a quelle desiderate, quelle inventate e quelle semplicemente credute.

La memoria prende corpo fabbricando sogni.

Così, nel comparto della testa, quello dove i ricordi si fanno miele e restituiscono giorni migliori rispetto al reale, resta una parte di noi che non sottosta a regole, non obbedisce alla ragionevolezza.

E allora nevicano ciliegie, piovono polpette e nessuno è solo. E allora dove finiscono, gli arcobaleni c’è il paradiso degli animali morti, dove finisce il mare, il cielo comincia.

E allora…

E allora mi girava nella testa una filastrocca. Da qualche tempo. E non sapevo se fosse un ricordo lontano, una cosa letta tanti anni fa, una favola raccontatami, una traccia d’infanzia. Nel limbo delle ombre, dove i flashback prendono un corpo sottile come la pergamena e niente ha una luce propria, ma la memoria è filtrata da mille contaminazioni, mi sono rivista piccola, piccola, lungo un corridoio lungo. E mi trascino dietro una cornetta finta di un telefono finto e chiacchiero:

«Pronto? Passatemi l'orso buono.
No, per il lupo non ci sono."
E pazienza, voi, sette Nani
ho detto vi chiamo domani,
ormai sono in comunicazione
col brigante Schioppettone
(che vociaccia che gli sento,
ma per telefono non mi spavento).
Invece questo vocino vocino
sicuramente è di Pollicino).
E adesso parlo con la Befana
o la fata Morgana?
Vorrei ordinare, per favore,
un anatroccolo col motore,
un orologio da polso di marca,
un cane cucciolo dentro una barca.
E poi basta: metto a riposo
il mio telefono prodigioso
o parla si guasterà
E chiamerà solo la gente
che esiste veramente».

Dio benedica internet e con esso Gianni Rodari.

Non sono pazza.

Il mio ricordo ha senso.

Ecco perché ho la tendenza a parlare con le cose inanimate, ecco perché credo che Babbo Natale ci salverà tutti, ecco perché gli gnomi sono i miei migliori amici.

 
Oh, cielo! Mio figlio gira per casa con la stessa cornetta, a piedi nudi sul parquet ,gridando:”chi - è?”

 

 

martedì 23 ottobre 2012

Emanuela Pedri


Delle volte capita che, improvvisamente e inaspettatamente, t’imbatta in un fatto o in una persona e dallo scontro nasca qualcosa di piacevolmente sinergico.
Che sia fato, casualità, statistica poco importa.
A me piace pensare che sia la magia del filo invisibile del destino che trama e ricama tele d’argento con i fili intrecciati delle vite.
Così, le vite degli altri diventano un po’ anche le nostre e le nostre, reciprocamente, le loro.
Sono soggetta al fascino di chi ha talento, creatività e doni naturali che riesce a trasformare in attività. Sono convinta che la curiosità sia la madre delle idee e che solo grazie a queste e a chi crede in loro, il mondo possa diventare un posto migliore.
Mi sono imbattuta per caso (ah, le strade infinite del web) in Emanuela Pedri di http://www.lochyourface.it/45-chi_sono_e_il_LOCH/.
Emanuela ha fatto della sua passione per il disegno una forma d’arte che è nel suo genere, unica. Lei ritrae, disegna a mano libera, crea in stile LOCH, un termine che racchiude la sua filosofia.
Emanuela parte sempre dal volto del soggetto ma mantiene identici i contorni dell'ovale e dei capelli differenziandosi rispetto alle altre forme ritrattistiche attraverso l’utilizzo di linee orizzontali incrociate e oblique.
Così i volti somigliano ai visi originali, ma sono più armoniosi.
LOCH your FACE ha un suo stile, stile LOCH appunto, e lì Emanuela usa i volti delle persone per personalizzare abbigliamento, accessori e oggettistica, realizzare ritratti, partecipazioni, inviti, biglietti d'auguri , cover e tanto altro.
Non trovate delizioso il Loch che ha fatto Daniele?
Le ho mandato una foto e questo è il risultato.
Io lo trovo adorabile. Diverso, insolito, ha la magia del fumetto e il linguaggio visivo dell’armonia.
Se amate l’idea che dal nulla, da un foglio bianco, come da un pezzo di legno o di tela, può nascere poesia, (che sia scritta, dipinta o fotografata è pur sempre bellezza per me) guardate il video nel blog di Emanuela. Le sue mani volano leggere e veloci e ogni tratto di matita sfuma la realtà  in toni lievi e delicati, declinando le ombre in luce.
Le sue dita sembrano farfalle.
Ali di falena in cerca di energia, grazia e trasformazione.
Mi piace Emanuela.
Mi piace il suo modo di addolcire il mondo, di restituire garbo ad una vita frettolosa, imprimendo senso, dando margini e contorni ai momenti che sfuggono al tempo.
Mi piace la sua voglia di fare, il coraggio di provare a rendere la sua passione, un lavoro.
Spero piaccia anche a voi.
Voglio provare a vedere il mondo senza naso con tre linee orizzontali e tre oblique, ad occhi chiusi e con la bocca che ride.
Chissà

lunedì 22 ottobre 2012

Il primo lunedì del vaffa


Apro le danze alla rubrica del lunedì del vaffa.

Come mio solito, mi sono resa conto di non aver dettato le regole del gioco. Chi cominciava, come prenotare gli sfoghi e via discorrendo.

A pensarci bene, però, una rubrica di sfogo non può avere regole e limiti.

Quindi, chi ha voglia di seguire il semplice principio della “liberazione”dei rospi sullo stomaco che apra pure le porte degli stagni!

Oggi è tutto lecito.

venerdì 19 ottobre 2012

La rubrica del lunedì del vaffa...


E’ da un po’ che un piccolo tarlo nella testa scava e scava in cerca di materia che difficilmente riuscirà a trovare. Per mancanza genetica, perché la poca sostanza rimasta, è concentrata su altro e difficilmente il mio cervello riuscirà a partorire due idee nello stesso momento.

Ma si sa, ho problemi con il concepimento!

 Fatto è che, andando a zonzo per gli altri blog, vedo spesso che tengono rubriche, appuntamenti, collaborazioni che insomma, seguono dei programmi.

Caspita mi sono detta.

Il problema è che io non sono proprio brava a programmare. Difficilmente riesco a organizzare l’andamento dei miei neuroni con efficacia ed efficienza e soprattutto con rigore, figurarsi tentare di programmare la mia fantasia.

Se tento di perimetrale le mie molecole cerebrali, quelle sbatacchiano come mosche in un bicchiere.

Si possono mettere le briglie alla creatività? Sarebbe come rinchiudere il cielo in una stanza. Ma credo che solo Paoli e la Vanoni riescano bene in questo intento.

Però, una sorta di pesantezza, un senso di staticità mi si è attaccato addosso da giorni, e sento i pensieri brontolare come un minestrone in una pentola di coccio e vedo il blog con lo stesso vestito da Maggio. E non si può portare lo stesso vestito, da Maggi, poi.

Rischia di andare in lavatrice da solo.

Così ho pensato: voglio una rubrica anch’io.

Bene, mi son detta. Il dado è tratto.

Sono stata travolta da una specie di ebbrezza mentale. Mi ha colto l’euforia psichica che si prova davanti ai nuovi progetti, di fronte alle novità. Quel solletico che ti pizzicano le idee nuove, le scoperte, le sorprese.

Poi mi sono fermata.  E mo?Come direbbe mio figlio.

Nel senso: “Mo”, che sta per “adesso” nel gergo, ternano, mo che hai deciso di tenere una rubrica, che ci metti dentro?

Già, che ci metto, dentro?

Ho pensato un po’ e poi mi sono risposta.

Ci metto il lunedì, ecco che ci metto.

Nella mia settimana il lunedì non gode della stima degli altri dì. A dire il vero io e gli altri giorni lo odiamo in modo insolito.

Lui è’ sborone, presuntuoso, brusco.

Ti risveglia dal torpore calmo del week end pieno di energia, attivo, dinamico, con l’agenda piena d’impegni come quei manager insopportabili che devono incastrare tra un impegno e l’altro anche la pipì.

E lui sta lì, all’inizio della settimana, inizia sempre per primo, sempre in cima alla coda, sempre operoso. Non ha niente dell’indolenza tipica della domenica, la cui sera mi stranisce non poco perché so quello che seguirà, dell’insensatezza del mercoledì, posto in mezzo alla settimana come un pesce fuor d’acqua. Ma soprattutto non ha niente del venerdì. Oh com’è bello il venerdì.

Il venerdì ricorda l’ago della bilancia che va giù, il sole di certe giornate, pure quando fuori piove, ma non importa che tanto è venerdì.

Sto divagando.

Insomma, il lunedì sta proprio sullo stomaco a molti.

Significa ricominciare la settimana, gli impegni, la quotidianità. Significa riavviare il motore senza olio, alle sei e trenta di mattina a piedi scalzi con gli occhi impastoiati di sonno e la mollezza del fine settimana nelle gambe.

E allora che si può fare?

Provare a farcelo stare più simpatico.

Come?

Io direi di programmare il Monday party. La cena atipica del lunedì e festeggiare il fatto che siamo in salute, stiamo bene, amiamo e siamo riamate e possiamo raccontarlo questo giorno, quando c’è gente che non può più.

Magari cucinando qualcosa di buono e bevendoci su del buon vino.

Ma visto che sono perennemente a dieta e le mie diete cominciano sempre di lunedì (altro per questo motivo odiarlo) potremmo inventarci la rubrica del lunedì.

Sottotitolo: i racconti del lunedì.

Ogni lunedì, chi vorrà, potrà raccontare qualcosa che gli è accaduto, per l’appunto di lunedì.

Unica regola è che l’accaduto sia stato spiacevole, irritante, ci abbia storto l'intera giornata, di modo che si potrà urlare contro il lunedì ciò che si vuole e liberarsi di qualche sassolino nella scarpa. Non si escludono scogli o meteoriti.

Possono essere sfoghi reali, contro persone cui non direte mai ciò che pensate realmente, o contro fatti che vi stanno sullo stomaco, contro la lavatrice rotta, le code alle poste, un torto subito o semplicemente un giramento di scatole. Potete lanciare anche coltelli, virtuali.

Ah, come deve essere liberatorio.

Che ne pensate?

La facciamo questa rubrica?

giovedì 18 ottobre 2012

Il segnavento sopra il tetto


Alcuni giorni portano venti irrequieti.

Brezze che muovono il bisogno di cambiamento.

Angoli di se da scoprire, luoghi lontani da raggiungere, amici da consolare, madri da abbracciare, vittorie da raggiungere, sconfitte da digerire.

Alcuni giorni hanno correnti strane. Ci soffiano dentro gli aliti degli dei, bizzarri, bislacchi, irriverenti.

E allora devi aprire le finestre ed ascoltare il borbottio dell’aria, seguire il tuo segnavento e lasciarti andare nella direzione che lo zefiro ci indica.

Oggi voglio ascoltare l’aria.

Indicami la strada.

mercoledì 17 ottobre 2012

I biondi non mi piacciono

 
Premessa: Non mi piacciono i biondi. Infatti, ne ho sposato uno e ne ho partorito un altro.

 
New York, 15 ottobre

“The world turns and we turn with it… but wherever I go. There you are”.

Brad Pitt testimonial maschile per la Maison Chanel nello spot pubblicitario”There tou are” girato da Joe Wright regista di "Anna Karenina", per Chanel n.5, il profumo più famoso della storica casa di moda.

 30 secondi in bianco e nero e senza colonna sonora, per i quali l'attore ha ricevuto un
cachet di 7 milioni di dollari. 30 secondi che valgono un giorno intero.  

Con questa performance, dove presta corpo e voce per uno spot destinato alle donne, Lui, Brad Pitt, l’icona della bellezza maschile per antonomasia ( insieme a Johnny Depp), dotato di un fascino commovente, ruba la scena ai volti femminili mitici che hanno rappresentato il brand prima di lui.
 Da Marylin Monroe a Catherine Deneuve alla Kidman e, più di recente a Keira Knightley.

48 anni di sensuale fisicità, bello come il sole, segnato sul viso dal tempo che passa, umano e corporeo, fa una cosa semplice. Parla.
Ma avrebbe potuto anche non farlo.

Capelli lunghi, mani in tasca, camicia fuori dai pantaloni, strafico da morire.

Un incanto.

Bene, detto questo,
 egregi amministratori della casa Chanel, vi faccio i miei più sentiti complimenti per la scelta stilistica azzeccata.
La direzione presa dal vostro team marketing mi sembra quella giusta, pare vincente la scelta fatta.
Se c'è una cosa che  proprio non reggo sono le publicità dei profumi e gli spot annessi.

Di solito odiooo gli spot pubblicitari dei profumi, dove donne bellissime,  anoressiche e svestite si spalmano su spiagge caraibiche, mezze bagnate, si vede che l’umido fa trend, e baciano o irretiscono l’idiota di turno, anch’egli bello ma vuoto come un’arancia spremuta che,  privo di personalità bacia la fanciulla o tenta di farlo.
Quasi sempre imbronciati, con la boccuccia all'ingiù, scazzati per essere maledettamente belli e arrabbiati per essere così fighi.
 
Che c'entra il profumo, vi domanderete, voi?
Niente. Assolutamente niente.

Le pubblicità dei profumi sono proprio sceme. Ma proprio tanto. Sono così stupide che mi danno sui nervi.

Se devi convincermi a comprare una cosa immateriale come un liquido odoroso (adoro i profumi e li ho anche venduti per anni) bisogna che ti sforzi un po’ e non scambi il mio quoziente intellettivo per quello della zucchina dell’orto di tua nonna, eh!

Non dico che lo spot debba avere chissà quale trama, ma un senso sì, te prego.

Siccome però, sono una persona incoerente e concedo eccezioni, carissimi signori della maison Chanel vi dico, bravi, bravi davvero.

Questo spot supera di gran lunga anche quello con cappuccetto rosso ed il lupo di qualche anno fa che, aveva un suo perché.

Nella vostra ridicola semplicità avete fatto una cosa innovativa.

Prima di tutto, avete scelto un uomo per pubblicizzare un profumo femminile.

Secondo, gli concedete la parola.

Terzo, avete scelto Lui.

Ci sarebbe un po’ da discutere sulle cose che gli fate dire. Ma la perfezione non è di questo mondo. 

Infatti, non si capisce  bene il discorso che fa. Parla di vita e di viaggi, in modo un po’ sconclusionato, ma da lui si accetta tutto, anche che sciorini giù la lista della spesa o quella dei nomi contenuti nell’elenco telefonico.
E poi se non si capisce bene sarà per colpa della traduzione. Che lui è bravo.
 Bravo e bello.
Non comprerò Chanel n. 5 perché non mi piace e neanche Brad mi convincerà (provate invece la versione maschile, è indubbiamente più piacevole) ma  ringrazio comunque  la Maison francese per i 30 secondi più emozionanti della giornata.

 La  presenza di Brad non solo mi appaga, ma mi riconcilia con il mondo fornendomi prova dell’esistenza di Dio.

 

lunedì 15 ottobre 2012

Importa che...


Eccommiiii,

non sono stata rapita dagli alieni (che anche se così fosse stato, mi avrebbero rimandato indietro non appena mi avessero conosciuto un po’, come dice mio marito), non mi ha preso in fronte una randellata, non ho perso la memoria scordandomi di avere un blog.

 E’ solo che, sebbene la fortuna sia cieca, la sfiga ci vede benissimo e sembra che abbia un debole per me. Mio figlio ha collezionato (dopo un solo mese di asilo) la quarta influenza con trentanove di febbre, ettolitri di raffreddore e svariate sintomatologie che stentavo a credere potessero esistere. Così siamo stati blindati in casa da mercoledì, l’accollo perpetuo ha vanificato quasi tutti i benefici della cura osteopata in favore di un legame più intenso, al limite della perdita di confini tra me e lui.

Il silenzio dei suoi occhi grandi addormentati su di me, la forza della sua stretta attorno al mio collo ha reso poesia giorni lenti e pigri.

La calma ritmica delle gocce sul tetto ha allungato le distanze tra il fuori, il resto del mondo ed il noi.

Cose di anime. Evanescenti ed effimere come la penombra della sua stanza.

Se alla prigionia forzata ci metti pure che alcuni fondamentali strumenti tecnologici decidono di abbandonarti nel pieno della crisi, succede che l’isolamento risulta naturale.

Così, dopo l’immersione del cellulare, lanciato nella ciotola dell’acqua del cane e sua sostituzione con modello vecchio della nokia, che manco la nokia si ricorda di aver messo sul mercato, dopo lo svenimento del forno, la dipartita del notebook, ci ha lasciato anche il PC portatile, ultimo legame tra me ed il mondo.

Ho sempre pensato male di chi dipende troppo dalla tecnologia.

E ho fatto proprio male.

Bisogna non averla per capirne l’importanza. Un po’ come quando rimani senza luce, senza acqua, senza energia e ti domandi come diavolo facessero i tuoi antenati a sopravvivere in quelle condizioni. Ci si dimentica che si sopravvive anche alla morte, a volte.

Per istinto, per necessità, per sopravvivenza appunto.

In altri momenti avrei dato fuori di matto, avrei imprecato e minacciato i miei strumenti d’immediata sostituzione, se non si fossero ripresi e si fossero dati una mossa a rimettersi subito in riga, tornando al proprio dovere.

Questa volta no, però.

Questa volta no, nonostante sia lunedì, e io non auguri lunedì neanche al mio peggior nemico. Questa volta no, sebbene sia un autunno di crisi portatore di tagli, ristrettezze e sacrifici.

Questa volta no, malgrado piova che dio la manda, sui tetti di case che tetto non hanno.

Questa volta non m’importa.

Importa invece che chi ha seminato, raccolga.

Importa che chi ha perso il posto, lo ritrovi.

Chi ha perso sogni, creda ancora.

Chi cerca parole le scorga lungo le albe di giorni nuovi o tra il  cielo di un nuovo sud.

Importa solo che il mio pc venga riparato perché io possa mantenere, conservare, rinsaldare con le persone che ho imparato ad amare, un legame di amicizia profonda.

Importa che mio figlio guarisca e che si addormenti di nuovo su di me, con il ritmo della pioggia sul tetto o che io esca con lui a bagnarmi di acqua nuova.

Io come le altre.

    

martedì 9 ottobre 2012

Singolare camion, plurale cami


L’uso dell’ironia, del congiuntivo e del plurale non è da tutti.

Esorcizzare il dramma con il talento è magistrale...a volte davanti al genio bisogna solo inchinarsi e

togliersi il cappello.

 

“ La disoccupazione è un problema serio

Che va risolto e i politici

ce la stnno mettendo tutta.

Hanno pensato di risolverlo con

gli investimenti.

Solo che poi hanno

visto che con un camion dei

carabinieri riescono ad investirne

uno, due. Ma quelli sono tanti.

Se vogliono risolvere davvero il

problema, con una politica seria

e impegnata, l'unica cosa è fare i camion più grossi".


 
Massimo Troisi

giovedì 4 ottobre 2012

Com'è?


Com’è cercare un figlio, provarci e trovarlo subito?

“Ci siamo accorti che volevamo un bambino, ci abbiamo provato ed io sono rimasta incinta, subito. Così, la prima volta è stata quella buona”.

Quante volte abbiamo sentito questa storia, da un’amica, dalla cugina dell’amica, dalla vicina della cugina, dell’amica della nostra amica.
Quante volte il nostro stomaco è stato trafitto da parte a parte da queste disarmanti parole?

Io non le conto neanche più.

Una persona dal cuore grande, dalla profondità della sua anima dice che i bambini che nascono dalle pance di altre mamme non sono i suoi che hanno sbagliato strada e che nessuna ruba la fortuna di un'altra.
Ma persone come Lei sono l’eccezione in questo pazzo mondo e gli animi nobili a volte non sono compresi, spaventano e mettono a disagio se confrontati con sentimenti molto più umani e molto più diffusi.

Quello che vorrei sapere, quello che non conosco perché non ho mai provato è, comprendere, sentire, immaginare, provare, la sensazione che si vive quando si resta incinte la prima volta che si cerca un bambino.

Conosco il desiderio della maternità, conoscevo mio figlio prima di incontrarlo, lo riconosco quando lo tocco e lo annuso. Ma mi chiedo: com’è volere un figlio e averlo naturalmente, nell’esatto momento in cui si desidera?

Com’è provare e riuscire, senza battaglie, senza guerre, senza traumi?

Che sensazione si prova quando tutto avviene come se fosse l’evento più naturale del mondo? Com’è quando le cose vanno come devono andare, com’è desiderare e ottenere?

Che rumore fa quel click che tante dicono di sentire nell’esatto momento in cui concepiscono, qual è l’odore della sicurezza di conoscere il proprio corpo, fidarsi di lui, contenere, avvolgere un sogno e riuscire a realizzarlo?

Come sono per una coppia che prova e riesce ad avere un figlio subito, i rapporti, quali sono le emozioni che unificano o dividono?

Com’è avere un potere generazionale?Com’è poter procreare con facilità?

Com’è questa felicità?

mercoledì 3 ottobre 2012

La schena storta- parte seconda


Io e la mia schiena le abbiamo provate tutte per darci un reciproco sollievo, lei per sopportare il peso del mio corpo, io per sopportare il peso della sua devianza.

Io fatico di più, ma siccome lei è molto suscettibile le lascio credere che è lei a fare il lavoro pesante.

Meno ciccia e molto più movimento aiuterebbero,assai.

Il mio amico osteopata dice che nei casi di disfunzione organica andrebbe eliminata la causa.
Nel mio caso, visto che la causa dell’aggravarsi di certe posture è tenere in braccio mio figlio, giocare per terra con mio figlio, correre, mangiare, dormire, allattare, portare mio figlio, temo che la causa non possa, fisicamente, essere rimossa.
Per tanto, cerchiamo di convivere con una soglia del dolore accettabile e migliorare per quanto possibile la funzionalità della mia colonna che, tirchia com’è, cerca di fare tutto in economia, rattrapendosi.

L’osteopata, chi è costui?

L’osteopata è un professionista, che praticauna medicina complementare che tratta disfunzioni fisiologiche attraverso un particolare tipo di manipolazione (manipolazione osteopatica). Lo scopo dell'osteopatia è quello di riportare una situazione non fisiologica entro dei limiti di normalità fisiologici. In generale l'osteopatia presuppone che il Sistema Nervoso Vegetativo svolga costantemente una autonoma azione di controllo dell'omeostasi corporea a tutti i livelli e che tale attività sia manifesta somaticamente. La manipolazione osteopatica (OMT) è dunque rivolta all'evocazione di migliori condizioni di efficacia del SNV del soggetto”.

“Questi i principi largamente accettati all'interno della comunità osteopatica:

  1. Il corpo è una unità.
  2. La struttura e la funzione sono reciprocamente inter-correlate.
  3. Il corpo possiede dei meccanismi di autoregolazione e autoguarigione (omeostasi).
  4. Quando la normale adattabilità è interrotta, o quando dei cambiamenti ambientali superano la capacità del corpo di ripararsi da sé, può risultarne la malattia.
  5. Il movimento dei fluidi corporei è essenziale al mantenimento della salute.
  6. Il sistema nervoso autonomo gioca una parte cruciale nel controllare i fluidi del corpo.
  7. Ci sono componenti somatiche della malattia che sono non solo manifestazioni della malattia, ma anche fattori che contribuiscono al mantenimento dello stato di malattia.

Questi principi non sono ritenuti dai medici osteopati leggi scientifiche, né contraddicono i principi medici; sono insegnati come fondamenti della filosofia osteopatica riguardo alla salute e alla malattia”.

Devo dire che all’inizio la mia schiena era molto scettica nei confronti e di nuovi trattamenti e di nuove mani che, pensava, l’avrebbero manipolata nuovamente, invadendola.

Sbagliava.

Certo, non potevo darle torto, anni ed anni di fisioterapia varia, ginnastica, metodo mezier ( una vera tortura) posturali varie, l’hanno resa diffidente nei confronti di molti, medici e tecniche.

Questa volta però è stato diverso.
L’ho convinta a provare. Mi ha costretta a mettere le mani avanti, però, spiegando all’osteopata che non avremmo fatto nuove  lastre, ne ci saremmo spogliate di nuovo.

Detto tra noi, è caparbia come un mulo.

Fatto sta che lei ed il mio amico, osteopata, si sono piaciuti.
Lui non ha chiesto di vederla e lei ha apprezzato.
Lui le ha fatto i complimenti, dicendole che tutto sommato, aveva un buon equilibrio.
Lei ha arrossito. Così è cominciata la loro nuova amicizia.
Lei sta leggermente meglio, ma il lento lavoro la porta a trovare nuove economie e nuove posizioni, quindi ogni tanto sbanda e sente dolori nuovi.

Ma i due sembra che per ora si siano riconosciuti. Lei creativamente storta, lui originalmente medico e psicologo.

Si piacciono, per ora.

 
L'originalità dell'osteopatia si articola in tre punti:

  • la mano come mezzo d'analisi e di cura
  • la considerazione dell'individuo nella sua globalità
  • il principio di autoregolazione (omeostasi) ossia la capacità propria dell'organismo di rigenerarsi.

L'osteopatia si basa su tre leggi fondamentali della natura umana:

  • equilibrio: per funzionare, il corpo è alla continua ricerca d'equilibrio. Legge dell'omeostasi generale
  • economia: legge di risparmio sul consumo energetico
  • non dolore: fase iniziale di compensazione.

L'osteopatia si fonda su di un concetto ma anche sull'educazione palpatoria dei suoi operatori, che percepiscono tensioni e squilibri grazie all'intelligenza di una palpazione specifica: la mano analizza e cura.

L'osteopatia fa riferimento all'anatomia e alla fisiologia nel senso più lato. Necessità di competenze nella conoscenza approfondita del funzionamento del corpo umano, delle correlazioni tra diversi sistemi.

Il gesto terapeutico osteopatico rimane sempre nel campo fisiologico.

Quindi il protocollo terapeutico risponde a:

  • delle opzioni strategiche: scelta delle tecniche osteopatiche in funzione della lesione, della gerarchia delle disfunzioni, del potenziale vitale del paziente
  • delle opzioni tattiche: ruolo del trattamento osteopatico nell'arsenale terapeutico completo (terapia alternativa o complementare)

Oltre ad un trattamento d'urgenza, l'osteopatia applica una particolare attenzione alla prevenzione.

Non potendo dissociare il corpo e la psiche che lo anima, avverrà frequentemente di stabilire relazioni tra il sintomo di natura fisica ed un trauma o degli stress successivi sul piano psicologico e affettivo. L'osteopatia cerca oltre il sintomo le cause del disturbo.

Il corpo è un meccanismo sofisticato.

Se le diverse strutture presentano interrelazioni corrette avremo un soddisfacente stato di salute.

Se la mobilità delle strutture è disturbata, lo sarà anche la loro funzione.

Le tre leggi, Equilibrio, Economia e Non dolore organizzano allora delle compensazioni che l'organismo stabilisce per ovviare al cattivo funzionamento delle sue componenti.

Essendo ogni parte del corpo completamente interdipendente dall'insieme delle strutture, l'osteopata tratterà l'insieme, permettendo al corpo di rimuovere le sue compensazioni e di restituire alle diverse strutture la mobilità iniziale.

“Prendiamo l'esempio del pianoforte: l'armonia delle note dipende da ognuna di esse.

In presenza di una nota falsa, l'armonia si rompe e bisogna riaccordare il pianoforte”.

Che l'osteopata sia una sorta di diapason?