Ieri sera ho
visto The Danish Girl. O meglio, ne ho visto un pezzo. Poi ho dovuto ripiegare
su Nemo, per la quindicesima volta, vista la presenza di mio figlio. Una volta
addormentato, ho cercato il film in streaming, accontentandomi della versione
inglese, davanti alla quale, salvo alcune pause forzate, ho chiuso gli occhi
solo questa mattina. E il film, di occhi, mani, sguardi e scorse, ne è pieno.
La ragazza danese è un film di trasformazione
e di amore. Un film di testa che affronta, invece, la trasformazione del corpo
prima e dell’animo poi. Probabilmente non in quest’ordine. La trasformazione di
un uomo nato erroneamente dentro un corpo di donna, nei primi del ‘900 e l’amore
incondizionato di sua moglie che, complice dell’emersione della parte
femminile, lo accompagna lungo il viaggio verso una nuova identità, rinunciando
a lui come uomo e come compagno. Un film poetico e doloroso.
Questa
mattina, preparandomi per una giornata rognosa, il pensiero si avvinghia
intorno al concetto di trasformazione. Più banalmente, come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare…
Le cose
cambiano. Cambiano le stagioni, cambiano i giorni della settimana, cambiano le
temperature, cambiamo noi, dentro e fuori. Basta osservare intorno le scene di
vita quotidiana in costante, lenta o rapida trasformazione. Il concetto di
cambiamento è un concetto molto democratico, piuttosto popolare. Vecchio come
il mondo. Tutti lo vivono, nessuno escluso. Semmai, diverse sono le percezioni,
le emozioni, le riflessioni che lo accompagnano. Tutta roba molto semplice.
Resta atavico, invece, il dilemma che il cambiamento comporta: la paura del
nuovo e la voglia di cimentarsi nell’affrontarlo. Il mondo e la storia sono
pieni di archetipi che descrivono questa ambivalenza. Si cambia per necessità,
si cambia per adattamento, si cambia per opportunità, si cambia per urgenza, si
cambia per sopravvivenza. Lo fanno tutti, anche i serpenti. Lasciano la vecchia
pelle per una nuova.
Tornando alla
Ragazza danese, a colpirmi profondamente non è stato il coraggio del
protagonista disposto, in un’epoca in cui la materia era ancora sperimentale e
nel pieno del tabù culturale, ad affrontare la sua trasformazione, quanto,
piuttosto, la forza della moglie nel supportare tale scelta, anteponendo il
bene dell’altro, al suo. Perché si sa, se le trasformazioni, le crescite, i
cambiamenti dei due elementi che compongono la coppia, vanno nella stessa direzione, ci si
unisce, altrimenti, ci si perde. E ritrovarsi, poi, è più difficile che
perdersi da soli.