venerdì 27 settembre 2013

Dedicato...


 

Alle inguaribili romantiche,

a chi ormai non ci crede più, a chi non ci ha mai creduto,

a chi non lo ha mai incontrato, a chi sogna che comunque arriverà,

a chi lo specchio risponde che è tardi, a chi il cuore dice di sperare,

a chi non ce la fa più di aspettare e si diletta con tutti quelli del reame.

Dedicato a chi ne ha paura, a chi crede di non averne bisogno,

ai draghi uccisi in nome di un amore puro, a chi spera nell’happy ending, a chi è cresciuta con le principesse Disney a chi crede di salvarsi da sola.

A tutte le bambine, ragazze, donne, anziane, sognatrici, disincantate:

“ Di tanto in tanto gioverebbe riflettere sul fatto che il Principe Azzurro, è pur sempre uno che va in giro con i leggins celesti.

Il che dovrebbe suscitare non poche perplessità”.

Ricordiamocelo.

N.b.

Ovviamente, mio figlio veste Prada!

martedì 24 settembre 2013

Un uomo giusto. Tra le Nazioni.

 
L' albero nel Bosco dei Giusti, allo Yad Vashem, uno dei luoghi della Memoria più sacri per il popolo ebraico, ha un ramo in più.
Gino Bartali, il campione del ciclismo, è stato proclamato giusto tra i giusti.
E’ una storia bellissima. E la voglio raccontare perché, personalmente, io di quest’uomo non sapevo nulla tranne il famigerato antagonismo con il suo antagonista Fausto Coppi.
E invece, quest’uomo dal naso grande e dai polpacci forti, ha salvato circa 800 perseguitati ebrei, nascondendo nella canna della sua bici documenti falsi e carte da consegnare alle famiglie rifugiate in conventi e monasteri per aiutarle a scappare dall' Italia, mentre si allenava.
 
Tra il settembre del 1943 ed il giugno del 1944 pedalò così’ intensamente lungo la rete ebraico-cristiana, messa in piedi a seguito dell'occupazione tedesca e all'avvio della deportazione degli ebrei, salvando centinaia di ebrei locali ed ebrei rifugiati dai territori prima sotto controllo italiano, principalmente in Francia e Yugoslavia.
 
E’ tutto documentato. Basta leggere la storia di questa formidabile rete consultando il decimo numero (anno IV) della rivista Ecclesia, stampata a Città del Vaticano e uscita nell' ottobre del 1945.
La sua attività non si limitò a far da staffetta perché nascose anche alcune famiglie ebre nella sua casa, nonostante i fascisti lo sorvegliassero.
Sembra che, finita la guerra, quando gli chiesero numi sulla sua attività segreta  lui abbia risposto:” Le cose belle si fanno, non si dicono”. Che vi devo dire? A me chi mette in pericolo la propria incolumità per il bene di altri, mi allarga il cuore.
Buona pedalata, uomo dal naso grande. 

E  sulle note di Paolo Conte vi auguro buona giornata:
 
 Oh, quanta strada nei miei sandali

quanta ne avrà fatta Bartali

quel naso triste come una salita

quegli occhi allegri da italiano in gita

e i francesi ci rispettano

che le balle ancora gli girano

e tu mi fai - dobbiamo andare al cine -

- e vai el cine, vacci tu. -




Farà piacere un bel mazzo di rose

e anche il rumore che fa il cellophane

ma una birra fa gola di più

in questo giorno appiccicoso di caucciù.



Sono seduto in cima a un paracarro

e sto pensando agli affari miei

tra una moto e l'altra c'è un gran silenzio

che descriverti non saprei.



Oh, quanta strada nei miei sandali

quanta ne avrà fatta Bartali

quel naso triste come una salita

quegli occhi allegri da italiano in gita

e i francesi ci rispettano

che le balle ancora gli girano

e tu mi fai - dobbiamo andare al cine -

- e vai el cine, vacci tu. -



È tutto un complesso di cose

che fa sì che io mi fermi qui

le donne a volte sì sono scontrose

o forse han voglia di far la pipì.

E tramonta questo giorno in arancione

e si gonfia di ricordi che non sai

mi piace restar qui sullo stradone

impolverato, se tu vuoi andare, vai…

e vai che io sto qui e aspetto Bartali

scalpitando sui miei sandali

da quella curva spunterà

quel naso triste da italiano allegro

tra i francesi che si incazzano

e i giornali che svolazzano

C'è un pò di vento, abbaia la campagna

e c'è una luna in fondo al blu…



Tra i francesi che s'incazzano

e i giornali che svolazzano

e tu mi fai - dobbiamo andare al cine -

- e vai el cine, vacci tu! "




martedì 17 settembre 2013

I figli della polvere


I figli della polvere sono i bambini persi nel pulviscolo delle guerre, lasciati indietro nelle tempeste di sabbia e sangue. E’ così che i reduci della guerra del Vietnam chiamano i bambini nati da relazioni o da incontri di una notte con le ragazze di Saigon, più di qualcuna, stuprata.

I figli della polvere sono i figli di ogni guerra.

Sono decine di migliaia mai censiti, mai identificati. Disprezzati in patria perché “bastardi”, diversi, magari con gli occhi chiari o i capelli ricci in un paese dove i lineamenti sono marcatamente asiatici. Bambini mai cercati dai loro padri, spesso, non voluti neanche dalle loro madri. Gettati nella spazzatura o abbandonati davanti agli orfanotrofi che, chiamarli istituti sarebbe un eufemismo.

Quando nel 1975 Saigon fu liberata, molti di loro cercarono di raggiungere l’America. Molti di loro. Alcuni no. Molti no. Molti non sopravvissero, gettati alla nascita o finiti in chissà dove.

Quelli rimasti in patria hanno avuto una vita difficile, passata negli orfanotrofi o a difendersi da chi li attaccava per i loro tratti “yankee”.

Un reduce della guerra racconta al New York Times la ricerca della figlia avuta con una donna vietnamita con cui aveva convissuto per un anno e poi persa di vista al suo rientro in patria.

Racconta che molti vecchi ex soldati, sul finire della vita, per l’età che avanza, il rimorso, o il ricordo di quei figli mai conosciuti, smuovono mari e monti per cercarne le tracce, consapevoli del fatto che, molti di loro, potrebbero vivere anche negli Usa, magari non distanti da loro.

Ho già parlato in altri post del fascino delle sliding doors, di come sarebbero potute andare le vite di alcuni, dei punti nei quali vite parallele mai incrociatesi, possono a un certo punto, convergere, mostrando quello che avrebbe potuto essere.

Di quei padri e di quei figli, le cui vite sarebbero potute andare diversamente.

Padri che non sapranno mai cosa hanno lasciato nella polvere e nella sabbia, figli che non avranno mai un padre né un senso alla propria esistenza e alla propria identità.

Forse, per alcuni di loro è meglio immaginare il loro padre come un grande eroe di guerra piuttosto che l’uomo che è.

 

 

La guerra in Vietnam scoppia nel 1960 e dura fino al 1975. Combattono il nord, filo comunista e il sud, appoggiato dagli Usa. Vengono inviati più di 580 mila soldati americani di cui decine di miglia lascarono figli illegittimi. Oggi sono più di 21 mila i figli dei militari presenti negli Usa grazie ad un permesso speciale di immigrazione. Questi vengono chiamati Ameriasan.

 



Sono cresciuti come gli avanzi di una guerra impopolare, a cavallo tra due mondi, ma appartenente a nessuno dei due. Most never knew their fathers. La maggior parte non ha mai conosciuto i loro padri. Many were abandoned by their mothers at the gates of orphanages. Molti sono stati abbandonati dalle loro madri alle porte di orfanotrofi. Some were discarded in garbage cans. Alcuni sono stati scartati in bidoni della spazzatura. Schoolmates taunted and pummeled them and mocked the features that gave them the face of the enemy—round blue eyes and light skin, or dark skin and tight curly hair if their soldier-dads were African-Americans. Compagni di scuola insultavano e li pugni e derisi le caratteristiche che hanno dato loro il volto degli occhi nemico tondo blu e la pelle luminosa, o la pelle scura e capelli ricci stretti se i loro soldati-papà erano afro-americani. Their destiny was to become waifs and beggars, living in the streets and parks of South Vietnam's cities, sustained by a single dream: to get to America and find their fathers. Il loro destino era di diventare derelitti e mendicanti, che vivono per le strade e nei parchi delle città del Sud Vietnam, sostenuti da un unico sogno: andare in America e trovare i loro padri.

But neither America nor Vietnam wanted the kids known as Amerasians and commonly dismissed by the Vietnamese as "children of the dust"—as insignificant as a speck to be brushed aside. Ma né l'America né Vietnam volevano i ragazzi conosciuti come amerasiatici e comunemente respinti dai vietnamiti come "figli della polvere", come insignificanti come un granello di essere messa da parte. "The care and welfare of these unfortunate children...has never been and is not now considered an area of government responsibility," the US Defense Department said in a 1970 statement. "La cura e il benessere di questi bambini sfortunati ... non è mai stata e non è oggi considerato una zona di responsabilità del governo," il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, ha detto in una dichiarazione del 1970. "Our society does not need these bad elements," the Vietnamese director of social welfare in Ho Chi Minh City (formerly Saigon) said a decade later. "La nostra società non ha bisogno di questi cattivi elementi", il regista vietnamita di benessere sociale a Ho Chi Minh City (ex Saigon) ha detto che un decennio più tardi. As adults, some Amerasians would say that they felt cursed from the start. Da adulti, alcuni amerasiatici direbbero che si sono sentiti maledetto fin dall'inizio. When, in early April 1975, Saigon was falling to Communist troops from the north and rumors spread that southerners associated with the United States might be massacred, President Gerald Ford announced plans to evacuate 2,000 orphans, many of them Amerasians. Quando, ai primi di aprile del 1975, Saigon cadeva a truppe comuniste da nord e si sparse la voce che i meridionali associati con gli Stati Uniti potrebbero essere massacrati, il presidente Gerald Ford ha annunciato piani per evacuare 2.000 orfani, molti di loro amerasiatici.Operation Babylift's first official flight crashed in the rice paddies outside Saigon, killing 144 people, most of them children. Primo volo ufficiale di Operation Babylift schiantato nelle risaie fuori Saigon, uccidendo 144 persone, la maggior parte dei quali bambini. South Vietnamese soldiers and civilians gathered at the site, some to help, others to loot the dead. South soldati vietnamiti e civili riuniti al sito, alcuni per aiutare, gli altri a saccheggiare i morti. Despite the crash, the evacuation program continued another three weeks. Nonostante l'incidente, il programma di evacuazione continuato altre tre settimane.

"I remember that flight, the one that crashed," says Nguyen Thi Phuong Thuy. "Mi ricordo di quel volo, quello che si è schiantato", dice Nguyen Thi Phuong Thuy. "I was about 6, and I'd been playing in the trash near the orphanage. I remember holding the nun's hand and crying when we heard. It was like we were all born under a dark star." "Avevo circa 6, e avevo suonato nel cestino vicino l'orfanotrofio. Ricordo che tiene la mano della suora e piangere quando abbiamo sentito. Era come tutti siamo nati sotto una stella oscura." She paused to dab at her eyes with tissue. Fece una pausa per tamponare gli occhi con del tessuto. Thuy, whom I met on a trip to Vietnam in March 2008, said she had never tried to locate her parents because she had no idea where to start. Thuy, che ho incontrato in un viaggio in Vietnam nel marzo 2008, ha detto che non aveva mai cercato di individuare i suoi genitori, perché non aveva idea di dove cominciare. She recalls her adoptive Vietnamese parents arguing about her, the husband shouting, "Why did you have to get an Amerasian?" Ricorda i suoi genitori adottivi vietnamiti che discutono su di lei, il marito gridando: "Perché si deve ottenere un Amerasian?" She was soon sent off to live with another family. Fu ben presto mandato a vivere con un'altra famiglia.

Thuy seemed pleased to find someone interested in her travails. Thuy sembrava compiaciuto di trovare qualcuno interessato a suoi travagli. Over coffee and Cokes in a hotel lobby, she spoke in a soft, flat voice about the "half-breed dog" taunts she heard from neighbors, of being denied a ration card for food, of sneaking out of her village before others rose at sunrise to sit alone on the beach for hours and about taking sleeping pills at night to forget the day. Davanti ad un caffè e coca cola in una lobby dell'hotel, ha parlato con una voce morbida, piatta di circa il "cane meticcio" insulti che ha sentito dai vicini di casa, di essere stato negato una tessera per il cibo, di nascosto dal suo villaggio prima di altri, è salito a alba di sedersi da solo sulla spiaggia per ore e di prendere pillole per dormire di notte per dimenticare il giorno. Her hair was long and black, her face angular and attractive. Aveva i capelli lunghi e neri, il viso spigoloso e attraente. She wore jeans and a T-shirt. Indossava jeans e una t-shirt. She looked as American as anyone I might have passed in the streets of Des Moines or Denver. Sembrava americano quanto chiunque avrei passato le strade di Des Moines o Denver. Like most Amerasians still in Vietnam, she was uneducated and unskilled. Come la maggior parte amerasiatici ancora in Vietnam, era ignorante e non qualificati. In 1992 she met another Amerasian orphan, Nguyen Anh Tuan, who said to her, "We don't have a parent's love. We are farmers and poor. We should take care of each other." Nel 1992 ha incontrato un altro orfano Amerasian, Nguyen Anh Tuan, che le disse: "Noi non abbiamo l'amore di un genitore. Siamo contadini e poveri. Dovremmo prendere cura l'uno dell'altro." They married and had two daughters and a son, now 11, whom Thuy imagines as the very image of the American father she has never seen. Si sposò ed ebbe due figlie e un figlio, ora 11, il quale immagina Thuy come l'immagine stessa del padre americano non ha mai visto. "What would he say today if he knew he had a daughter and now a grandson waiting for him in Vietnam?" «Che cosa direbbe oggi se sapeva che aveva una figlia e adesso un nipote che lo aspettava in Vietnam?" she asked. chiese lei.

No one knows how many Amerasians were born—and ultimately left behind in Vietnam—during the decade-long war that ended in 1975. Nessuno sa quanti sono nati e amerasiatici infine lasciato in Vietnam, durante la decennale guerra che si concluse nel 1975. In Vietnam's conservative society, where premarital chastity is traditionally observed and ethnic homogeneity embraced, many births of children resulting from liaisons with foreigners went unregistered. Nella società conservatrice del Vietnam, dove la castità prematrimoniale è tradizionalmente osservato e omogeneità etnica abbracciato, molte nascite di bambini derivano da legami con gli stranieri è andato non registrato. According to the Amerasian Independent Voice of America and the Amerasian Fellowship Association, advocacy groups recently formed in the United States, no more than a few hundred Amerasians remain in Vietnam; the groups would like to bring all of them to the United States. Secondo il Amerasian voce indipendente d'America e la Fellowship Association Amerasian, gruppi di difesa di recente formate negli Stati Uniti, non più di qualche centinaio amerasiatici rimangono in Vietnam, i gruppi vorrebbero portare tutti loro negli Stati Uniti. The others—some 26,000 men and women now in their 30s and 40s, together with 75,000 Vietnamese they claimed as relatives—began to be resettled in the United States after Representative Stewart B. McKinney of Connecticut called their abandonment a "national embarrassment" in 1980 and urged fellow Americans to take responsibility for them. Gli altri, circa 26.000 uomini e donne ora nel loro 30s e 40s, insieme con 75.000 vietnamiti hanno sostenuto come i parenti, hanno cominciato ad essere reinsediati negli Stati Uniti dopo il Rappresentante Stewart B. McKinney del Connecticut chiamato il loro abbandono una "vergogna nazionale" nel 1980 e ha esortato i colleghi americani di assumersi la responsabilità per loro.

But no more than 3 percent found their fathers in their adoptive homeland. Ma non più del 3 per cento ha trovato i loro padri nella loro patria adottiva. Good jobs were scarce. Buoni posti di lavoro erano scarse. Some Amerasians were vulnerable to drugs, became gang members and ended up in jail. Alcuni amerasiatici erano vulnerabili ai farmaci, divennero membri della banda e finì in carcere. As many as half remained illiterate or semi-illiterate in both Vietnamese and English and never became US citizens. Come molti come la metà rimasta analfabeti o semi-analfabeti sia in vietnamita e in inglese e non divenne mai i cittadini statunitensi. The mainstream Vietnamese-American population looked down on them, assuming that their mothers were prostitutes—which was sometimes the case, though many of the children were products of longer-term, loving relationships, including marriages. Il mainstream popolazione vietnamita-americana guardava dall'alto in basso, assumendo che le loro madri erano prostitute-che a volte era il caso, anche se molti dei bambini erano prodotti, relazioni d'amore a lungo termine, compresi i matrimoni. Mention Amerasians and people would roll their eyes and recite an old saying in Vietnam: Children without a father are like a home without a roof. Mention amerasiatici e la gente sarebbe rotolato i loro occhi e recita un vecchio detto in Vietnam: i bambini senza padre sono come una casa senza un tetto.

The massacres that President Ford had feared never took place, but the Communists who came south after 1975 to govern a reunited Vietnam were hardly benevolent rulers. I massacri che il presidente Ford aveva temuto mai avuto luogo, ma i comunisti che è venuto a sud dopo il 1975 per governare un Vietnam riunificato erano difficilmente governanti benevoli. Many orphanages were closed, and Amerasians and other youngsters were sent off to rural work farms and re-education camps. Molti orfanotrofi erano chiusi, e amerasiatici e altri giovani sono stati mandati in aziende agricole di lavoro rurali e campi di rieducazione.The Communists confiscated wealth and property and razed many of the homes of those who had supported the American-backed government of South Vietnam. I comunisti confiscati ricchezza e la proprietà e la rasero al suolo molte delle case di coloro che avevano sostenuto il governo sostenuto dagli americani del Vietnam del sud. Mothers of Amerasian children destroyed or hid photographs, letters and official papers that offered evidence of their American connections. Madri di bambini Amerasian distrutti o nascosti fotografie, lettere e documenti ufficiali che offrivano la prova delle loro connessioni americane. "My mother burned everything," says William Tran, now a 38-year-old computer engineer in Illinois. "Mia madre ha bruciato tutto", dice William Tran, oggi 38 anni, ingegnere informatico in Illinois. "She said, 'I can't have a son named William with the Viet Cong around.' "Ha detto, 'non posso avere un figlio di nome William con il Viet Cong in giro.'It was as though your whole identity was swept away." Era come se tutta la vostra identità è stato spazzato via ". Tran came to the United States in 1990 after his mother remarried and his stepfather threw him out of the house. Tran è venuto negli Stati Uniti nel 1990, dopo che la madre si risposò e il patrigno lo buttò fuori di casa.

Hoi Trinh was still a schoolboy in the turbulent postwar years when he and his schoolteacher parents, both Vietnamese, were uprooted in Saigon and, joining an exodus of two million southerners, were forced into one of the "new economic zones" to be farmers. Hoi Trinh era ancora uno scolaro negli anni del dopoguerra turbolenti quando lui ei suoi genitori, insegnante, due vietnamiti, sono stati sradicati a Saigon e, unendo un esodo di due milioni di meridionali, sono stati costretti a una delle "nuove zone economiche" per essere agricoltori. He remembers taunting Amerasians. Ricorda amerasiatici beffe. Why? Perché? "It didn't occur to me then how cruel it was. It was really a matter of following the crowd, of copying how society as a whole viewed them. They looked so different than us.... They weren't from a family. They were poor. They mostly lived on the street and didn't go to school like us." "Non mi venne in mente allora quanto crudele fosse. Era davvero una questione di seguire la folla, di copia come la società nel suo complesso li visto. Sembravano così diverso da noi .... Non erano da una famiglia. Erano poveri. Sono per lo più vivevano per strada e non andare a scuola come noi ".

I asked Trinh how Amerasians had responded to being confronted in those days. Ho chiesto Trinh come amerasiatici aveva risposto a essere di fronte a quei tempi. "From what I remember," he said, "they would just look down and walk away." "Da quello che mi ricordo," disse, "che sarebbe solo guardare giù e andare via."




venerdì 13 settembre 2013

Il nuovo letto


Lui dorme nel suo nuovo letto.

Ha il nasino schiacciato contro la spondina che gli impedisce di cadere.

Mentre viene smontato il vecchio lettino, un nodo alla gola le toglie il respiro.

Lei ricorda tutto come fosse ieri. Il pancione, lui che monta i pezzi di un amore in costruzione, la camera azzurra che sa di talco e zucchero.

Ha il pensiero sulle notti insonni, sugli sguardi reciproci, in cui tutto si è perso.

E’ stato così, all’improvviso. Da non essere madre, a essere cosciente di esistere di una dimensione nuova. Senza sapere come, capire di non poter fare a meno di quel piccolo essere.

E ancora il dolore sordo per quello che non può essere.

Nonostante la mancanza di spazio mette via, nella speranza che un miracolo, la faccia respirare ancora talco.

L’odore di quella cameretta l’accompagna tutto il giorno. Sa del suo sonno.

Sa di buono. Di cose belle. Tutto è limpido, lì dentro. E lo è dal primo giorno in cui l’hanno messa così com’, è.

Il nuovo letto, una fase nuova.

In quel letto ci stanno in due. Lui, piccolo, lei madre.

Lei sa che fino a quando rimarranno così, non sentirà più dolore.

 

martedì 10 settembre 2013

Il partigiano Johnny


Giornate, così.

Metto in fila pensieri, progetti, propositi settembrini. Vorrei muovermi, ma sono ferma, o forse faccio impercettibili spostamenti verso qualcosa che non riconosco ancora come meta.

I miei ragionamenti sono spesso indisciplinati, più di una persona mi dice che si fa fatica a starmi dietro.

E’ che non sono brava a mettere ordine né fuori né dentro.

Vorrei solo scrivere. Scrivere e scrivere. Mettere in fila le mie parole, creare il mondo che vorrei, dare la mia voce alla realtà.

Quando scrivo, sto bene.

Invece non ho tempo.

Non trovo più il tempo per le mie parole. Quelle lette, quelle scritte, quelle degli altri che mi restituiscono le cose intorno, gli amori vissuti, i libri letti, le albe ed i tramonti visti, le emozioni sotto la pelle che spingono per uscire.

Ieri ho letto un pezzo di storia dolorosa. Uno dei tanti. Il giorno più nero della storia cilena raccontato da Luis Sepulveda, autore che amo. http://www.liberazione.it/rubrica-file/Il-partigiano-Johnny-nella-notte-di-Allende.htm

 

E’ di questo che parlo…del fatto che si può raccontare la storia, la realtà, anche quella più nera, quella disumana, quella che sembra non appartenerci, con poesia. Con la capacità rara, solo di alcuni grandi che riesce a farci vedere ciò che resta, ciò che avrebbe potuto e non è stato.

A volte la forza delle parole…

 

mercoledì 4 settembre 2013

Il sogno rotto


Certi sogni sono così fragili che sono destinati a rompersi nel loro dna. Se poi la realizzazione del proprio sogno dipende da quello di un altro, che sogna meno di noi, con meno ardore, allora i sogni non combaciano e molto probabilmente si romperanno come cristallo contro il pavimento. Ma le storie non sono bicchieri, dietro le storie ci sono le persone e certe storie “sono tutte da piangere già prima del finale”.

La storia è quella di una ragazza brasiliana bellissima che si innamora del suo datore di lavoro e spera che il bambino che aspetta le cambierà status, trasformandola da amante a compagna. Un sogno banale, un sogno vecchio come il cucco. Una vita normale, una casa, forse, una famiglia e probabilmente un letto al posto di quel divano sul quale dorme non avendo un posto dove stare.

Ma forse il paese è piccolo e la gente mormora e attorno a quella bella ragazza brasiliana dal sorriso contagioso si formano maldicenze e “si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio”.

Così, forse una vecchia mai stata moglie senza mai figli, senza più voglie, o forse un uomo piccolo piccolo che vuole la botte piena e la moglie ubriaca, che ha tutto ma vuole di più manda in frantumi il sogno. O meglio lo lorda, lo stropiccia lo calpesta con una violenza non umana, un’empietà che ha del diabolico.

 Quel bambino forse, porta scompiglio, spezza l’apparenza di una famiglia felice, non si ha da fare. L’uomo piccolo, piccolo e malvagio come il più misero degli esseri non può permettersi lo scandalo, non può permettere che nel paesino di Sant’Ilario tutti si accorgano che, in questo caso, non è lui il missionario.

E allora il finale di questa brutto film è struggente, brutto come solo certe brutte azioni sanno essere. Lui li uccide, lei e suo figlio. E come se non bastasse tenta di far credere che sia un suicidio, e come se non bastasse cerca di finirla quando è già finita. E la uccide più e più volte. Strangolandola, facendole bere dell’acido, aprendo il gas.

E più lei muore più vive il suo sogno rotto.

Come si può punire chi uccide un sogno?



lunedì 2 settembre 2013

Semplicemente “Jackie”


A Venezia torna Kennedy. E’stato presentato alla Mostra di Venezia "Parkland" le storie di chi,  quel giorno di novembre c’era. Peter Landesman, reporter investigativo del New York Times debutta dietro alla macchina da presa con un film che si concentra sulle vicende di medici, infermieri, agenti di polizia presenti a Dallas il 22 novembre del 1963.

Il regista: "Volevamo metterci nei panni degli uomini qualunque che si sono ritrovati a vivere la Storia”.

Sono sempre stata attratta dalla figura di Kennedy. La saga della sua famiglia mi affascina. Una famiglia in bilico tra successo e dramma, potere e umanità.

Forse, i grandi leader, quelli veri, desiderano essere liberati dalla solitudine del loro potere e la vita impone loro dolori enormi a dimostrare che, alla fine, è lei a detenere il potere più grande.

 
Tempo fa, ho immaginato una donna…

 
                                                            Semplicemente “Jackie”

 

Sento freddo, tanto freddo.

Ho le gambe intorpidite, irrigidite e ferme, quasi senza vita, esattamente come quel figlio che non c’è più.

Dalle persiane filtra una luce quasi liquida. Un barlume che si scioglie, liquefatto nella pena.

Deve essere giorno. Un altro interminabile, lunghissimo giorno. Se chiudo gli occhi, posso far finta di essere altrove, posso far finta che sia ancora notte, far finta che il sole non sorga mai più.

Non sento niente. Né mani, né piedi, né anima.

No, sbaglio, ti sento, eccome. Freddo, gelido, paralizzante come solo il dolore sa essere.

Non voglio alzarmi, voglio sprofondare, dimenticata, insabbiata nel niente.

Non credo che verrai a vedere se sono sveglia, sei troppo occupato a trasformarti nel più grande mito americano.

Non che io ti aspetti, non lo faccio più da anni. Non trovo neanche più disdicevoli le tue scappatelle.

Non mi hai promesso nulla di più di quanto io stessa non fossi pronta ad accettare.

Sono l’icona dell’eleganza internazionale, sono la first lady, sono la moglie di JFK, trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, il primo presidente americano cattolico.

Il primo che muove le masse, il primo che coltiva gli ideali di giustizia, ma non disprezza, quanto me, il lusso e la materialità.

Come sei abile nel promettere una svolta epocale, come sei umano nel programmare la cancellazione di ogni discriminazione. Realizzare velleità idealistiche è un’arte che, eserciti con vigorosa maestria. Scontenti tanti, forse i più potenti, ma sei così abile da conquistarti il cuore dell’America vera, il sostegno dei più deboli.

E ti ho amato per questo, Dio solo sa quanto ti ho amato.

Hai energia, carisma, stile, hai fascino da vendere; ma ricorda, la tua immagine la devi anche a me. La tua devota e altrettanto fascinosa moglie, l’aristocratica e raffinata Jacqueline, l’intellettuale e colta signora Lee Bouvier.

Sei bravo, indiscutibilmente bravo; bravo nel governare, bravo nel nascondere i tuoi tradimenti, bravo nel lasciarti sempre aperte vie di fuga, così ti è più facile, poi, provvedere alle attese deluse di chi ti ha aspettato, di chi ha progettato e creduto nel disegno di una famiglia felice, di chi ha sognato per te e per se, un futuro migliore insieme, consapevole una volta in più, di farlo a suo rischio e pericolo.

 

Non aspetto più. Non ti aspetto più. O forse aspetto solo di trovare la forza per alzarmi di nuovo, per tornare a essere di nuovo la “debuttante dell’anno”, quella ammirata per il portamento, la grazia, la bellezza, quella mai appariscente e volgare. Quella le cui apparizioni in pubblico sono sempre un gran successo, centellinate con pazienza e moderazione, pensate e calibrate per contribuire alla credibilità del presidente, il padre dei suoi figli.

Ma noi questo figlio lo abbiamo perso. Solo due giorni. E’ vissuto, solo due giorni. Come se gli fosse bastato così poco tempo per decidere che non gli piaceva per niente entrare a far parte di questa farsa, questa tragica commedia che abbiamo creato insieme.

Arabella è stata meno coraggiosa, lei è nata morta. Forse anche lei ci ha spiato, osservati per poi decidere di non vivere.

Sento dei passi lontani, di sicuro non sei tu.

 

Ho voglia di scomparire, di abbandonare questo mondo, di non lasciare traccia alcuna, di evaporare come l’acqua, smarrirmi dentro le pieghe di questo letto.

Sento il suo odore, qui dentro. L’odore di un nuovo inizio, di una nuova alba, un altro bambino che avrebbe rinsaldato la nostra unione, una nuova ancora a cui aggrappare questa nostra travagliata unione.

E invece no, Dio ci ha punito. Ha punito scavando nelle nostre vite private, ci ha punito per la nostra integrità morale.

Lo sento, lo sento come un presentimento, come un orrendo presagio. Sento che questo è solo l’inizio. Sento che il destino ci chiederà il conto per una vita piena di agi, sento che dovremo espiare le colpe della nostra bramosia di potere.

 

Ho freddo, un freddo anormale, un gelo che mi blocca il sangue. Perché il mio bambino, perché lui, perché sento che non finirà qui?

Ho fatto un sogno, questa notte, o forse la precedente, non lo ricordo bene.

Tenevo i bambini per mano e seguivamo silenziosamente una lunga processione funebre.

Cercavo disperatamente qualcosa, ma non ricordo cosa.

Ero agitata, disperata.

Ho pensato che fosse per via di quello che era successo, per via del funerale del bambino.

Mi sono svegliata con il fiato grosso, affannata, stremata. Tu non c’eri, non eri accanto a me. Ho guardato la mia mano, cercandovi dentro i pezzi della tua testa.

 

Ti odio, eppure non riesco a impedire che affiorino le immagini del nostro primo incontro.

Il Washington Times-Herald mi dette l’opportunità di intervistarti; tu eri, allora, il senatore del Massachussetts. Fu un vero colpo di fulmine, ci sposammo l’anno dopo.

La tua famiglia disse che io li sedussi, tutti quanti. Capì più tardi che io vi davo quello che a voi mancava: la classe.

Tuo padre ha sempre sognato un figlio presidente d’America.

I suoi imbrogli insieme con quelli di tuo nonno, hanno fatto della tua famiglia una delle più ricche, meglio non sapere per mezzo di quali attività o grazie a quali alleanze.

Io ero quello che ti mancava; una moglie sobria, colta e ben educata.

Oh, Dio John, quand’è che ci siamo persi?

Quand’ è che abbiamo smesso di credere in quello che eravamo per diventare la coppia presidenziale più in voga del momento? Quand’è che abbiamo smesso di essere una coppia per diventare due estranei?

E’ possibile aderire così completamente a un ruolo, al punto di perdere la propria identità, al punto di perdere quello che si è stati, quello in cui si è creduto?

Al punto da non sentirsi più semplicemente Jackie?

Eppure, lo avevamo promesso. Ma lo abbiamo dimenticato, ciascuno impegnato a negoziare con le proprie bramosie.

Abbiamo perso John, abbiamo perso il nostro bambino, abbiamo patteggiato una vita sfavillante, al posto di qualcosa che non c’è più.

Inutile stupirsi, forse lo sapevamo.

 

Non aspetto più nulla, eppure, aspetto da un momento all’altro che entri da quella porta e che mi abbracci.

Mi aspetto che il mondo si fermi, anche solo per poco, per rispettare il mio lutto; mi aspetto che la vita si interrompa, anche per pochi istanti, che mi dia tempo per rincollare i nostri pezzi, che ci dia tempo per ritrovarci, smarriti e sperduti dentro eventi che hanno cambiato rotta.

Io non so più dove cercare, John, non lo so più.

Avevo undici anni quando i miei divorziarono. Undici anni. Come può una bambina di quell’età capire cosa sia una separazione?

Ho promesso a me stessa, che mai avrei fatto vivere ai miei figli la stessa sorte, quella subita da me e mia sorella.

La ricchezza, i viaggi, gli studi all’estero, l’arte, non hanno mai riempito un vuoto incolmabile.

A quell’epoca mi salvò l’amore per i cavalli. Diventai brava, sai? Una bravissima cavallerizza.

Forse avevo già cominciato la mia corsa.

 

Sai come la gente chiama la tua amministrazione, John?

“Camelot”.

Camelot, la fortezza di re Artù.

Camelot, luogo di cavalieri, patria delle più alte qualità.

E da te, amore mio, ci si attende la più grande delle virtù.

Una virtù che comprenda ogni valore; franchezza, bonta' e nobilta', pieta' e temperanza; coraggio e forza fisica; disprezzo della fatica, della sofferenza e della morte; coscienza del proprio valore; fierezza di appartenere ad una casata, di essere uomo, di rispettare la fedelta' giurata,  bellezza fisica, eleganza, dolcezza, delicatezza. Ogni virtù, amore mio.

Ma vedi caro, per quanto gli altri o le generazioni future, potranno considerare la tua presidenza un’epoca idilliaca, il momento del tuo splendore, è il mio momento di infelicità.

Le cose che mi allontanano da te sono le stesse che a te mi riportano, le cose che odio di te , sono le stesse che di te mi affascinano.
Ma per essere uomini non basta la nobilta' di nascita: i doni naturali devono essere affinati da una speciale educazione e mantenuti in esercizio dalla pratica quotidiana.

La fedeltà giurata deve essere mantenuta. Deve essere mantenuta.

E’ inutile che io rinnovi gli interni di questa casa, inutile che io allestisca e restauri questa dimora, come un nascondiglio, un rifugio, inutile che organizzi pranzi ufficiali, circondandoci di artisti e celebrità; questo non sarà mai il nostro focolare.

Ricordo bene il discorso del tuo giuramento. Chiedesti agli americani cosa ognuno potesse fare per il proprio paese.

 

E noi, John, cosa possiamo fare per salvarci, per salvare quello che resta di noi?

 

Lo so, non sono migliore di te. Viviamo ad un gradino così alto della scala sociale, che siamo costretti ad una vita fuori dagli schemi, diversa da quella della gente comune.

A volte, come adesso, qui nel letto, rimpiango di non aver scelto quel tipo di vita.

Ma come avrei potuto? Io sono nata per questa vita.

Avrei voluto curare la tua osteoporosi, alleviare i dolori della tua spina dorsale, sorreggerti nei momenti bui, avrei voluto.

 

Lo so, sai? So delle tue relazioni extra-coniugali con il personale femminile, so delle visitatrici della Casa Bianca, so di quell’attrice, che porterai alla follia.

Ma attento John, lei è molto più fragile di me.

Non abbandonerò il mio status per gettarti tra le braccia di una qualunque, per quanto bionda e bella possa essere.

Io sono la moglie di JFK, la sola, l’unica e per quanto io non gradisca questo titolo che mi ricorda il nome di un cavallo, io sono la First Lady.

 

A volte penso che un’inflessibile legge del contrappasso accompagnerà sempre la fama e il successo della tua famiglia e di conseguenza anche la mia.

La prima e unica famiglia reale americana che farà eternamente i conti con un cupo destino.

Siete un clan, John e come tale cercate di coprirvi l’uno con l’altro, cercate di nascondere i vostri drammi. Come avete fatto con la povera Rosemary.

Tuo padre proprio non poteva sopportare che uno dei suoi figli non fosse capace e competitivo, non poteva sopportare che avesse delle possibilità in meno rispetto agli altri. L’avete gettata in un istituto per malati di mente come una cosa difettata, una macchia, qualcosa di cui vergognarsi e da nascondere.

Quanta bugie John, quante bugie.

Se solo si potesse andare oltre l’immagine ufficiale di coppia felice che regaliamo, se solo fossimo in grado di andare oltre l’apparenza.

Vorrei urlare, urlare a tutti, “E’ una fandonia, è tutto un grande bluff”.

A dispetto delle foto che ci ritraggono insieme ai nostri figli, dentro quegli abiti volutamente informali e in finti teneri atteggiamenti, siamo due persone orribili.

 

Sai che cosa ho fatto, John? Ho chiesto il divorzio. Ma certo che lo sai. Come sai che non arriverà mai, mi conosci troppo bene.

Hai spedito tuo padre a comprarmi non appena si è sparsa la voce dentro la famiglia.

E sai la cosa peggiore John?

Mi sono fatta comprare da un milione di dollari. Sì, John, proprio così, la nuora infelice si è venduta in cambio della salvezza della nostra unione.

Che scandalo sarebbe stato, avrei precluso la strada del successo politico anche ai tuoi fratelli e questo tuo padre non poteva accettarlo.

 

E’ più facile attribuire a te la colpa della mia infelicità piuttosto che ammettere che sono io stessa la causa del mio sconforto. Ho liquidato la semplicemente Jackie per una vita vissuta all’insegna del potere e del tradimento.

Non sono migliore di te.

 

A volte penso che solo una grande tragedia possa mettere fine a questo spettacolo e a questa gloria.

Nonostante i nostri drammi, solo un finale più tragico, solo una tua plateale morte potrebbe renderti eterno. Tu rimarresti senza tempo, infinito, illimitato, sconfinando la tua grandezza nelle generazioni future, indelebile come i grandi sogni.

Quanto a me, non sarò mai semplicemente Jackie, amo troppo il denaro e il potere.

 
Ho aspettato troppo. Sono stanca. Ormai sarà giorno e come sempre tu non sei qui.

Un altro nostro insuccesso, la nostra ennesima sconfitta.

I tuoi impegni sempre più impellenti, le emergenze del mondo, il mio disincanto, la freddezza che ha preso il posto alla tenerezza, quella capacità di ascolto che tanto mi aveva affascinata quando ancora eravamo capaci di trovarci, la mia disponibilità esasperata.

Bugie, presidente, altre bugie. Non sono queste le ragioni della nostra fine.

Siamo noi, John, la parte peggiore di noi.

 
Con uno sforzo sovraumano cerco di alzarmi.

Dio dammi di nuovo la forza, salva quello che resta, salva i miei figli.

Fa che a loro non accada mai niente di orribile e se dovesse capitare fa che io non assista alla loro morte.

Niente scuse o perdoni per me, sono quello che sono.

Semplicemente Jackie.