venerdì 8 agosto 2014

Consigli, non richiesti, al Ministro Lorenzin


Gentile Onorevole Lorenzin,
Permettimi la licenza di darti del tu, così per cercare un canale di confronto, confidenziale, aldilà del rapporto formale, rappresentante istituzionale e cittadina rappresentata.
In massima franchezza, cara Beatrice, ho sempre avuto dei seri dubbi sulla tua capacità a svolgere bene il mandato che hai.
Dammi pure della snob, ma purtroppo sono una di quelle che pensa che, chi la rappresenta, dovrebbe avere come minimo una formazione, con tanto di titoli di studio con i contro cavoli. E sì, una laurea, come minimo sindacale, master qualificanti, esperienze e competenze serie nei settori che si va  ad amministrare. E sì, purtroppo non mi basta il diploma di un liceo classico né la gavetta in un partito.
Aggiungo, cara Beatrice che, non ce l’ho su con te perché sei donna e sei carina.
Dal tuo canto, potresti dirmi che, altri ministri hanno ricoperto incarichi senza avere una laurea in tasca, e che, magari, per il fatto di essere uomini, i loro curricula non hanno fatto lo stesso scalpore del tuo. Per quanto mi riguarda, però, posso rispondere che, non ha nessuna importanza per me, se il ministro in questione sia stato uomo o donna. Esigo, dammi pure della stronza, da un Ministro a capo di un ministero da cui dipendiamo tutti, che muove 110 miliardi di euro circa, che ha criticità più grosse dell’Oceania, dalla malasanità, alla corruzione passando per la mancanza di posti letto, fino a …almeno, uno straccio di laurea.
Non che la laurea faccia la formazione, intendiamoci, ma penso che l’attitudine allo studio, all’aggiornamento, all’approfondimento costante e continuo, alleni la mente a una certa apertura, elasticità, resilienza.
Cose che, temo cara Beatrice, tu non abbia.
Vedi cara, non so se tu possieda uno staff che affronti le diverse tematiche, con cui sei abituata a misurarti quotidianamente o se invece, è tutta farina del tuo sacco l’esternazione di certe tue affermazioni e il consolidamento di certe tue posizioni.
Nel caso in cui fossero frutto del tuo staff, ecco il mio primo consiglio non richiesto. Cambia il tuo staff.
Se, invece, come temo, le posizioni che difendi, sono le tue, beh, allora, secondo consiglio non richiesto, forse è il caso che le riveda.
Perché vedi, Beatrice, il messaggio che passa dalle posizioni da te assunte nei confronti della sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il divieto dell’eterologa previsto dalla legge 40 del 2004, permettendo la donazioni di gameti per avere un figlio, sembra una roba da te subita, piuttosto che osannata.
Francamente mi sarei aspettata da una donna una maggiore comprensione, una più profonda empatia verso un argomento tanto delicato.
Nello specifico mi riferisco al tuo decreto, dove vieti, sapere il colore della pelle del donatore.
Ecco, Beatrice, forse sarebbe il caso che tu ti fermassi e cominciassi davvero, non solo ad ascoltare esperti, giuristi, società scientifiche, associazioni di pazienti, ma semplicemente le donne, le donne che non riescono ad avere figli. Sai Beatrice, io l’ho fatto.
Le ho ascolte, ho raccolto lacrime, ho visto baratri. Ho visto, Beatrice, cose che voi umani…
 Forse, Beatrice, dovresti vedere anche tu. A leggere le tue dichiarazioni, sembra proprio che tu questa storia dell’eterologa la combatta con tutta te stessa e ponga paletti e metta scogli e faccia cose che vanno nella direzione opposta rispetto alla direzione presa dal resto del mondo.
Tu Beatrice cara, perdonami la schiettezza, non sai un bel niente su cosa significhi realmente eterologa.
Probabilmente non lo so neanche io, probabilmente non lo sa nessuno a priori. Ma un fatto è certo: vietare di scegliere il colore della pelle del donatore, e farlo passare come un atto di discriminazione razziale, è pura cattiveria.
Perché vedi, Beatrice, un conto è voler tutelare il diritto di accesso del bambino alle informazioni in materia di salute o di malattie geneticamente trasmissibili (per altro, ostacolo superabile con esami obbligatori per il donatore), un altro è farlo nascere, volutamente, con un colore di pelle diversa da quella dei genitori.
Sarebbe come dirgli, i tuoi genitori non sono i tuoi veri genitori. E in questo, scusa, ci trovo del dolo.
Mi sembra una punizione, e per il bimbo e per i genitori.
Mentre la tendenza nei paesi stranieri è quella di cercare la massima compatibilità tra donatori e riceventi, in Italia, si cerca di condannare un atto che a mio avviso, e l’ho sempre sostenuto, è un atto d’amore in tutti sensi.
Vedi Beatrice, tutta sta menata sull’eterologa è una roba che interessa più voi politici che noi genitori.
Siete voi ad aver bisogno di impedire, gestire le vite e le emozioni altrui. Proibire, dire come nascere, vivere,morire, è la necessità di uno stato laico, solo a parole, ma non nei fatti. Siete voi ad aver bisogno di legittimare un’unica forma di famiglia, motivandola con il legame di sangue. Perché ai genitori di figli nati con l’eterologa non gliene fotte niente il dato genetico, tantomeno ai figli. Loro vogliono solo mamma e papà che sono quelli che lo allevano, lo accudiscono, lo abbracciano, lo amano.
A voi preme ignorare” la pluralità di modelli genitoriali e familiari che la stessa adozione aveva messo in gioco, nel tentativo di legittimare un’unica forma di famiglia tradizionale basata su legami biologici, senza alcuna considerazione riguardo al fatto che il concetto di famiglia va rapidamente cambiando nel vissuto comune e accanto al “legame di sangue” esistono altri legami basati sull’affetto e sull’assunzione di responsabilità. Inoltre riteniamo che nessuno abbia il diritto di giudicare il desiderio di procreare degli altri, distinguendo i desideri di paternità e maternità in buoni e cattivi, altruisti ed egoisti, e soprattutto pare assurdo che questa operazione si possa fare solo sulle coppie che hanno un handicap riproduttivo, che in questo modo si troverebbero a dover provare la loro adeguatezza a esser genitori.” (Claudia Livi e Elisabetta Chelo, “Il divieto di fecondazione eterologa nega la solidarietà e fraintende la famiglia”, Darwin, n. 4 2004)
Non esiste alcuna evidenza scientifica della tesi secondo la quale i bambini nati da fecondazione eterologa sarebbero infelici o vittime di disturbi psicologici. Esistono anzi evidenze contrarie. Scegliere di affrontare i costi psicologici, fisici e finaziari della fecondazione eterologa, infatti, rappresenta per la coppia una decisione difficile e ragionata, e richiede uno sforzo di amore e di responsabilità se possibile maggiore di quello già necessario nel momento in cui si decide di mettere al mondo un figlio”.Ass. Luca Coscioni.
Sai Beatrice, avrei desiderato che da donna, giovane e dinamica quale sei, avessi capito che la questione dell’eterologa, in questo paese è, principalmente, una questione sociale. Comprenderlo significherebbe affermare la libertà e la laicità di alcuni valori.
Credo che dovrebbe spettare ai genitori, genitori di figli nati naturalmente, artificialmente, adottati o concepiti con ovodonazione o donazione di sperma, decidere se, come, dove e quando, secondo la natura del bambino, secondo la sua sensibilità, secondo i tempi della famiglia, e sempre nell’ottica di tutelare il figlio da possibili traumi, spiegare come siano venuti in questo pazzo mondo.
Nessuno, né lo stato, né la chiesa, né tantomeno uno specchio, dovrebbe sostituirsi, in una decisione così delicata, a mamma e papà.
A me sembra che, non potendo più negare l’eterologa, la si voglia imbrigliare ed osteggiare con paletti senza senso.
Tutto il resto, cara Beatrice, per chi è scesa in trincea e si lecca ferite profonde, è solo noia.
 

martedì 5 agosto 2014

Finché morte non vi separi


 

Don e Maxine Simpson, 90 anni lui e 87 lei, di Bakersfield, in California sono stati sposati per 62 anni e sono morti a poche ore di distanza l'una dall'altro. Una storia d'amore che la nipote ha voluto raccontare mostrando le immagini dei nonni, che hanno trascorso le ultime ore tenendosi per mano e sorridendo. Don e Maxine si incontrarono in un bowling e non si sono più lasciati. Insieme hanno cresciuto due ragazzi, hanno viaggiato per il mondo e sono diventati cittadini modello nella comunità di Bakersfield. Due settimane fa, Don è stato trasportato in ospedale per la frattura del femore, ma le sue condizioni sono peggiorate subito. I familiari lo hanno riportato a casa per stare con la moglie che da diversi anni lottava contro il cancro. "Sapevo nel mio cuore che questo era quello che doveva accadere. Nonna e nonno dovevano stare insieme e sarebbero anche morti insieme", ha raccontato la nipote Sloan. Le foto hanno fatto il giro del web. Maxine è morta subito e il marito l'ha seguita 4 ore dopo. "Semplicemente incredibile, la loro era una storia d’amore.storia d'amore vera", ha detto la nipote.

Dovrebbe andare così.

Poi penso a mia madre che, quella mano l’ha dovuta lasciare andare una notte di tanto tempo fa in una stanza di ospedale.

E penso alle mani di tanti che, non hanno mani da lasciare andare.

E a mani troppo pesanti, a mani troppo leggere per coprirsi il volto dai colpi di quelle pesanti, a mani fragili, a mani forti, a mani che proteggono.

Sono belle le mani.

Sono bellissime quelle rugose, dove attraverso le vene e i nodi, intravedi i grovigli di un’esistenza. Sono belle quelle dei vecchi, bellissime quelle dei bambini.

E’ cos’ì che dovrebbe andare.

Si dovrebbe morire insieme. Non sopravvivere a chi si è amato. Mai e poi mai, ai propri figli.

Osservo a distanza di sicurezza le mie mani.

E sono tante le mani che vorrei mi accarezzassero ancora, e ancora.

 
https://www.youtube.com/watch?v=tt5__aq0j-M

lunedì 4 agosto 2014

Saggezza treenne


Io parlo.

Parlo sempre, parlo troppo, parlo pure quando non dovrei.

Parlo peggio di quanto scriva, parlo pure nei momenti in cui, forse, dovrei tacere, o meglio sussurrare.

Non parlo a vanvera, no, quasi mai. Ma, chiacchiero.

Dico quello che penso, difficile trattenermi. Se lo penso, lo dico.

E rompo.

Nel senso che rompo cose. Se una cosa si può rompere, a me si rompe.

Ho rotto sifoni dei lavandini, mangianastri, stereo, giradischi. Innumerevoli piatti, bicchieri, vestiti, cose.

“Mamma, tu combini sempre guai !”

“Non è vero. Chi te lo ha detto?”

“Papà”

“Ma non si dice, non è bello. E quando te lo avrebbe detto (… ora rimani orfano)?”

“Non lo ha detto a me. Lo ha detto a te quando, hai rotto la tazzina.

Ma non ti preoccupare, le cose si rompono. Ci penso io”.

Grazie. Le  parole non ti contengono.