martedì 28 maggio 2013

I figli delle botte



Due brutti episodi, più di altri ci hanno colpito in questi giorni. Ne parlano tutti i media, tutti i social network, tutti i cuori. E ci colpiscono per la rabbia che evocano, perché qualcosa si poteva fare, perché in entrambi i casi sono fatti che presentano cronache di morti annunciate. Il primo caso è quello di Fabiana, accoltellata e poi bruciata viva in un contesto sociale che gronda prevaricazione e disagio e l’altro quello della ragazza che perdona il suo compagno che le spappola la milza per gelosia o Dio sa cos’altro. Decisione indifendibile tanto che anche il suo avvocato decide di abbandonare la sua causa. La cosa che più mi colpisce e che, invece, sembra essere una cosa di secondo piano è, che i due hanno  insieme un bambino di un anno.
E allora ripenso a un fatto che ho vissuto in prima persona e cerco l’aiuto di Lucy per tentare di capire.
Conobbi una ragazza, che chiamerò F., quando ero in servizio presso i servizi sociali dove svolgevo una funzione amministrativa che però mi portava a stretto contatto emotivo con gli utenti del servizio. F.era giovane, straniera ma da anni residente in Italia, sveglia e con un figlio con molti problemi che seguiva quasi sempre da sola perché il marito lavorava. Un’escalation di avvenimenti e F. seguita dal servizio sociale, quindi con tanto di assistente e supervisore dell’assistente, fa capire a me e forse dice alle addette ai lavori che le prendeva. Io, meno avvezza delle mie colleghe e certi racconti, smanio e cerco di capire come aiutare la poveretta che, secondo me, era una vittima e del marito e del sistema. Riferisco a voce, (farlo per iscritto avrebbe significato aprire una procedura penale che F. non voleva) e chiedo e ottengo che F. sia seguita con più attenzione. E non scorderò mai il colloquio avuto con la posizione organizzativa del servizio. Lei mi disse che sono moltissime le donne che subiscono violenza, ma sono poche, davvero poche quelle che decidono davvero di lavorare su se stesse per spezzare alcuni comportamenti che le intrappolano dento rapporti violenti. Se da una parte il sistema della denuncia e dell’aiuto è difficile (per denunciare devi sapere poi, dove andare a stare. Se scappi, devi avere un posto sicuro e una rete di professionisti, avvocati, specialisti, poliziotti capaci di difenderti e seguire il tuo caso) dall’altra parte la donna, spesso, perdona. E lo fa per stupidità, perché crede nella bontà di un amore malato, nelle scuse, nei fiori dopo le botte, nel finto pentimento. Lo fa perché, pur avendo modelli di riferimento diversi, pensa che la sua storia sia unica, diversa e il suo uomo è solo vittima di un momento difficile. Magari ha perso il lavoro, magari ha solo bevuto un po’, magari è stanco, magari l’ha contraddetto. Magari.
La cosa più assurda, mi disse l’assistente sociale è, che molte donne, dopo aver avuto la forza, di dire basta, aver lavorato su se stesse con terapie e analisi, essersi costruite un nuovo modello di vita, si rimettano con uomini dalle stesse caratteristiche di quelli appena lasciati e danno luogo a relazioni violente come quelle appena spezzate.
Ho saputo che F. ha lasciato suo marito dalla stampa locale, quando lui ha tentato di gettare dalla finestra la seconda figlia che non sapevo avessero avuto. Non sapevo, avendone perso le tracce ( molto spesso le donne che rifiutano l’aiuto dei servizi si vergognano e tendono all’isolamento per proteggere la propria decisione dai giudizi). Una brutta storia di cui abbiamo dovuto dar conto davanti ad un magistrato. F ha raccontato la sua verità. Le botte dovute a una violenza in progressione. Un marito cambiato, la cui indole, non proprio docile è stata traviata dal giro di prostituzione e riciclo di soldi sporchi e vizi e soprusi. I servizi non avevano notizie di F. da quattro anni. Nel frattempo loro avevano cambiato casa, erano andati in una più grande, con tre camere, in ogni camera un televisore al plasma e standard di vita più elevati. E una figlia in più, pare, non amata per il fatto che fosse femmina, mentre il padre avrebbe voluto un maschio sano, a differenza del primo figlio. Mi chiedo se e come in quattro anni, una donna al limite della violenza non trovi la forza e la voglia di prendere i propri figli e scappare al primo posto di polizia se vivendo l’inferno in terra.
F. io l’ho guardata negli occhi. F. ha avuto realmente paura, ma forse più dell’incertezza, più di quello che avrebbe potuto fare per se stessa e per i propri figli, e ha scelto una certezza fatta di botte, piuttosto che, darsi una faticosissima possibilità.
E allora torno al punto di partenza.
Fabiana, la ragazzina uccisa barbaramente a diciassette anni, forse ci ha provato a darsi una chance.
A dire basta. Basta alle angherie di un ragazzetto che le impediva di uscire, la marchiava con i pizzichi, non la faceva respirare, pretendeva che gli amici cancellassero il suo numero perché solo lui poteva chiamarla. Forse ha provato a spezzare questa catena. Ho letto che per far capire alla famiglia della ragazza chi fosse veramente capace di comandare, lui l’ha portata via per una settima e poi l’ha restituita alla famiglia. Una fuitina dalle tinte fosche che forse avrebbe dovuto accendere campanelli d’allarme. Mi chiedo cosa avrei fatto io, cosa avrebbe fatto mio marito o mio fratello o mio padre se un ragazzino dagli atteggiamenti da ras del quartiere mi avesse preso mia figlia per una settimana o me l’avesse picchiata per gelosia.
C’è dell’altro dietro alla famiglia di quest’essere che paralizza un paese in depressione economica, dove le istituzioni latitano e padroneggiano altre associazioni? Forse, può essere. Non lo sappiamo.
Sappiamo solo che la violenza genera violenza.
Ma la violenza scatta anche e specialmente se si tratta di difendere la propria nidiata.
Una madre lo sa.
Non lo posso dire cosa avrei fatto, non lo posso pubblicare. Ma di certo non sarebbe riuscito a raccontarlo neanche lui o perché espatriato, o perché impossibilitato dalle suture dei punti e dal dolore causato dalle fratture alle gambe.
E quindi torno alla decisione dell’altra ragazza di perdonare.
Il padre di suo figlio, il suo compagno, quello che le ha spappolato la milza per le botte, molto probabilmente non cambierà. Io me lo auguro per lei, per loro ma soprattutto per quel bambino. Lo potrebbe fare solo con un supporto psicologico, con anni di analisi e analisi di coppia. Ma dubito.
Quello che invece, quasi sicuramente accadrà, sarà che quel bambino riprodurrà i modelli comportamentali dei genitori. Vedrà una madre succube e la difenderà prima, per odiarla poi, per non aver difeso il suo diritto alla felicità e odierà suo padre, magari per le botte che darà anche a lui per poi imitarlo, conoscendo solo quel tipo di amore. Quando e se il padre non deciderà di gettarlo dalla finestra, come il padre della figlia di F.
Ora, io credo che oggi ci siano miliardi di modi per lasciare un uomo violento. Sportelli antiviolenza, centri per le donne, servizi sociali, polizia, carabinieri, ospedali, chiese, famiglie, parenti, amici e che se una decide di rimanere e a prendersi le sberle e a farsi fracassare di botte lo può pure fare, ma non può, e ribadisco non può se ha un figlio. Perché quel figlio vede, sente, assorbe e riproduce. E se una ha il diritto di scegliere di vivere come vuole che lo faccia senza mettere al mondo una creatura che con una probabilità prossima alla certezza assomiglierà molto di più al carnefice di Fabiana piuttosto che a Bamby.
Che il cielo accolga tutte le Fabiane e aiuti le loro famiglie.
Mi prendo una vacanza.

Perchè un Safari


Perché un Safari?

Perché se ami gli animali non puoi pensare di morire senza aver visto questo.
 

 

Perché potresti non trovare mai un’altra  immagine che spieghi meglio l’amore materno.
 
 
 

Perché hai la netta percezione che ci sia davvero un posto sulla terra dove tutto è cominciato.
 
 
 
 

E l’odore della terra, il colore del tramonto trasudano vita e morte insieme. E vibrano emozioni, carnali e ancestrali.
 
 

Perché la vita di una savana è spietata e meravigliosa, perpetua, perenne.
 

E porterai sempre nel cuore questo
 
 

 

E questo
 

E non dimenticherai mai alcuni sorrisi.
 

Perché ti rendi conto che dall’altra parte del mondo qualcuno non diverso da te crede nelle stesse cose in cui credi tu, solo  lo scrive su un tronco di albero.
 

“Its better to complete a small project than to leave a big one half done”
Le foto sono di mio marito, i luoghi, della terra del Kenya e del Sud Africa, l'anima la mia, i sogni di tutti.

lunedì 27 maggio 2013

Io ci provo

Come dice Tess "E' facile essere felici quando si è felici".
Spero solo che faccia il pieno di emozioni belle.







Io ci provo a renderlo felice.


venerdì 24 maggio 2013

L'anima

"Noi che abbiamo l'anima, moriamo più spesso".



                                                 Emily Dickinson

mercoledì 22 maggio 2013

Rivista "Tu Style"

Mai stata all'interno di una rivista di un certo calibro.
Tu style, pag. 67. Della serie...che V.I.P.!





 

Lo schiaffo del cielo


Un pugno. Un colpo improvviso che spiazza, annienta, disperde la vita.

La natura mi spaventa, inchiodandomi anche il respiro. Immagino quel cielo che si fa metallo, il rumore che assorda e penetra nel cervello. Pochi secondi di una violenza inaudita. La forza e l’intensità del rancore del cielo. E dopo il niente. Macerie. Nessun motivo, nessuna ragione, nessun capro espiatorio se non un Dio offeso.

Oggi leggo di “bimbi minuscoli dentro vestiti inzuppati” e “piccole macchie di colore in mezzo al piombo”. E mi arriva in faccia la sberla dell’apocalisse.

So che domani dimenticheremo. Lo facciamo sempre.

Per sopravvivere. Per non annegare. Voglio andare a riprendermi mio figlio appena lasciato all’asilo e voglio stringerlo forte, forte quasi a soffocarlo. Per me, per lui, per Moore, per Oklahoma city, per quel padre accartocciato su se stesso, come le auto rivolte con le ruote all’insù, che sa che quella cosa cattiva venuta dal cielo non gli restituirà nessun abbraccio.

lunedì 20 maggio 2013

Il tempo dei verbi e degli errori


Il presente indicativo oltre ad essere irregolare e intransitivo è pure soggettivo.

 L’ho scoperto da poco.

Sto imparando che, se hai un figlio, molte cose diventano relative. Compreso il tempo dei verbi.

“Amore, vieni dalla mamma ?”“Si venio”.

“Amore, tieni l’acqua che hai chiesto”. “Si, la tenio”.

Inutile dirvi  che io lo amio...

 

venerdì 17 maggio 2013

Lella


Mi sono dovuta ricredere su molte cose.

Tra queste, abbandonare l’idea di poter diventare la nuova Jimi Hendrix in gonnella.

Ebbene sì, c’è stato un periodo, tanto tempo fa in cui credevo che la mia strada fosse la chitarra.

Poi ho capito che io stavo alla chitarra come Giuliano Ferrara alla coerenza politica.

Prima però della folgorante illuminazione i miei cavali di battaglia erano: “Angie” dei Rolling Stones, “Father and son” di Cat Stevens e “Te la ricordi Lella” di Edoardo de Angelis, canzone romana degli anni 70.

Il motivo è piuttosto semplice: ho un animo tragico rock e gli accordi sono semplici!

Questa mattina mi sono svegliata con il motivo di Lella nella testa ed ho pensato che la violenza, anche quella sulle donne, ha tante facce e tante note.

Quando me la cantavo e me la suonavo, mi faceva tanto ridere.

Oggi un po’ meno

mercoledì 15 maggio 2013

Orfani bianchi

http://d.repubblica.it/attualita/2013/05/14/news/infanzia_romania_orfani_bianchi-1648586/?ref=HREC2-8

Il rovescio delle medaglie. Penso ai nostri anziani accuditi dalle mamme di quei bambini.
Orfani tutti.
I vecchi, le madri, i bambini.
E noi, orfani di una società migliore in cui le madri dovrebbero stare  con i propri figli, i nonni dovrebbero giocare con i nipoti, gli stati dovrebebro essere capaci di garantire situazioni di vita decenti.

giovedì 9 maggio 2013

Tutto su mia madre


“Ciò che per la crisalide è la fine del mondo, il mondo la chiama farfalla”.
Lao Tse

Partorire un figlio crea la congiunzione di due anime in un altro corpo.
Tu, madre, lasci che una parte importante della tua ti abbandoni, per sempre, per unirsi alla metà della persona che hai generato. E’ inevitabile. E’ così’ da millenni e lo sarà per ogni attimo di eterno.
A occidente come a oriente dell’Himalaya, fino ai suoi poli.
Devi morire crisalide per diventare farfalla.
Rubi istanti all’infinito ogni volta che cerchi di catturare la ciclicità di una vita che senza tempo si dipinge,
in un continuo alternarsi di ruoli che ci vede madri, non sempre, poi figlie, eternamente, poi…madri delle nostre madri.
E il dolore provato per una malattia, per la morte, il suicidio o semplicemente la trasformazione di una madre che diventa vecchia, perdendo pezzi di ricordi e di passato è ereditario e primitivo come l’istinto della cova, antico come la tendenza di una madre a proteggere.
Quando la certezza si fa dissoluzione e il primo approdo al mondo diventa l’ultima banchina, allora lì ci siederemo, con le mani intrecciate a salutarci fino a quando i pezzi delle anime si ricongiungeranno, quelle nate, quelle vissute, quelle non sbocciate.
Auguri.
 

 

martedì 7 maggio 2013

Una persona animale


La fotografa Robin Schwarz, docente di fotografia all'università William Paterson del New Jersey ha raccontato il rapporto della figlia Amelia con gli animali attraverso un fotodiario conservato alla galleria ClampArt di New York.

La mostra si intitola “Il mondo di Amelia” e ritrae la figlia dell’artista in un periodo da 0 a 11 anni durante i quali la piccola è stata fotografata con ogni tipo di animale.

Il risultato si intitola "Il mondo di Amelia".

Non ho mai nascosto qui il mio amore per gli animali, amore che spero di trasmettere a mio figlio.

Immagino però che, per ricevere fiducia si debba essere disposti a concedere crediti, si debba essere disposti ad abbandonare paure o sciocchi timori e lasciare che l’istinto prevalga sulla ragione.

Così assisto all’alchimia tra mio figlio e il suo compagno a quattro zampe, così lascio che diventino l’uno una parte dell’altro, anche se il pelo si appiccica ai vestiti del piccolo, anche se trovo i suoi buffi piedi umidi di fiuto.

E mentre uno ride a crepapelle perché Peppeghe (Gaspare) gli lecca le estremità e si vanta come uno grande, cercando di portarlo a guinzaglio, l’altro lo protegge come fosse un suo cucciolo da branchi estranei.

Non potrò mai difendere mio figlio da un tradimento, ma so per certo che il suo compagno non verrà mai meno al patto che li lega.

Perché l’amicizia animale ha forse radici più profonde di quella tra gli umani.

venerdì 3 maggio 2013

Chiedimi se sono felice


"Dimmi babbo che cos'è la felicità?

Figlio mio è un frutto che mangi solo in libertà.

Dimmi babbo dove sta questa libertà?

Sta di casa in un paese che si chiama verità.

Dimmi babbo alla mia età posso andarci anch'io?

Se ti porti la bontà per bagaglio, figlio mio.

 Dimmi babbo la bontà quanto peserà?

Pesa quanto il mondo ma, da' coraggio a chi ce l'ha.
 
Ma il coraggio a che servirà? Lo vedrai lungo il cammino verso la felicità"

Una cara persona, preoccupandosi per me, leggendo i miei ultimi post, mi ha chiesto se io fossi completamente felice.

Completamente felice.

Completamente felice è tanta, tanta roba.

Mi chiedo se sia possibile, essere felici completamente e allo stesso tempo tristi dentro, se io sia bipolare, o se c’è dell’altro oltre la mia folle tendenza a non riuscire mai a godere delle cose. Per la paura di perderle, per il timore di non meritarle, per la colpa di goderne a differenza di altri.

Nella mia testa gli opposti convivono, alimentandosi.

Nella mia testa il bianco non esiste senza il nero, il bello senza il brutto, la vita e la morte, la felicità e il dolore.

Nella mia testa la felicità è un’immagine. La pausa dagli affanni, zittire un cuore in tumulto e lasciare che sia.

Attimi, emozioni. La somma dei giorni belli.

Vederlo addormentato tra le mie braccia e pensare che la perfezione esista e insieme ricacciare indietro le lacrime che sgorgano da un viso bagnato dalla gioia, avendo il terrore che questo momento finisca.

Nella mia testa la felicità sono le parole, la loro danza, la poesia, il blu, il mare, la luce.

E forse Dio, che si trova là fuori, in qualche posto, infinitamente solo e non riesce a tornare indietro da se stesso. E insieme, avere paura di inaridirsi e non riuscire più a essere disposti a vederlo.

 E’ la capacità tipica dei bimbi di credere attraverso l’intuito, l’abilità di cogliere i messaggi del regno non umano e di sentire chi ci ha lasciato prima del tempo.

Rincorrere la percezione di un legame con il tutto.

La felicità si trova nella ripetizione di cose irripetibili e uniche, eppure così naturalmente banali come le emozioni, come le fragilità di fronte alla grandezza. E struggersi perché si è infinitamente piccoli.

E’ ridere, ridere per le cose irriverenti, per un campo di girasoli girati, davanti ad un bicchiere di sauvignon.

Sentire di appartenere a qualcuno, ma a nessun posto, guardare lo stesso cielo sapendo che le stelle che vediamo brillare altri neppure le vedono.

Perdere qualcosa di noi stessi per costruire qualcosa di noi, senza nostalgia e senza possesso e rassicurarsi vedendo che il meglio di quel noi, dorme perfetto sopra di me.

 Non so fare di meglio.

Sono felice a metà e non so il perché.

 

 

 



mercoledì 1 maggio 2013

365 giorni di strada insieme



Facciamo che io soffio sull’unica candelina posta in mezzo ad una torta gigante.

Facciamo che questa però, sia la torta più grande e calorica del mondo. Che al solo guardarla ti si appiccicano due chili ai fianchi.

Di quelle che Gordon Ramsay, Bastieri, Cracco e Bastianich manco si sognano.

Alta, soffice, con piani di panna, ma anche di cioccolata, oppure con strati di pasta sfoglia che si alternano a strati di crema pasticcera, con la glassa ma anche con le fragole, e la ricotta con i pezzi di cacao.

Facciamo che una parte è una mimosa, un’altra una sacher, un pezzo, una cheesecake. Ai bordi una pastiera, al centro un gigantesco cannolo siciliano, oppure un vaso enorme di nutella.

Facciamo poi che, ognuno prenda il pezzo che gli piace e che ci faccia quello che più gli aggrada. Se lo mangi comodo comodo sul divano sorseggiando un passito di Pantelleria, oppure ci affoghi dentro i malumori di una giornata storta, o ne mangi un pezzetto per lasciare il resto a chi si è addormentato, stanco, al proprio fianco. Facciamo che può anche tuffarcisi dentro, sporcarsi le mani e la faccia di granella e marmellata di ciliegie, leccarsi le dita e al diavolo il bon ton, oppure farci le cosacce sotto le lenzuola.

Insomma, facciamo che la torta per il primo compleanno di mammamimmononsolo, sia la torta di tutte le persone che mi hanno seguito fin qui.

Mentre i potenti si accordano per spartirsi una torta sempre più triste io la mia la divido con le persone speciali.

Non vi nominerò una a una per dirvi grazie, mi sembrerebbe uno sterile elenco. Ognuna/o di voi è speciale per me a modo suo.

Oggi non ho voglia di bilanci, né di pensare com’è nato questo blog e dove stia andando, quali distorsioni l’hanno accompagnato, quali sorprese l’hanno fatto diventare quello che è.

Voglio solo festeggiare con voi.

Che sia un buon primo Maggio.

Vi voglio bene.