lunedì 29 dicembre 2014

Gli stivali con lo smoking


 
Il mio approccio all’anno nuovo somiglia a quello di chi si appresta a leggere l’oroscopo di Paolo Fox. Del tipo, reverenzial- scaramantico: non credo a quello che dirai sull’acquario, ma se pronuncerai cose negative, mi guasterai l’umore per l’intera giornata. O quello di chi si accinge a maneggiare un ingrediente culinario prelibato e delicato che al minimo errore, si può guastare come niente. Come quando apri il forno e smosci il sufflè. Il mio approccio all’anno nuovo somiglia all’andatura di un pachiderma dentro un negozio di cristalli: se mi muovo troppo, rompo irrimediabilmente qualcosa. Quindi, preferisco la staticità, almeno per i primi mesi.

E vivo la fine dell’anno, come chi subisce la fine di un amore subita, appunto. Non ci si può fare gran che, ma si va avanti. Così è la fine di un anno, non ci si può far niente, ma ci permette di andare incontro a quello nuovo. Poco importa se il rapporto che si è avuto con l’anno passato sia stato idilliaco, c’è che finisce, ma ci sarà altro.

Che poi si ricorderanno momenti, emozioni, pianti o sorrisi, indipendentemente dal mese o l’anno in cui li abbiamo provati. E il bisogno di incasellarli dentro una data precisa risponde alla necessità di trovargli un posto che il cuore sorvegli.

Il mio anno è stato bello. Alti e bassi, ma bello.

L’amore viscerale per mio figlio ha scandito le albe e i tramonti. Mi hanno cinto braccia che mi amano e presenze che, prego mi accompagnino il più a lungo possibile, mi hanno protetta.

Ma, essere felici, quando si è felici, è esercizio assai semplice. Diversamente, se hai avuto un anno di merda, speri solo che il destino si accanisca contro una pietra o un sasso ma che volga lo sguardo altrove.

Però ho imparato che il pezzo di destino che abbiamo davanti può avere un sacco di sorprese. E quando ho momenti no, mi vengono sempre in mente le parole della mia mamma: “Quello che non succede in un anno, può succedere in un’ora e vale sempre la pena vedere come va a finire”.

Pare che la vita abbia un ritmo proprio, spesso indipendente dalla nostra capacità di ballarci sopra. Il problema è che, come il gatto Scatt-Cat degli Aristogatti, tutti vogliono fare il Jazz, anche quando la vita ti propina samba, rumba e rock and roll, polka, rumba e rondò.

E non sempre si sceglie la musica che si vorrebbe danzare. Però, le scarpe giuste, quelle le si possono indossare. Perché se ci si mette i tacchi e suona un rock, è possibile che, se non avvezze al tacco dodici, con molta probabilità si cada. Il tip-tap viene male se ballato con le converse e il flamenco peggio, se si indossano sandali infradito.

Quindi, prima di scendere dal letto ed andare incontro a questo 2015 vediamo che musica batte; magari sarà il più afro dei jazz, con note swing e blue, magari ci farà sognare, improvvisando passi più corti delle nostre gambe o lunghi quanto i nostri sogni. Magari inciamperemo sui nostri stessi piedi, ma, se persone, peraltro scalze e affatto felici hanno improvvisato la musica di rottura per antonomasia che, nasce dai campi per alleviare il dolore di chi non dispone della propria libertà, riuscendo a dare un suono ed un animo allo smarrimento della vita, allora noi, il minimo che possiamo fare, è mettere le scarpe giuste e provare a ballare una musica anche senza note.

Poco importa se abbiamo sbagliato scarpe sino ad ora; la ricerca della felicità indossa anche le calzature sbagliate degli errori. Ritornare sui propri passi è un dettaglio che fa grandi.

Il resto va da sé. Ci sarà l’alternarsi struggente o luminoso di giorni positivi seguiti da quelli negativi, l’aggrovigliarsi di nodi dall’aspetto spettinato, ci saranno pause, attese ed emozioni palpitanti sottopelle.

E silenzi, quelli in cui ritrovarsi, dopo che la musica è finita. Ci saranno giorni che si terranno la mano in un grande cerchio fino a formare un anno intero di ore lente. Notti che ruberanno altro sonno e regaleranno i centimetri dell’infanzia di un bimbo sempre più lungo, sempre più sveglio, sempre più fondante, all’oblio della spensieratezza. Ci saranno cose.

 

Che siano buone, queste cose. Che sia un buon 2015. Che sia buono, anche per chi usa mettere gli stivali con lo smoking.

 

 

 


venerdì 19 dicembre 2014

Un sogno possibile


 

Tra mononucleosi, influenze, otiti e virus di diverso genere, siamo quasi arrivati a Natale.

Ho visto la prima recita di mio figlio, e ho pianto di emozione.

Perché quel quasi metro di bambino sul palco, per me, era la cosa più vicina alla perfezione.

La mia, almeno, di perfezione. Il mio sogno possibile.

Ho letto tanti post sul Natale. Racconti di emozioni, di attese, alcune felici, altre meno. Alcuni bilanci stringono il cuore e fanno apprezzare di più quel che si ha. Che è tanto, che è tutto, che è vita.

Ho pensato molto ad una frase che, priva di un’accezione negativa, mi ha detto l’altra sera mio marito. “Tu sei madre, prima di essere Raffaella.”

Lì per li non ho capito bene cosa intendesse dire. Se la maternità mi avesse privata di una parte importante della mia personalità o se avessi, in qualche modo, messo in secondo piano me stessa in favore di un ruolo.

Poi ho capito. E sì, sono madre, prima ancora di essere Raffaella. Ma credo che lo fossi, anche prima di mettere al mondo, Daniele. Questi giorni festosi, sono giorni spietati per chi aspetta un figlio che non arriva. E’ così, senza tanto girarci intorno. Chi prova, sa.

Perché il Natale è legato a doppio filo al concetto di maternità. Tutto rimanda ad un atto creativo, di nascita, di speranza, di fiducia.

Rubo, allora, le parole di Cecilia Mazzeo che, lo scorso anno ha pubblicato su mmamaimperfetta questo post che, trovo bellissimo.

Perché è l’importanza di credere a Babbo Natale che, ci rende, tutte, comunque, madri.

“Se chiudo gli occhi e penso a Babbo Natale vedo un signore barbuto, canuto, con occhietti vispi, teneri e acquosi. Un abito rosso che sa di ciniglia, di velluto e di pannolenci. Scarponi neri che non fanno rumore, che nascondono passi felpati. Impronte eterne nel cuore e nella memoria di ogni bimbo e poi di ogni uomo. Un’infinita catena di riti, letterine, campanelle, nasi all’insù.
Ma ancor prima di tutto questo mi balza allo sguardo una protuberanza: la sua pancia. Quella pancia che sa di nonno goloso, di banchetti “grassi” perché al Polo Nord fa molto freddo e si ha bisogno di calorie. Quella pancia che rassicura perché imperfezione umana, perché cuscino per le pene. Il mio sguardo però ha acchiappato al volo anche un pensiero farfalla. La pancia mi rimanda immediatamente ai concetti di: attesa, gravidanza, nascita, maternità. Quale simbolo migliore della pancia a rappresentare il dono, l’amore? Cos’ è la pancia femminile se non una cuccia calda in cui germoglia la vita e cresce e si fa strada, mistero d’amore!
Ogni tanto mi piace pensare che Babbo Natale sia un po’ tante cose. Un nonno sì, un nonno con pancia di madre. Che sia la fusione, l’alchimia, il senso profondo del nostro essere qui a festeggiarci e festeggiare il Natale.
Del resto l’Avvento che ci conduce a scartare i suoi regali nella notte in cui nasce il Bambin Gesù che cos’è se non una gravidanza in miniatura? Un nono di gravidanza. 24 giorni in cui il cuore, come un ventre, dovrebbe prepararsi per accogliere. In cui dovrebbe accendere fiammelle dolci per rischiarare i passi, le direzioni. Avvento, dal latino significa “venuta”. Per la fede cristiana, la venuta di Gesù Cristo annunciata da una coda di stella brillantissima, dai Re Magi, dai pastori, dalle genti che accorrono. La manifestazione di una gravidanza misteriosa senza seme. Un seme di luce disceso dal cielo e annunciato da un angelo. Quando invitiamo qualcuno a casa nostra ci piace che la casa sia pulita e in ordine, che emani una bella energia. E all’igiene del cuore, dei pensieri…ci pensiamo mai? Il significato dell’Avvento è proprio questo: preparare il cuore. Spolverarlo. Buttare ciò che non serve e fare spazio per nuove energie. Accendervi dentro candele profumate e sanificanti.

E Babbo Natale in tutto queste, domanderete voi?
Babbo Natale è, secondo me, una specie di ponte umano, simbolico, fiabesco tra il sacro e il profano. È la personificazione della speranza, della fiducia, del sogno possibile. È il cuore che si spreme, che desidera, che ascolta, che crede, che si fida. È una specie di oggetto tranfert, di copertina di Linus, di ciuccio, di biberon con latte caldo. È un personaggio che, come i protagonisti delle fiabe, permette al bambino di costruirsi una coscienza emotiva armoniosa e fiduciosa. Lo stesso psicanalista Bruno Bettelheim spiegava l’importanza delle fiabe e dei suoi personaggi come strumento di decodificazione della realtà e come stampella che fornisce le chiavi di lettura per superare conflitti e paure. Inoltre è l’icona dell’uguaglianza.
Fino a due anni fa io scomparivo nella pancia di Babbo Natale. Era solo lui l’artefice di tanta magia, di quell’attesa che fa venire l’acquolina e fa palpitare il cuore. Ero una specie di ghost christmas maker. Non volevo togliere ai miei figli l’amicizia di questa figura importante, di questo “nonno” magico vestito di rosso. E’ fondamentale tenere intatto il cassetto della speranza e della gioia bambina, fondamentale poter dire “io credo, io mi fido.” Babbo Natale è un atto di fiducia, di amore senza discriminazioni. Babbo Natale dovrebbe saper azzerare le distanze, è il sogno di tutti, per tutti.
I miei figli non sono più piccoli e sono fin troppo svegli. Avevo paura che qualche loro compagno, più scettico e arrogante, potesse disturbare il loro incanto. Così ho cominciato a prevenire, ho fatto a loro alcuni discorsi.

“Sapete, ci sarà qualcuno che vi prenderà in giro, ci saranno amici che vi diranno ‘ma sei scemo? credi ancora a queste fandonie? Sei proprio un pirla!’. Ma voi non offendetevi, rideteci su. Non sanno quello che si perdono, non sanno che Babbo Natale non disturba chi non crede, ma soddisfa chi lo aspetta con il cuore spalancato. Ah, un’altra cosa: ci saranno bambini che riceveranno meno o più di voi. Non è una cosa strana: Babbo Natale sa leggere il cuore dei genitori, non violenta i loro desideri, il loro modo di pensare. Per ottenere certe cose…è perché dovete crederci davvero tanto, con tutta l’anima, con le braccia aperte”.

Sono contraria a quei genitori che, come panzer, comunicano ai propri figli (pensando siano già grandi): BABBO NATALE NON ESISTE!, che è come dire “TI HO FREGATO PER DIECI ANNI, ORA BASTA, SEI GRANDE.”
No, non così per favore. Questa è una forma di VIOLENZA lo sapete? È un imbroglio? Una durezza che vi tornerà indietro senza sconto!
Nessun bambino deve accorgersi razionalmente di quel passaggio. Non deve esserci una comunicazione così brusca, cattiva quasi. Tutto deve essere fluido, liscio, naturale, amorevole, dolce.
Io ho cominciato l’anno scorso. Babbo Natale (io) ha scritto loro una lettera…dicendo che ormai sono quasi grandi e che i bambini nel mondo continuano a nascere e sono davvero troppi per le sue sole forze, seppure magiche. Che lui li ha instradati verso il Natale, li ha “svezzati”, condotti, nutriti, che non sparirà mai per loro, ma che passerà il testimone alla mamma (a me), vegliando sul mio lavoro, regalandomi spunti, confidandomi segreti, prestandomi un po’ della sua polverina magica, farcendo la mia mente di idee.

Loro non hanno dubitato minimamente.
Come se, nel fondo del cuore e da sempre, sapessero che Babbo Natale sono io. Che io sono Babbo Natale. Che l’amore è Babbo Natale. Che Babbo Natale è un gesto, una coperta che ti avvolge per 24 giorni e ti rimane dentro per il resto dell’anno.
Che Babbo Natale è una cre-azione: un’azione d’amore creativo. L’azione di chi nasce insieme a Gesù…infinite volte…nel dono d’amore”.

 

Buone feste.

 

 

martedì 2 dicembre 2014

Travi, pagliuzze e piloni di cemento


Non è che io voglia commentare vangelo e sacre scritture. Lungi da me.

Ma, ultimamente, reo il fatto che alla scuola materna di mio figlio c’è un bimbo che, nel suo immaginario, incarna il male, mi trovo spesso a interrogarmi sul comportamento della gente.
Anche della gente piccola. Alias, dei bambini.

Immagino che in ogni scuola del mondo ci sia un bambino che, agli occhi dei nostri figli, rappresenta tutto il negativo possibile.

Nella scuola di mio figlio c’è questo bambino, cui darò un nome immaginario, Guido Guidoni, che, potrebbe benissimo essere arruolato nelle file legionarie straniere. Cosa che non escludo.

Comunque, pare che, Guido Guidoni soffra di una qualche forma di iperattivismo, sofferenza che la famiglia, piuttosto distratta, tende a sottovalutare. Complice anche il fatto che, la scuola pubblica non ha un centesimo da spendere neanche nei casi in cui servirebbe il sostegno, Guido Guidoni, spesso picchia, strilla, spacca e a detta di mio figlio, non si lava i denti.

Mio figlio dice che Guido Guidoni non riceverà alcun regalo da babbo natale, perché cattivissimo e maleducato. Sembra che il motivo della contrazione economica, del debito pubblico, del buco nell’ozono, della diffusione di ebola e della presidenza di Matteo Renzi, sia opera del Guidoni.

Il Guidoni, che comunque vanta l’ascendente tipico del lucignolo, quella sorta di fascino cattivo che fa sempre presa sugli altri, non si lava i capelli, risponde male alle maestre, dice le parolacce, compreso stupido e idiota, si toglie le caccole e soprattutto non sta in cerchio. Ora, io non ho la ben che minima idea di cosa comporti lo stare in cerchio, ma agli occhi di mio figlio, questa cosa sembra, gravissima.

Cattivissimo, Guidoni.

Della famiglia del Guidoni sappiamo poco. Non sappiamo se sia maleducata come il figlio, se abbia un piano educativo ed emozionale. Non sappiamo se i genitori siano abituati a strillare, a rispettare le regole, a rispettarsi reciprocamente. Credo, come tutti che, dietro un bimbo cattivo, ci siano cattivi genitori. Applicavo questa regola anche all’educazione del mio cane, prima ancora che a quella di mio figlio. Anche se non sono del tutto convinta che sia tutta colpa dei poveri genitori la riuscita esistenziale di Pietro Maso. Come credo che Charles Manson, Jaffrey Dahamer o chi per loro, abbiano, di certo, scientemente deciso di applicare il male.

Ora, dire che un bambino è cattivo, significa, in parte, dire che anche la famiglia, in qualche modo, contribuisce alla cattiveria del soggetto in questione. Menare, spintonare, gridare, insultare, strappare disegni, non stare in cerchio, hanno alla loro origine, degli esempi negativi a monte.

Consapevoli quindi che siamo l’ambiente in cui il bambino cresce e vede, che siamo il loro prototipo, dovremmo interrogarci su travi, pagliuzze e piloni di cemento.

E’ che purtroppo siamo tutti un po’ inclini all’auto giustificazione, alla misera pratica di derogare alla regola, o peggio alla morale, in caso di personale discolpa.

C’è un libro bello di Gianrico Carofiglio “ La regola dell’equilibrio”. Il titolo del libro si ispira al concetto dell’ equilibrio per esplorare la dimensione dello sbaglio come possibilità di recupero, e chance di riparare ai propri errori in contrapposizione a quella della giustificazione dello sbaglio stesso, come pretesa, boria e ostentazione che rende cieco chi è in malafede.


Devo ricordarmelo la prossima volta in cui, stanca e inquieta, dovrò essere capace di strozzare in gola una parolaccia e non sentirmi dire da mio figlio: “Mamma, cazzo non si dice. Hai detto una brutta parola, proprio come Guido Guidoni.

 

 

 

lunedì 24 novembre 2014

L'elogio dell'imperfezione


Sarà che la faccenda di diventare madre me la sono sudata sul campo di battaglia senza onore al valore ma con un gran culo: quello di aver avuto Daniele. Sarà che ho troppo rispetto per le donne che, come me, sono state o sono in trincea, con il fango nelle scarpe e la cacca fino al collo.

Ma a me questa storia che va tanto per la maggiore della mamma imperfetta, del fatto che faccia figa essere imperfetta, della mamma multitasking che ce la fa, sempre, in bilico tra lavoro, figli, casa e forma, la rappresentazione dell’apologia del difetto a tutti i costi, mi ha proprio rotto le balle. Il web è popolato, tranne casi eccezionali che rappresentano la classe e mi riferisco a persone come la Tesio o la Boriosi o alla  Chiara vecchia maniera, da donne-mamme, in piena esaltazione delle mancanze, carenze, dei difetti delle madri di oggi.

Allora mi chiedo: perché ostinarsi tanto a elogiare la normalità?

Voglio dire: siamo tutte nella stessa barca. Lavoriamo, arranchiamo, con una scarpa e una ciabatta, si dice dalle mie parti, corriamo da un posto all’altro, svolgiamo ruoli e status diversi e spesso contemporaneamente. Abbiamo smesso di bere negroni, che vorremo continuare a bere, di tirar tardi la sera, guardiamo quasi tutte Jake il pirata al posto di quel gran figo di Matthew McConaughey in serie truci alla True detective (meravigliosa) e condividiamo il nostro stato per placare l’insicurezza e la paura di non essere madri buone per i nostri figli.

Ma quando questa insicurezza si trasforma in tendenza, quando dietro all’inadeguatezza genuina si celano strategie di marketing per il successo, beh allora, la cosa mi infastidisce e avvilisce al tempo stesso. Che il ruolo della madre sia cambiato è assodato. Un dato di fatto. Sicuro come Bruno Vespa a porta a porta. Indiscutibile, come le casette dei suoi plastici.

Non sono tanto sicura del concetto che l’imperfezione, invece, ci salverà.

Nel senso che, forse, dovremmo chiederlo ai nostri figli tra dieci o dodici anni. Quando in piena crisi adolescenziale sulla porta ci manderanno a cagare, accusandoci di averli messi al mondo in un posto in cui non gliene frega niente stare, rinfacciandoci di non essere state presenti come, invece, avrebbero voluto. Quando, magari, urlandoci contro ci diranno che, avrebbero preferito non fare questo o quel corso di nuoto, questo o quel corso di inglese, la capoeira al posto della sessione jazz, questo o quella vacanza negli States, meglio in Australia, come se la bontà di un corso/vacanza si basasse sulla sua distanza dal nostro paese. O quel viaggio che tanto piaceva a mamma è papà, perché rappresentava una buona esperienza per il futuro, piuttosto che (va tanto di moda dire piuttosto che…) una roba semplice semplice, possibilmente senza tablet, telefono e connessione. 

Ora, la domanda che ci accomuna tutte è sempre la stessa, come conciliare tutto senza rinunciare a sottrazioni pesanti. Come riuscire a organizzarsi e vivere e far vivere i nostri figli in maniera decente senza grossi danni. Ecco, molte mamme-donne blogger enfatizzano questa spasmodica ricerca dell’equilibrio sbilenco a tutti i costi. Mi sembra che la rete e anche la carta stampata, sia invasa da madri-donne super impegnate che inneggiano all’imperfezione pur di arrivare a tutto. Se ci si ride sopra, anche meglio. Il punto è che a tutto non si può arrivare, se non non si risponda al nome di Wonder, si hanno gambe kilometriche, tette sode e poteri come il teletrasporto e l’ubiquità. E quindi, se a tutto non si può arrivare, vorrei chiedere ai loro figli, tra circa vent’anni se, non fosse stato meglio avere una mamma che avesse fatto  meno cose, un tantino più perfette, se non fosse stato meglio averla avuta più presente, meno nevrotica, mentalmente più vicina.

Perché i figli non ti piovono dal cielo. Se così fosse, molte di noi starebbero lì a darsi gomitate sui denti. No, i figli, difficilmente ti capitano. E mi fanno un sacco ridere anche quelle tizie che, tipo a trent’anni, scrivono che gli è capitato un figlio in giovane età. No, ragazze. Trent’anni non sono una giovane età. Potrei sciorinarvi giù una roba sul declino dell’infertilità che ve la risparmio.

E no, non mi fanno ridere neanche le madri pessime, né i consigli per sopravvivere alle recite, ai compleanni, agli spannolinamenti, alle partite di calcio, a quelle di basket. Non mi interessa l’elogio dell’imperfezione. Lo trovo pure irritante.

Perché credo che un figlio valga la pena di provarci, almeno, a lucidare le scarpe della perfezione.

A un figlio gliela devi la perfezione, o quella che puoi, fosse anche una sufficienza strappata se non sei in grado di arrivare al dieci.  Ma se le potenzialità per arrivare alla lode le possiedi, e no, allora non sopporto quando si grida il diritto all’imperfezione starnazzando le inadeguatezze della maternità. E’ un po’ come approfittarsi del fatto che per un figlio una madre è comunque un essere speciale e questo la mettesse al riparo dal provare a raggiungere uno stato, peraltro irraggiungibile.

E certo che la perfezione non esiste. Ma quello stato di essere speciale che vede solo tuo figlio, te lo devi guadagnare. E ci devi lavorare su, giorno e notte, perché è un tuo preciso lavoro, un tuo preciso impegno, preso nel momento in cui hai deciso che tu, quel figlio lo volevi.
 E il meglio gli devi dare.
Fosse anche un quattro.

Vi lascio con il testo di una canzone che, trovo bellissimo. Credo che non sia stato neanche scritto per un figlio. Personalmente, non ho la ben che minima idea di cosa siano le correnti gravitazionali. Ma provare a superarle, senza sapere bene come, è quello che più si avvicina al mio concetto di amore imperfetto verso un figlio.


LA CURA
Testo di Franco Battiato e Manlio Sgalambro



Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai.
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io, avrò cura di te.
Vagavo per i campi del Tennessee
(come vi ero arrivato, chissà).
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
attraversano il mare.
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza.
Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza.
I profumi d'amore inebrieranno i nostri corpi,
la bonaccia d'agosto non calmerà i nostri sensi.
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
TI salverò da ogni malinconia,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te...
io sì, che avrò cura di te.





venerdì 21 novembre 2014

Quando il bimbo non arriva


Quando il bimbo non arriva, è difficile gestire la tristezza. La rabbia, la frustrazione, di solito, prendono il sopravvento sulla quotidianità. Tante volte ho parlato, anche qui, dello stress emotivo, del vuoto, del bisogno di comprendere, accettare, accettarsi e preparasi a un lungo cammino. Fatto di dossi, di buche, di salite e a volte, lente discese. Imparare a gestire la distanza che si crea dal proprio partner, la solitudine, le crepe inevitabili che si formano sui muri di pianto, di silenzio, di dolore, è difficile. Quel dolore che si ferma al centro dello sterno, come un’ernia iatale gigante che ostacola ogni flusso di gioia e arresta il respiro, è un nemico crudele

E’ difficile cercare con coraggio il proprio pezzo di gioia, bisogna sudare di brutto.

Alla faccia di chi pensa che la pma sia la panacea di tutti i mali. La pma è un salto nel vuoto senza reti di protezione e quando cadi, se cadi, ti fai davvero male. Ed anche quando la ferita si rimargina e non sanguina più, resta la cicatrice a ricordarti la tua battaglia sul campo.

Ma, fortunatamente, anche su campi minati, ricrescono i fiori. Ricordiamocelo.

Relazione Feconda, associazione senza scopo di lucro, offre, tramite counceling, a chi cerca un figlio, uno spazio di sostegno. Questa associazione organizza percorsi di coppia e per singoli che vivono il desiderio di un figlio e insieme l’alternarsi di speranza, delusione, attesa. Gli incontri, tramite l’auto sostegno insegnano a gestire le emozioni cercando di preservare la vita quotidiana e quella di coppia. Accettare di vivere meglio l’esperienza di un bimbo che non arrivare può davvero essere utile. Gli incontri prevedono una parte informativa e una discussione di gruppo agevolata da una councelor e da una mediatrice familiare, professionista esperta secondo la L.4/13 di infertilità e dinamiche di coppia.

 Parlare con un counselor esperto aiuta a superare la frustrazione, lo stress delle cure mediche, la difficoltà delle scelte. Aiuta ad ascoltarsi per capire cosa è meglio per sé e per la coppia in un momento di perdita. Ci si rasserena e ci si ricentra sulla propria vita, lo stress e l’ansia si riducono, il rapporto di coppia ne beneficia.

Durante i trattamenti di riproduzione assistita, poi, il counseling può essere di sostegno nell’affrontare il percorso più serenamente e con aspettative realistiche, nel gestire efficacemente le emozioni e i momenti faticosi, nel focalizzarsi sulle proprie risorse e su quelle di coppia; se il tentativo di fecondazione assistita non riesce, fornisce degli strumenti per superare la nuova delusione, decidere i passi successivi, capire quando dire ‘basta’, ricominciare da sé e dalla propria vita.

Presso il Centro Genera di Roma, il prossimo 3 dicembre inizierà, il prossimo ciclo di incontri.

Ve lo consiglio.


mercoledì 12 novembre 2014

La fase idilliaca con la dieta MinciDelice



Vi parlavo qui dei prodotti iperproteici della MinciDelice.

Oggi, voglio parlarvi della dieta, che mi piace un sacchissimo.

Il metodo è basato sul principio della dieta proteica (riduzione massima di glucidi per obbligare il corpo a bruciare il grasso immagazzinato e fornire l’energia necessaria, ovvero chetosi), e contemporaneamente, favorire, a ogni pasto, l’apporto di proteine indispensabili alla costituzione di muscoli, di tessuto e del buon funzionamento del sistema immunitario.
La
dieta MinciDélice si sviluppa in 3 fasi, la cui durata dipende dalla quantità di chili che si desidera perdere; si tratta in ogni caso di una dieta breve che si consiglia di seguire per un periodo minimo di 7 giorni - per una perdita fino a 3kg- di 14 giorni- per una perdita dai 3 ai 5Kg, fino a un massimo di 28 - per una perdita fin dai 5 ai 9 kg (personalmente già se ne perdessi 5 accenderei un cero a Sant’Antonio), e poi di distanziare di almeno 10 giorni, la ripetizione, per dar modo all’organismo di riprendersi.

La Fase 1, anche detta Intensiva, è quella destinata al dimagrimento, in cui il consumo di zuccheri e grassi è ridotto e l’alimentazione è rinforzata da un apporto di proteine. In questa fase sono previsti tre pasti preparati da mangiare durante la giornata. Es. Colazione: caffè/the+ preparato mincidelice; Pranzo: verdure+preparato mincidelice, Cena: carne o pesceo uova più verdure, più quantità limitata di formaggio light.
La Fase 2, di Transizione, permette l’adattamento a un’alimentazione regolare, per cui è diversificata progressivamente con l’introduzione di farinacei, passando dall’assunzione di tre pasti mincidelice a due.
La Fase 3 Stabilizzante prevede un’alimentazione equilibrata; le nuove abitudini alimentari permettono di far mantenere la nuova linea.

Durante ogni fase è previsto un “Menu Tipo” ed il vincolo di consumare solo alcuni tipi di prodotti preparati nei metodi di cottura più dietetici, ma tutto questo è spiegato nella guida che viene aggiunta ad ogni ordine sul sito http://www.mincidelice.it.
Questi preparati rappresentano dei veri e propri pasti, e possono essere dolci o salati, snack, barrette, mousse, omelette, zuppe, insomma, la qualunque. Ma la cosa incredibile è che sono, buonissimi. Tranne la zuppa alla zucca e castagne!  Ti dotano di uno shaker, tu decidi i tuoi tre pasti principali e aggiungendo acqua il gioco è fatto. Sono pratici, buoni, saziano ed io sono tanto, tanto contenta!

A differenza di altre diete iperproteiche basate sull’assunzione di proteine, i prodotti mincidelice hanno un rapporto qualità/prezzo davvero conveniente. Ci sono dei pacchetti di prova per 7 giorni, 14, o 28, o si possono acquistare sciolti. La spedizione è diretta e l’Azienda molto seria.

Relativamente ai prodotti, personalmente, non li ho provati tutti, ma devo dire che, quelli che ho provato, e ne ho provato diversi, sono molto buoni.

Di solito credo ai post ad alta intensità pubblicitaria solo se la fonte da cui leggo è seria, e comunque mai senza aver provato i prodotti.  Nel caso specifico, l’Azienda Mincidelice non mi ha chiesto nulla. Sono io che, per onestà intellettuale, trovandomi benissimo con questa dieta e volendo prolungare il trattamento, ho chiesto loro se potevo parlarne sul mio blog in cambio di una agevolazione in termini di prove di altri prodotti. E, loro, gentilmente sono stati più che collaborativi.

 Che ve devo di? Dieta iniziata mercoledì 5: oggi - 2,2.

Mincidelice te lovvo, un sacco.

 

 

lunedì 10 novembre 2014

A 40 anni saluta sempre come se fossi la regina Elisabetta: ovvero, a gomiti stretti


Ho una nuova fissazione. Il novello chiodo non ne sostituisce uno vecchio, ma si somma alle precedenti manie. Quindi, non è una buona cosa.

La fissazione consiste nelle: braccia molli.
 
 
 
 
 

Quella roba del tipo “ali a pipistrello” o becco di pellicano” insomma, quella roba che interessa molto le donne intorno ai 35-40-50-60. Non vado oltre i 60 perché, si presuppone che, se tu donna, a settanta anni non hai accettato che salutando con il braccio alzato, la tua pelle dondola, il problema non risiede nelle braccia, ma altrove.

La mia guerra al terrorismo flaccido è cominciata su più fronti.

Per ora si combatte su più livelli. Sostanzialmente esercizio fisico, dieta e creme, ma non escludo un passaggio verso l’artiglieria pesante in caso di avanzata nemica. Pare che le braccia a tendina siano conseguenza dell’invecchiamento dovuto agli squilibri ormonali, in particolare alla “ diminuzione degli ormoni anabolici, Dhea, Gh, testosterone, vitamina D3 (pro-ormone) e all’aumento di quelli catabolici, come il cortisolo. Per rilevare eventuali squilibri, si possono dosare i livelli tramite esami del sangue”. Laboratorio analisi, attendimi.

Gli sport più adatti contro il flaccidume?

Alternare attività aerobiche ad attività anaerobiche con pesi e quant’altro.
 
Gli esempi degli esercizi, delle serie e dei piegamenti da fare si trovano ovunque, da you tube, a internet, basta solo cliccare “braccia molli”.
Il problema è capire, semmai, dove diavolo andare a pescare la voglia per eseguirli.

venerdì 31 ottobre 2014

Nessun raptus, solo cattivissima violenza


Non so cosa lei abbia pensato quando lui le ha inferto i primi colpi. Quando le si è scagliato contro con la furia malvagia di chi vuole sopprimere, dominare, strappare. Che uno pensa che la barbarie si manifesti solo al di fuori dei propri confini. Più in là, più in là, in un posto lontano, in luoghi desolati, in case caratteristiche, dove i muri raccontano violenze domestiche e singhiozzi sommessi. Le bambine di là, chiuse nella stanza perché non sentano che il papà sta uccidendo la mamma. Forse questo deve aver pensato, mentre lui l’accoltellava. Fa solo che non sentano, fa solo che dormano il sonno più profondo e che il risveglio non sia tragedia che segna il loro destino. E forse ha lottato. Sì, ha lottato, contro quei colpi mortali.

E così mentre ti ritrovi a leggere i giornali come fai ogni mattina, tu che hai sempre studiato i casi di femminicidio, che conosci lo stolking che, odi la sopraffazione in ogni sua forma ti soffermi a fissare la fotografia di una donna i cui occhi hai incrociato per le vie della tua città, forse al parco, forse in profumeria, forse chissà e una morsa ti chiude lo sterno. Manca il respiro, manca l’aria, manca la forza anche per riflettere.

Trentasei anni, madre di due bambine, di due e sette anni, uccisa a coltellate dal marito di trent’anni più grande nella cucina della loro casa. Una casa poco distante dalla mia, davanti alla quale sarò passata miliardi di volte, un palazzo che conosco bene. E tutto si amplifica. La rabbia, il dolore, le lacrime. Per una donna, per una madre, per una persona, che non conoscevi, un viso, tra i tanti che incontri ogni giorno.

E ti fermi a pensare che sei madre di un figlio maschio. Che tocca anche te, cercare di cambiare questa cazzo di cultura che consuma il cervello e perpetra, in ogni luogo e in ogni epoca, l’oppressione per antonomasia, il governo dell’uomo sulla donna. Insegnare la cultura del non possesso, che le cose e le persone non si posseggono. Imparare a non giustificare, difendere, proteggere ad ogni costo. Imparare a gestire il dolore dei nostri figli, stando accanto in silenzio, di modo che imparino ad accettare la sofferenza dell’addio. Che non si può, non si deve, non è pensabile esercitare il potere del più forte, fisicamente, psicologicamente ed economicamente perché il comportamento di un altro essere risponda ai nostri desideri. Per quanto doloroso, posso essere. Dovrebbe essere esercizio quotidiano, dai banchi dell’asilo.

Poche regole. I gioghi che si usano, si ripongono al loro posto. Non sono i nostri. Se lei non vuole più giocare, si smette il gioco. Ci devi stare. Puoi piangere, specialmente se lei è speciale, ma non puoi trattenerla.

Non è difficile. Eppure: ” Gli omicidi basati sul genere si manifestano in forme diverse ma ciò che accomuna di più tutte le donne del mondo è proprio l’uccisione a seguito di violenza pregressa subita nell’ambito di una relazione d’intimità. Queste morti “annunciate” vengono spesso etichettate come i soliti delitti passionali, fattacci di cronaca nera, liti di famiglia. Le donne muoiono principalmente per mano dei loro mariti, ex-mariti, padri, fratelli, fidanzati o amanti, innamorati respinti. Insomma per mano di uomini che avrebbero dovuto rappresentare una sicurezza. I numeri in Italia sono impietosi: muore di violenza maschile una donna ogni due o tre giorni”.

mercoledì 22 ottobre 2014

Social freezing


Se solo mi avessero informato, tanto tempo fa, della possibilità di congelare i miei ovuli, oggi non starei qui a rimpiangere quello per cui è tardi, combattere.

Forse avrei anche baciato il/la ginecologa che all’epoca mi seguiva. Forse, le avrei regalato un viaggio ai tropici.

Non è andata così.

Mi prostro al suolo come Benigni e Troisi quando scrivono al Savonarola: Ti salutiamo con la nostra faccia sotto i tuoi piedi senza neanche chiederti di stare fermo, puoi muoverti quanto ti pare e noi zitti e fermi”, firmato i peccatori con la faccia, dove sappiamo, sempre zitti e ringrazio Dio per Daniele, zitta e ferma sotto i piedi del cielo.

Ma, c’è un ma.

Quindici anni fa, ma anche dieci, ma anche solo cinque, ma forse anche solo due, credo che i ginecologi che presentassero alle loro pazienti questa tecnica fossero davvero pochi nel nostro Paese. Tecnica ancora poco conosciuta al grande pubblico ma molto più diffusa di quanto si voglia credere. E, cosa assai importante, l’Italia è leader in questo settore ed è riconosciuto come tale dalle più importanti società scientifiche.  La notizia della crioconservazione è iniziata a circolare nell’ambiente della fecondazione in vitro con i viaggi all’estero delle persone che hanno trovato il loro pezzo di felicità altrove, perché più fortunati e forse, anche più coraggiosi. O forse, solo più ricchi. Sapere di poter crioconservare la propria fertilità, per le più disparate motivazioni, a me, personalmente, allarga il cuore.

 
Non mi interessano i motivi per cui due colossi americani come Apple o Facebook aiutino economicamente a ricorrere a questa tecnica le proprie dipendenti, che comunque sono libere di scegliere se ricorrervi o no. Mi interessa sapere che, alcune donne, preservando la propria riproduttività potrebbero avere una vita migliore, pianificando la propria maternità e generare il proprio figlio.

A me basta.

venerdì 10 ottobre 2014

Come ridimensionare il nemico in 3 mosse


Una vita fa, quando il solo suono della voce del mio futuro, ex, fidanzato mi faceva vibrare come una corda di violino e stavo male per le sue disattenzioni, una mia cara amica, per ridimensionarne la grandezza e riportarlo al suo giusto ruolo umano, mi disse: ” Ah Rà, è solo ciccia”. E pizzicandosi le braccia continuava: “Vedi, è come noi. E’ carne, ciccia, un essere umano, neppure tanto interessante”.

Con il tempo, le parole della mia amica mi sono tornate utili e mi hanno aiutato a capire che, la gente, le persone, anche quelle che temiamo di più, o quelle che amiamo non corrisposte, o quelle potenti, sono solo ciccia.

Ecco quindi, all’insegna della moda che gira sul web, di fare elenchi puntati, ecco le tre mosse vincenti per ridimensionare il nemico o l’ amato quando mina le nostre certezze. Ricordiamoci sempre che:

-         anche il capo più temuto, fa la cacca, esattamente come noi. L’immagine che ne segue ci aiuterà a guardarlo con occhi diversi la volta in cui ci griderà addosso che abbiamo sbagliato a mandare un file;

-         Immaginarlo nell’atto sessuale e ipotizzarne le facce è un metodo valido che lo riporta alle giuste dimensioni;

-         Se poi riuscite a visualizzarlo in modalità puzzetta, allora siete a cavallo.

 

martedì 7 ottobre 2014

Le regole del blog


Ci sono delle regole precise per scrivere sul web.

Chi gestisce un blog, dovrebbe saperlo.

I post devono essere brevi, catturare l’attenzione, non copiati. Le citazioni dovrebbero essere virgolettate e riportare le fonti.

Chi scrive deve farlo regolarmente, rispettare le scadenze e non sparire dalla circolazione per mesi.

Gli argomenti dovrebbero essere interessanti, no a spannolinamenti e caccole se non aggiungono qualcosa di nuovo o di utile.

Si scrive per se, per farsi conoscere, per far conoscere la propria esperienza nella speranza che possa aiutare altre persone che vivono lo stesso problema, fase, periodo, malattia, passione.

In una parola, per condividere.

Chi scrive dovrebbe essere almeno un po’ interessante, non annoiare con aneddoti personali che importano a pochi.

Nel mare magnum del web c’è un sovraffollamento di notizie, informazioni e dati reperibili. C’è tutto a portata di tutti. Tutto è molto semplice e diretto e se non si ha qualcosa di nuovo da dire, meglio non aggiungere abbondanza all’abbondanza.

In questo oceano di comunicazione, voci e notizie, mi sono chiesta più volte quale sia il posto di mammamimmononsolo, specie alla luce delle ultime conquiste nel campo del mondo della fecondazione in vitro. Se non sia anacronistico lo scopo con cui è nato, se non sia utile come, forse e spero, lo sia stato, un tempo.

Del resto penso che, la mia quotidianità non sia così speciale da essere trattata e sviscerata in post senza un senso particolare.

Non aggiorno il blog, come vorrei. Non scrivo, come vorrei, non commento gli altri blog, come vorrei.

Non faccio to do list, non faccio l’elenco delle dieci cose che…, non prometto dimagrimenti in tre mosse vincenti, non faccio vignette, non do ricette.

Per mancanza di tempo, di organizzazione e forse, chissà, di stanchezza.

Ma voglio un gran bene a mammamimmonosolo per quello che rappresenta, per le persone che mi ha fatto incontrare, perche dietro ad alcuni commenti ci sono alcune delle persone più belle che io abbia mai conosciuto.

Ho un debito di gratitudine con questo spazio che mi ha riempito ed ho riempito con pezzi di me. Forse i migliori, consegnati a chi è passato, anche solo per un momento.

Perché mammamimmononsolo significa, per me, maternità.

Quella maternità che è oltre la fisicità del più bello degli abbracci, la maternità legata al pensiero di un figlio prima ancora che nasca.

La maternità come contrario della solitudine che ci libera dall’isolamento dandoci la possibilità di cambiare, di salvarci, ridisegnandoci.

Una maternità fatta dell’ascolto del bambino che vuole o non vuole venire. Di quel canto lontano che rimanda al desiderio, quello che muove, quello che alimenta, quello che sa di mare.

Che crea conchiglie.

Una maternità che sa di comprensione per i difetti, di indulgenza per la debolezza, di compassione per il dolore.

Una maternità che ricorda l’odore dell’affetto, per il proprio, come per il figlio altrui, per la persona, per l’altro.

Oggi mio fio figlio mi ha annusato, spiegandomi quanto gli piacesse il mio odore, che profumava di morbido.

Ecco, volevo chiudere mammamimmononsolo, ma certi odori hanno un sapore e posseggono la presunzione di congelare frammenti di emozioni. Mi resta in bocca un sapore amaro se penso di svuotare questo luogo-non luogo. Un sapore brutto.