giovedì 31 maggio 2012

La terra trema. Come aiutare

Il primo è più diretto aiuto di carattere economico si può inviare al numero il numero 45500 istituito per la raccolta di fondi attraverso l’invio di SMS del costo di 2 euro. Il numero è stato attivato su richiesta Dipartimento della Protezione Civile, d’intesa con la Regione Emilia Romagna.


Per chi è nelle vicinanze: le iniziative di raccolta “generi di prima necessità”

I Boys, i tifosi del Parma “hanno organizzato mercoledì sera una raccolta di generi di prima necessità (non alimentari) di auto alle popolazioni colpite dal terremoto fra Modena e Ferrara”, presso la Virtus di via Del Bono. Verranno comunicate  le date degli incontri successivi. (c’è bisogno di: pannolini, spazzolini, dentifricio, sapone, bagno schiuma, disinfettante, assorbenti ecc..)


La Pallavolo Modena ha attivato una raccolta alimenti e materiali. Per informazioni il numero è 059 4821911. Il materiale verrà raccolto al Palazzo dello Sport Viale dello Sport 25, Modena. Questo il materiale di cui c’è più bisogno: “Tovaglie, tovaglioli e bicchieri di CARTA, phon da capelli, abiti pre-maman, Servono generi alimentari a lunga conservazione: barattoli di pomodoro, acqua, biscotti, fagioli, pasta e latte. Anche alimenti senza glutine. Acqua in bottiglia, Generi per l’igiene intima: spazzolini, bagnoschiuma, saponi e dentifricio, Eventualmente pannolini , salviette per la pulizia e indumenti intimi monouso, Coperte, lenzuola monoletto, asciugamani scope e palette, sacchi della spazzatura, salviette, pannolini, omogeneizzati, matite colorate e fogli, Vestiti (anche usati ma puliti), Giocattoli”
 

Su Facebook :un gruppo di amici di Bologna si sta organizzando per raccogliere e portare aiuti alle popolazioni colpite dal sisma, si legge: “Servono pannolini, omogeneizzati, giochi per bambini, cibo in scatola non deperibile, pasta, prodotti per l’igiene intima, piatti fazzoletti e bicchieri di carta, carta igienica, acqua, coperte. L’appuntamento per la raccolta è venerdì mattina tra le 9 e le 10 in Cà Rossa (Viale Felsina 50).


Per chi invece non si trova nelle vicinanze ecco le raccolte fondi attive

 Croce Rossa Italiana
Donazioni mediante bonifico su conto corrente Bancario
Codice IBAN: IT19 P010 0503 3820 0000 0200 208
Intestato a: “Croce Rossa Italiana, Via Toscana 12 – 00187 Roma”
presso Banca Nazionale del Lavoro – Filiale di Roma Bissolati
Tesoreria – Via San Nicola da Tolentino 67 – Roma
Indicare la causale “Sisma Emilia Romagna”
(Per donazioni dall’estero codice BIC/SWIFT: BNL II TRR)

Donazioni mediante conto corrente postale n. 300004
intestato a: “Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 – 00187 Roma”
Indicare la causale “Sisma Emilia Romagna ”

Donazioni On-line
Sul sito
www.cri.it, nella sezione DONA on-line, selezionare la causale “Sisma Emilia Romagna”


Confindustria, CGIL, CISL, UIL
Confindustria, CGIL, CISL, UIL hanno istituito un fondo comune “per aiutare le popolazioni, i lavoratori e il sistema produttivo dei territori dell’Emilia-Romagna, in particolare le province di Ferrara, Modena e Bologna, e della provincia di Mantova, colpite dagli eventi sismici di questi giorni”
Gli estremi per effettuare una donazione sono questi
conto corrente bancario n. 12900
presso Carisbo Spa sede di Bologna (Gruppo Intesa Sanpaolo)
IBAN IT11N0638502401100000012900
intestato a CONFINDUSTRIA, CGIL, CISL, UIL FONDO INTERVENTO A FAVORE DELLE POPOLAZIONI, DEI LAVORATORI E DEI SISTEMI PRODUTTIVI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA E DELLA PROVINCIA DI MANTOVA

Movimento 5 Stelle
Anche il Movimento 5 Stelle ha attivato un conto corrente per raccogliere fondi “a sostegno della popolazione afflitta dal terremoto”. “Garantiremo – scrivono nel comunicato – la massima trasparenza e forniremo ogni informazione utile per determinare gli interventi da sostenere” […] “Chiederemo ai cittadini come ritengano sia meglio investirli, per le esigenze della popolazione, garantendo che saremo molto attenti che non vengano sprecati”

Gli estremi
IBAN: IT 76 N 02008 02460 000102085251
Beneficiario:”Movimento 5 Stelle-Beppegrillo.it Emilia-Romagna”
Causale”Aiuto alle popolazioni colpite dal terremoto in Emilia-Romagna” come causale.
Per donazioni dall’estero, BIC: UNCRITM1NT6

Associazione Compagnia delle Opere
L’ IBAN del conto corrente è: IT 55 J 05584 01602 000000005680
Causale “Terremoto Emilia”.


Mediafriends, Tg5 e il Carlino
E’ possibile donare tramite bonifico bancario al seguente indirizzo:
Intestatario: Mediafriends
Banca : Banca Intesa SanPaolo
IBAN : IT 41 D 03069 09400 615215320387
BIC (dall’ estero) BCITITMM
Causale: terremoto Emilia Romagna

Infine ulteriori riferimenti si possono trovare sulla lista realizzata da Adriano Arati per “Rumore Web Radio” la radio universitaria di Modena e Reggio Emilia.

Muoviamoci, anche le gocce aiutano a fare il mare.


mercoledì 30 maggio 2012

La famiglia"normale"


“La famiglia “normale” – composta da un uomo e una donna uniti in matrimonio, con due o più figli – è più felice». E’ quello che dice il cardinale Ennio Antonelli, alla conferenza stampa che ha preceduto questa mattina nei padiglioni di Milanocity l’inaugurazione della Fiera internazionale della Famiglia, alla vigilia dell’inizio del congresso teologico-pastorale, “questo tipo di famiglia”- continua”- è più vantaggiosa per la società, perché, anche se mediamente più povera, è più ricca di relazioni. Produce capitale umano per il lavoro, crea e vive la festa ed è mediamente più religiosa”. Cercherò di non polemizzare con le parole del cardinale, ma essendo questo il mio blog e visto che sono in un certo senso, a casa mia, non posso trattenermi dal fare alcune considerazioni.

Prima di tutto, vorrei sapere in base a quali criteri, una persona, indipendentemente dal suo status (in questo caso alto prelato), differenzia una famiglia “normale” da una “anormale”.
Che la seconda abbia la coda e le orecchie e la prima, no?

Mi chiedo ancora, poi, su quali basi, un uomo e una donna, uniti in matrimonio (ritengo quindi che siano escluse le coppie di fatto, delle coppie composte di persone dello stesso sesso, neanche a parlarne) con due o più figli, si possa asserire che siano più felici di quelli con zero o con un solo figlio. Che sia il numero dei figli a rendere una coppia più o meno felice? Del tipo che, se hai un figlio solo sei felice cinque, in una scala da uno a dieci, se ne hai due, sei felice sette, se ne hai tre, nove, e così via?

Ma andiamo avanti; la famiglia in questione è più ricca, in termini relazionali, perché produce.

 Ah, bene, è come se fosse, quindi, un moltiplicatore di energie, una sorta di motore progettuale all’interno della società. A questo punto mi sorge spontanea una domanda?

Ma che stai a di? E soprattutto, come fa uno che la famiglia non ce l’ha a dire quale  sia più felice, rispetto a un'altra?

Personalmente, conosco coppie che vivono benissimo senza figli, che hanno scelto di non averne e sono felici della loro scelta, sentendosi famiglia a tutti gli effetti. Conosco uomini e donne che hanno due bambini ma che non si sopportano più e vivono infelicemente, aspettando che accada qualcosa che li renda almeno, sereni.

Non c’è lo straccio di una prova al mondo che accerti che le coppie senza figli siano meno felici o meno stabili di quelle con figli. Credo invece che, per chi sceglie di non avere bambini il fatto di non averli, appunto, sia irrilevante rispetto alla possibilità di avere una vita soddisfacente, mentre le coppie che, non possono avere figli, non hanno fatto questa scelta, non hanno deciso loro per la loro vita e quindi devono rinunciare a ciò che volevano in cambio di ciò che invece hanno. E’ difficile, è faticoso, occorre reinventarsi, occorre cambiare rotta, perché è cambiata la direzione degli eventi. Ma chi può dire cosa sia la felicità?

La somma di certi giorni? Lo stratificarsi di certe emozioni.? La gioia che esplode di fronte a ciò che ci rende vulnerabili? O solo la serenità del susseguirsi di giorni “si”? Io proprio non lo so.

So solo che, come ho già detto in un altro post, conosco la difficoltà ad avere figli e i sentimenti che ruotano intorno a questa. So, inoltre, che se la Chiesa e chi sostiene certe sue idee, smettesse di ritenere illecite le tecniche scientifiche che permettono di concepire al posto di un atto coniugale, di intromettersi in cose che non la riguardano, di giudicare riprovevole e immorale l’amore smisurato che due poveri cristi mettono in un percorso di pma (che non è peccato, ne  un’offesa a Dio, ma anzi, il bisogno di dare valore alla vita), o quello di chi si ama nonostante appartenga allo stesso sesso, o quello di chi aiuta un altro essere umano ad andarsene all'altro mondo con dignità quando non cè nè più,  forse e dico forse, saremmo tutti un pochino più felici. Quelli normali e quelli meno.
L’amore, quello vero, quello che rende felici, quello rivolto verso una persona, fosse anche dello stesso sesso, verso un animale, un oggetto, un concetto, un ideale, un padre, una madre, un fratello, uno, due o tre figli, resta tale, sempre, anche se qualcuno lo considera non conforme al volere di Dio.
Ecco l’ho detto, non me ne vogliate.

martedì 29 maggio 2012

Una brutta storia


Brutta storia quella di Rignano.

Brutta come possono esserlo solo certe brutte storie. Da qualunque parti tu la giri, resta sempre brutta.

La storia comincia in una brutta estate di sei anni fa quando sotto al sole del 2006, in una scuola materna la “Olga Rovere”, in un paese poco distante dalla capitale, accade qualcosa di brutto: alcuni genitori si rivolgono ai carabinieri di Rignano Flaminio, per raccontare una brutta storia. I loro figli avrebbero subito abusi, dentro e fuori l'asilo. A quelle denunce ne seguiranno altre e poi altre ancora, tracciando la trama ambigua di una vicenda giudiziaria che ha travolto tutti come una valanga. Quando si parla di bimbi e di violenza su di loro nessuno resta indenne. Ieri la sentenza definitiva.  I cinque imputati sono stati assolti definitivamente.

Che quella gente sia innocente o colpevole non sta a me dirlo (anche se ho una personale idea a riguardo) né se si sia trattato di autosuggestione, psicosi collettiva o caccia alle streghe. Sta di fatto che, a delle persone (bambini e adulti) che vivono e lavorano in un posto (la scuola) sono successe delle cose che non dovevano succedere. Qualcosa in quel posto si è rotto frantumando in pezzettini la vita delle persone coinvolte e del posto stesso. Allora bisogna porsi delle domande, capire perché si è arrivati al punto di rottura. E per farlo bisogna usare rispetto e tenacia, sensibilità ed estrema cautela, perché è di bambini che stiamo parlando e di uno dei crimini più orrendi che si possa commettere nei loro confronti che solo a pronunciare il suo nome anche le labbra mi si serrano.

I bambini non si toccano e le scuole sono zone franche. Dio, come vorremmo che fosse così.

Odio l’incoerenza della vita, è fatta per prenderti per i  fondelli.

A volte vorremmo entrare dentro le cose, nei meccanismi e negli ingranaggi del susseguirsi degli eventi, srotolarli come un tappeto, metterci sopra carponi e pulire le macchie e le patacche della sporcizia di certe azioni, quelle che lasciano gli aloni, quelle che non vanno via neanche con la candeggina. Sono le macchie delle cose brutte. Alcune le vedi, altre sono così nascoste che puoi ricorrere solo al Luminol (se sei della Polizia Scientifica o del cast di C.S.I.) e una volta scovate, vorresti non doverle raccontare, dargli di gomito fino  a consumarle, sperando di cancellarle.

Nonostante lo smacchiatore e l’innocenza degli imputati, resta che gli assolti di Rignano non avranno più una vita socialmente accettabile, mentre il danno di un trauma subito, qualunque sia la sua entità ( il cielo voglia che sia lieve), accompagnerà quei bimbi per il resto della vita.

Questa è un brutta storia, di quelle che come la giri, la giri male, sia se la guardi con gli occhi degli imputati, sia che la guardi con quella dei genitori o peggio con lo sguardo infinito dei bambini. Resta brutta in ogni suo lato.

Le storie brutte le sentiamo ogni giorno, ce la raccontano in tutte le salse, condite di orridi dettagli e macabre chicche. Ci hanno fatto su pure la fortuna di certi tour operator, grazie al turismo dell’orrore. Siamo diventati impermeabili al male, così abituati alle colpe da dimenticarci le vittime. Poi arriva il giorno in cui visiti l’asilo nido dove dovrai mandare tuo figlio dopo l’estate, lo vedi varcare le porte di quella che dovrà diventare la sua seconda casa, fiducioso sulle sue acerbe gambette. Lo vedi girare nella stanza priva di pericoli, tra i cuscini che dovranno attutire le sue cadute, i giochi, i libri, le fiabe. Insieme, arriva anche la notizia che conclude una brutta storia e ti da coscienza di quello che è la vita a volte è. A quel punto la strage, la bomba, la morte e l’abuso, diventano cose importantissime su cui devi riflettere, che devi raccontare e capire.

Nel frattempo voglio che la bellezza dei ricordi infantili di mio figlio diventino per lui l’antidodo alle scoperte amare che farà e voglio che il suo cuore mantenga sempre una parte di magia, almeno fino a che non sarà così forte per reagire di fronte alle storie sbagliate.


lunedì 28 maggio 2012

C'è che...

C’è che oggi piove di nuovo, c’è che fuori è tutto grigio, c’è che la luce lattiginosa del lunedì non riesce a illuminare questa giornata spenta. C’è che dopo aver passato quattro giorni con mio figlio, lasciarlo dalla nonna mentre mi butta le braccia al collo, teatralmente, per trattenermi, mina le mie certezze di mamma, rendendomi pateticamente chioccia.

C’è che nonostante il numero delle persone che hanno visitato questo blog, non trovo neanche uno straccio di commento lasciato ed è come se tu chiamassi degli amici al telefono e la segreteria telefonica rispondesse al loro posto e una volta rientrati, non ti richiamassero.

C’è che non ho messo i calzini e ho freddo ai piedi, che bisogna accendere la luce elettrica nonostante sia fine Maggio, che avrei voglia di qualcosa ma non so di che cosa.

Solo ieri me ne stavo spiaccicata come una lucertola sotto uno dei pochi raggi di sole di questa stagione bislacca, appollaiata, pensando che dovevo dimagrire almeno, e dico almeno, cinque chili prima di potermi infilare qualcosa che somigli vagamente ad un  costume, immaginando un futuro emozionante da blogger e uno sfavillante da scrittrice, non necessariamente in quest’ordine.

Oggi i chili da perdere sono diventati cinque dal lato desto e cinque da quello sinistro e considerando la mia attuale forma fisica, forse risulterebbe più gradevole indossare un burqa al posto del  bikini. Ce ne sono di  bellissimi.

Relativamente al mio futuro da rinomata blogger e scrittrice di successo, c’è che sono solo sogni.

C’è che se  io avessi scoperto in rete il blog di una tizia che raccontava il suo pezzo di strada lungo il cammino della fecondazione assistita quando, viaggiavo verso Daniele, l’avrei cercata, le avrei fatto mille domande, l’avrei assalita chiedendole:” siediti, raccontami, dimmi. I sentimenti di cui parli sono gli stessi che provo io, dentro la tua storia c’è anche la mia, diventa mia sorella per un po’, almeno fino a quando non uscirò da questo incubo, con o senza il bambino che sogno.
Parlami di com’è diventare mamma dopo i buchi sulla pancia, dopo l’acido folico, i rapporti mirati, il sesso a fasce orarie. Dimmi dei pro e dei contro, degli insuccessi, della vita, degli eventi, delle persone che ruotano intorno a questo percorso. Dammi un po’ di forza e spara due cazzate, così tanto per alleggerire il peso che porto. Racconta del tuo viaggio, verso e dentro la vita. Narrami  il mestiere di una cicogna tecnologica e quello di due aspiranti genitori. Parlami di fecondazione medicalmente assistita, ma raccontamela con la leggerezza tipica dell’ironia che serve a mandar giù diversi  rospi (anche quelli che difficilmente si trasformeranno in azzurri principi)  tra cui quello dell’infertilità.
E’ così che la mia storia, la tua e quella di ogni donna più vicina agli anta che agli enta, in viaggio verso il proprio bambino o verso l’idea che ha della vita, con  o senza di lui, diventa più sopportabile.

Lanciami dunque quest’ancora e parliamo. Almeno per un po’”.


Io avrei fatto così. Ma c’è, evidentemente, che io non sono gli altri.  


venerdì 25 maggio 2012

Che gola rossa


Una brutta laringofaringite ci ha attaccato senza preavviso. Considerando che la sciarpa e il cappello non sono adatti alla stagione, le caramelle antinfiammatorie e balsamiche non sappiamo come masticarle (ah tredici mesi), decotti e sciroppi ci piacciono spiaccicati sui vestiti meno nella bocca, il decorso della nostra infiammazione ci ha messo a dura prova. A essere sincera la prova è stata più dura per me che per il nanetto. Passi la voce rauca e afona, modello mostro esci dal corpo del mio bambino, la tosse abbaiante, con frequenza principalmente notturna, sorvoliamo anche sulla febbre, ma tre giorni di casa forzata con un bambino convalescente di tredici mesi, minerebbero anche l’equilibrio del Dalai Lama e forse, pure la pazienza di Giobbe. Tredici mesi sono troppo pochi per vedere cartoni, troppo pochi per reggere la lettura di fiabe e favole oltre i sette minuti, decisamente troppi per schiacciare sonnellini che durino più di un’ora. Bene. Quindi cosa fare nelle restanti undici ore della giornata?Noi abbiamo impiegato il nostro tempo così: tentato il suicidio dalle trenta alle quaranta volte al dì, utilizzando diversi metodi. Infilato dita nelle prese, lanciati dalla seggiolina azzurra ikea, pianto a perdifiato per diversi capricci, ballato il ballettopolo di topolino e sudato così tanto da far aumentare  la febbre appena passata, mangiato niente per tre giorni, (tranne aver diviso con il cane due biscotti e una galletta), scoperto come si apre il rubinetto del bidet e infilato braccia sotto il getto dell’acqua, aumento di temperatura, spostato tutti gli oggetti contenuti nella credenza della cucina, più e più volte dalla credenza al centro della stanza e viceversa, attaccato il secchio dell’immondizia dei rifiuti organici.
La faringite è passata, ma ho un discreto esaurimento………………..  

martedì 22 maggio 2012

Per tirarsi un pò su


Ho trovato in rete questo fantastico sito:www.befunky.com

Trasforma le foto con diversi effetti; vintage, pop art, fumetti, in modo facile e veloce. Io lo trovo  divertente da morire.....





 
Ah, ricordatevi di salvare la foto trasformata, altrimenti va persa.
Buon divertimento

lunedì 21 maggio 2012

Di un brutto film


Che orribile week end.

Ci sono giorni brutti come la fine di certi film, quelli che ti lasciano l’amaro in bocca, quelli che vorresti che avessero un finale diverso, che ti lasciassero intravedere anche solo una piccola tremula luce. E invece no. Invece terminano di botto, senza una conclusione serena, senza dare un senso a quello che si è appena visto, senza speranza. Sono quei finali a sorpresa che rovinano tutta la grandezza della pellicola, quei colpi di scena che ti arrivano dritti dritti in pancia, bucandoti lo stomaco. E ti spiazzano, ti annientano, ti tolgono qualcosa.

Vorremmo riavvolgere la bobina, vorremmo interrompere il video e urlare al regista:
”Ma che fai? Sei scemo? Come puoi imbrogliarci così?. Ripensa la trama, concludi in maniera diversa, fa che quell’orribile ordigno non esploda, sposta quelle ragazze sull’altro marciapiede, non farle passare di lì,  ferma questa  terra che trema.”
E brutto questo finale, è orribile.

Ci si sente derubati, impotenti, paralizzati. E allora si augura una brutta influenza al responsabile artistico, di quelle che lo  lasciano a letto tramortito per una ventina di giorni, un flop d’incassi al botteghino e un pò di cassa integrazione, ma non puoi fare altro. Se non pregare perché tuo figlio non veda mai certi film o perché qualcuno vegli su certi epiloghi.
 
Ci sono giorni brutti, brutti per l’umanità tutta, brutti per la bellezza, brutti. Che ci rendono indegno, l’appartenere al genere umano.
 
Ho chiesto a mio marito, dove dovessi mettermi per salvare la pelle, in caso di terremoto: “Sotto al muro portante, precisamente sotto l’archetto che dal soggiorno porta alle nostre camere” mi ha risposto.
Uhmmm…..o.k., nel caso in cui  una scossa forte faccia tremare la mia casa, prendo mio figlio, il mio cane e mi schiaffo sotto al muro, sperando che i miei facciano altrettanto, sotto al loro.

Mi fermo. Penso. Penso ai muri venuti giù e a quelli rimasti dritti, ai terremoti vicini e a quelli più lontani, ai crolli, alle macerie lasciate da  tsunami, torri attaccate, centrali nucleari divelte e mi sembra che una trave si stacchi dal soffitto e mi passi da parte a parte.

Posso ripararmi in caso di terremoto, forse. Ma dove metto mio figlio se un pazzo si sveglia una mattina e siccome gli girano le palle fa saltare in aria cinque ragazze?
Non me ne frega niente sapere se abbia agito da solo o in compagnia, se sia stato mosso da idee anti legalità, islamiche o massoniche, se abbia messo in atto un finto attentato allo stato che cela motivi di natura complottista. Non voglio avere niente a che fare con la logica del male e con la chiacchiera di quelli che ci ciarlano su.

Voglio solo credere che ci sia un senso anche per un film così brutto. Ma  non ho proprio idea  di dove andarlo a cercare.


sabato 19 maggio 2012

Si può solo tacere


Avrei voluto scrivere tutt’altro ma oggi è un giorno di lutto.
Stringiamoci intorno alle famiglie di quei ragazzi e facciamo silenzio.
Ci sarà tempo per parlare. 

giovedì 17 maggio 2012

Giorni "si"

Oggi il mondo mi sembra più bello di ieri. Sarà per il sole che splende alto o perché il nano si è svegliato e sorridendomi da dietro le sbarre del suo lettino mi ha urlato “mamma”.

Sarà, ma oggi mi sembra che il senso si sia ricongiunto alle cose, che il tempo andato non sia per sempre perduto e che forse a qualcosa c’è rimedio. Chissà.

Forse il mondo è difficile esattamente come lo era ieri, anzi. Sono  io che lo guardo con occhi diversi; oppure, ci siamo solo presi una pausa e abbiamo siglato una pace temporanea e non me ne sono accorta. Sta di fatto che oggi il mondo mi sembra più bello.
Sì, decisamente più bello.

E’ in giornate come questa, che non sono proprio giornate sì, ma ci si avvicinano, che ritenendomi fortunata vorrei essere vicina a chi lo è meno di me.

Non sono un’esperta in bambini, non posso e non voglio insegnare niente a nessuno, non credo di avere cose tanto interessanti da dire, né di essere speciale, tranne per mio figlio e per mia mamma.

Purtroppo per me, però, ho qualcosa da dire sulla difficoltà ad avere figli, sulle perdite, sulle emozioni. Purtroppo per me, osservo tanto, colgo dettagli, sento le cose, spiacevoli e no. Purtroppo per me conosco le delusioni, i sentimenti, le passioni, gli stati d’animo e sento gli ordini dei cuori altrui.

E’ per questo motivo che, prepotentemente mi sono impossessata di un piccolo spazio virtuale e ho cominciato a scriverci su.

Perché se raccontando me stessa, se dentro la mia storia qualcuna/o scovasse un legame con la sua e per questo si sentisse meno sola/o, allora il mio modo di amare avrebbe un senso. Avrebbe senso parlare di infertilità, di fecondazione in vitro, di maternità in provetta. Avrebbe senso parlare di dolore, quello che si prova per un padre che non c’è, per un castello rotto, per un sogno infranto.

Avrebbe senso parlare della  felicità, dei rimpianti, dei ricordi, delle scarpe, della luna, dei pozzi.

Avrebbe senso parlare.

So di essere stata fortunata. Sfacciatamente fortunata. Sono riuscita ad avere mio figlio. Non tutte le donne in circa di un figlio ci riescono. Per questo motivo e per i motivi di tutte quelle brancolano nel buio dell’infertilità, vorrei urlare, sono qui. Non è colpa tua se cerchi tuo figlio in età avanzata, né se la tua capacità ovocitaria è scarsa. Non è colpa tua se tarda ad arrivare.

Fai quello che devi e fallo in fretta, con tenacia e determinazione e pazienza. Non sei sola. 

 Guardo mio figlio deambulare come Charlie Chaplin e cerco di ricacciare indietro la commozione insieme all’ immenso senso di gratitudine. Il mio cuore va in frantumi pensando alle migliaia di donne che puntano sulle loro poche chance e sento il loro dolore perché è stato il mio.

Come sento il dolore di chi ha perso qualcuno o qualcosa, un parente, un amico, una rotta.
 
Ma oggi è una giornata sì. E allora bisogna raccogliere i cocci e riprovare.

Occorre rimboccarsi le maniche e andare avanti con forza e determinazione, sia che i figli tardano ad arrivare sia che  siano già arrivati e facciano un casino infernale cercando di smontare la casa pezzo per pezzo, mentre si tingono i capelli di blu cobalto.

Occorre ricordarsi che possiamo fare grandi cose se qualcuno ci incoraggia, che i denti che mancano possono essere sostituiti dalle dentiere, che i buchi possono essere riempiti, che delle delusioni restano cicatrici quasi invisibili, che è più facile ridere delle proprie magagne che piangerci su.

Che………….che  esiste il cioccolato, non  basta  ma aiuta.


mercoledì 16 maggio 2012

Giorni "no"


Certi giorni sono “no” e lo sono senza possibilità di appello; difficilmente si trasformeranno in giornate piacevoli. Di solito terminano ”no” esattamente come sono iniziati. 
E’difficile spiegare il perché di questi giorni. 
Credo che servano a compensare quelli sì. 
La felicità è fatta della somma di certi giorni sì, il resto sono giorni così e così. Se tendi alla malinconia, come me, restano molti giorni no. Sono no, perché il tempo passa, perché una strana sensazione ti attanaglia la bocca dello stomaco, perché vedi qualcuno che non ha i soldi per comprarsi una dentiera e ha dei vuoti nella bocca come quelli che senti dentro. Perchè non vedi margini di miglioramento, perchè il grigio affievolisce anche i sogni. Perché la tua amica su facebook posta foto di cani sperduti cui l’uomo fa volontariamente del male. Perché la gente non ha una lira. 
Perché………….
Nei giorni “no” sembra che non basti niente.
Ma oggi c’è lui. E da qualche parte devo accendere l’interruttore di questa luce fioca.

lunedì 14 maggio 2012

I calamari ripieni di loro stessi


Ieri sera ho visto un film carino; c’era una tizia, aspirante scrittrice, annoiata e in cerca di editore che, a un certo punto apre blog per circa un anno, cucina 365 piatti e circa 560 ricette e puah, diventava ricca e famosa, grazie al passaparola dei suoi lettori, a dei piatti strepitosi e a un discreto culo. Questa la trama, più o meno. Sarà stato per il film, o perché avevo già in mente di farlo, ma oggi vi parlerò dei calamari ripieni di loro stessi. In verità la ricetta non ha niente a che fare con i calamari, trattandosi d’involtini di pesce spada.  La storia dei calamari trasformati in involtini, comincia così. La mia amica che viaggia molto, è convinta di aver mangiato a casa nostra i famosi calamari ripieni di se stessi. Ora, può anche darsi che sia come dice lei, ma io non lo ricordo affatto. Comunque, siccome tutte le ricette che vi propinerò sono farina del sacco di mio marito che, guarda caso cucina benissimo (sì, guarda anche il bambino, cambia i pannolini, fa la spesa, stira, pulisce e monta mobile Ikea, ma purtroppo era l’ultimo rimasto al negozio dei mariti e lo sconto nasconde anche qualche piccola imperfezione) e che neanche lui ricorda di aver mai cucinato sti calamari, noi supponiamo che la mia amica li abbia mangiati a casa d’altri, ma non volendola contraddire abbiamo raggiunto una specie di compromesso offrendole al loro posto, degli involtini alla messinese che, pare abbiano temporaneamente distratto la mia amica, anche se credo che difficilmente abbandonerà l’idea dei calamari. Conto molto sulla sua nuova filosofia cruelty free.
La ricetta.............
Allora, recatevi nella vostra pescheria di fiducia, se gode la fiducia di altri va bene lo stesso e fatevi dare delle fette di pesce spada. Potreste anche farvi dare un pezzo di  spada e poi farci voi stessi delle fettine sbattendo lo sventurato pesce con il battiarne, ma vedo più complicata la faccenda. Quindi, se la pescheria è di vostra fiducia, che sia all’altezza del termine e tagli ste’  fettine, altrimenti, cambiate pescheria. Riguardo alle dosi, gli involtini che verranno fuori sono buonissimi e anziché rimanere con la voglia, comprate più pesce di quanto il vostro buon senso non suggerisca pensando che mangerete pesce che proverbialmente non ingrassa ma aimè costa un botto.
Una volta ottenuti i vostri filetti di spada, metteteci sale, pepe e limone. In un recipiente a parte, mettete in parti uguali pan grattato, pecorino, capperi, prezzemolo, ancora limone, acqua e impastoiate il tutto. Poi riempite con l’impasto i vostri filetti e avvolgete facendo degli involtini. Chiudeteli con degli stecchini e ripassate gli involtini nel composto con cui li avete farciti. Mettete in forno per circa venti minuti, fino a quando non saranno dorati.  Ed ecco pronti i vostri calamari ripieni di se stessi.
Abbinateci del vermentino di Sardegna.
Piacciono a tutti anche a chi non ama il pesce, ma in tal caso, perché non continuate a mangiare carne al loro posto se tanto non vi piace il pesce? Risparmiereste un gran da fare.

domenica 13 maggio 2012

Mother’s day


C’è l’essere madre, non esserlo, l’essere la madre di mio figlio. C’è il prima e il dopo lui, c’è un anno di vita insieme a qualcuno che è il tuo prolungamento eppure è altro da te. Diventare madre ti si attacca addosso come l’ombra e come un’ ombra ti segue incessantemente, ovunque, per sempre.
Sei madre dell’idea che hai di tuo figlio prima ancora che egli nasca, lo sei del bambino nato come di quello perso, di quello andato e di quello ritrovato, di Caino quanto di Abele. Lo sei, non puoi farci niente. Se mio figlio sentisse per me anche solo la metà di quello che io provo per la mia, sarei la madre più appagata di questo emisfero.
Scusatemi, ma c’è un nano di circa settantacinquecentimetri che tira i lembi del mio pigiama perché io faccia apparire sullo schermo il gatto puzzolone…….
Auguri a tutte le mamme a chi lo è già e a chi lo sarà.

venerdì 11 maggio 2012

Differenze


“Perché occorrono migliaia di spermatozoi per fecondare un ovulo? Perché gli spermatozoi sono maschi e si rifiutano di chiedere la strada”

 Ah, ah, ah, troppo carina!
 
P.s. A noi urta anche il tono della voce della signorina che vive nel Tom, tom. Ma che modo è quello di dare ordini così perentori, dico io!

giovedì 10 maggio 2012

La valigia dei sogni

E adesso parliamo po’ di pma, che poi è il motivo che mi ha spinto ad aprire questo blog.

Pma non è la sigla di un prodotto medio annuo o l’abbreviazione di qualche stramba  multinazionale. Pma sta per procreazione medicalmente assistita, vale a dire l’insieme delle cure chirurgiche, farmacologiche, ormonali o altro che permettono agli individui in difficoltà di procreare. Non vorrei parlare delle tecniche in se, di statistiche o del numero crescente di coppie infertili, (ci sono siti e blog molto più autorevoli del mio), ma di sentimenti. Di emozioni, sensazioni, paure, attese, sensi di colpa, insuccessi e progetti.

Vorrei parlare di una valigia, la valigia dei sogni, quella valigia che porta con se la gente che popola il mondo che ruota intorno alla scelta-non sempre libera- della fecondazione medicalmente assistita. E’ una valigia zeppa di cose.

Bisogna metterci dentro vestiti caldi che proteggano dal gelo dei fallimenti, impermeabili che lascino scorrere sopra la liquidità di certe lacrime amare, la leggerezza e la speranza, un pezzo delle vite vissute e un pezzo di quelle sognate. Un po’ di sano umorismo che serve a mandar giù quei rospi indigesti destinati, poveracci, a non diventare mai principi.

Occorre infilarci un po’ di tenacia e un po’ di pazienza, un po’ di sale, un po’ di pepe e un po’ di culo. Parecchio culo. Si, perché l’esito del percorso è incerto; è imprevedibili in termini di risultati, difficile in termini di equilibri.

La fortuna, e il suo contrario ci mettono spesso lo zampino e nonostante la prima sia cieca il secondo ci vede benissimo.

L’infertilità, sterilità o qualunque nome si voglia dare alla difficoltà a mettere al mondo figli è una malattia e lo è nell’anima prima ancora che nel fisico. E’la malattia del vuoto, il vuoto di qualcosa che non c’è. Il tipo di vuoto di cui parlo è simile al vuoto che si prova per una perdita, un abbandono, una morte. Ma è anche simile alla sensazione che si prova dopo una delusione, dopo un tradimento. E’ la sensazione di essere stati traditi, imbrogliati da quell’ordine, atavico e biologico, naturale, per il quale noi donne, siamo destinate a procreare e non riuscendoci ci vergogniamo sentendoci in colpa. Il vuoto che racconto ha a che fare con la percezione del tempo, con l’insostenibile  peso del pensiero della fine. Il tempo che passa, inarrestabile, feroce, scorre verso qualcosa che non torna indietro, verso la vecchiaia, la morte. La mancanza di un figlio ti priva della possibilità di lasciare qualcosa di te, dopo di te, al mondo.

Occorre aver intrapreso il viaggio verso un figlio che non c’è, per capire che l’infertilità è la malattia del vuoto; l’assenza ti lacera come un lutto perdendo la proiezione che hai di  te nel futuro.

Allora, quando questo vuoto ti assale, ti devi fermare e ti devi chiedere cosa sei disposto a fare per colmare il buco che senti. Puoi urlare a squarciagola, sbattere la testa contro tutti gli spigoli dei muri della tua e delle case altrui, spiccare dal calendario tutti i santi, compresi i patroni,ucciderti di moijto, toccare il fondo e poi riemergere e cominciare a preparare la valigia.

E’ difficile, è faticoso, ti devi confrontare con  cose rispetto alle quali  non avevi mai pensato di doverti confrontare. Avere figli, non averli, adottarli, ricorre alla provetta o mandare al diavolo la tata Lucia (quella di S.O.S. tata, la più anziana delle tre, per intenderci) insieme allo stuolo infinito di fastidiosi, molesti, irragiungibili pargoli che popolano il tuo immaginario. Reinventarti.

Qualunque sia la scelta che si compie, il bagaglio da preparare e da riportare è pesante.

Qualunque sia il viaggio, sarà una prova di coraggio che a confronto, l’esercito degli ospiti dell’isola dei famosi ( edizione milleseicento) preferirebbe non mangiare più per il resto della vita, pur di non doverla affrontare.

Sarà coraggioso accettare la propria condizione, come lo sarà intraprendere un percorso di procreazione medicalmente assistita, o riscegliere il proprio/a compagno oltre il progetto figlio, reimpostando il senso del vivere insieme.

La nostra valigia però, non dovrà più contenere sentimenti di colpa o di vergogna da nascondere sotto strati di segretezza.

Non si tace il coraggio.

Se voleste parlare, la mia casella di posta non è intasata di messaggi…anzi!




lunedì 7 maggio 2012

Piove, governo ladro


Metto le mani avanti: non è che io ce l’abbia con te pioggia, che presa a piccole dosi sei senza ombra di dubbio un bene per l’umanità, è sulla quantità con cui precipiti, che, dissento.
Passino le due gocce primaverili, passi le frequenza con cui cadi  e pure l’umidità che ti porti dietro (risveglia artriti e arriccia i capelli) è proprio il mucchio d’acqua che non  digerisco.
Inoltre, possibile che aspetti il fine settimana per venir giù che Diotimanda, mentre per il resto della settimana al tuo posto c’è un sole che spacca le pietre?C’è un motivo particolare, o è solo che ti stanno sullo stomaco il sabato e la domenica? Che ti hanno fatto?Vuoi parlarne?
Guarda, io capisco tutto , comprendo anche le tue esigenze e pure quelle delle stagioni, ma c'è un limite a tutto. E tu credimi l'hai passato...

sabato 5 maggio 2012

Di Mimmo, di soprannomi e di altri ignobili nomignoli


A proposito di Mimmo e del nome dato a questo blog che, più che un nome pare uno scioglilingua. Mimmo non sta per Domenico, né per Emilio, Emiliano o Emile. Sta per Mimmo, punto.
Il problema risiede nel fatto che nella mia famiglia di origine (tendenza portata anche nella nuova) si usa dare nomi a tutte le cose, animate e non, non sempre rispettando il genere cui queste appartengono. La sedia così diventa, Piera la sedia, la macchina, Bianca la macchina, o Peppetta la Jeppetta, Ernesto il bonsai e così via. Stesso dicasi per le persone. Mia zia possiede un nomignolo ridicolo che le è stato dato a tre anni e che mantiene tutt’oggi a quasi settanta.
Un giorno, la zia dallo strano soprannome informandosi per telefono sullo stato di salute di mio figlio, chiese amorevolmente come stesse Mimmino. Mimmino, chiesi io, perché Mimmino e non, il piccolino, il piccolo, il bambino, come vengono chiamati tutti gli altri neonati del mondo?
Il caso volle che quel giorno Daniele indossasse una buffa tutina a righe bianca e blu che lo faceva somigliare stranamente a un muratore in miniatura. Inoltre il processo digestivo del piccino, particolarmente rumoroso, trasformò il pargolo, nel giro di dieci secondi da muratore in erba a scaricatore di merci del porto di Marsiglia. Così Mimmino diventò Mimmo.
Senza considerare che, per strane proprietà transitive, le fidanzate o le sorelle di chi possiede soprannomi acquistano automaticamente gli stessi nomignoli del compagno/fratello. Povera la Mimma, quindi. O peggio, povera la ragazza dello smilzo che a centocinquantakhili verrà ancora chiamata, Giovanna la smilza.
Bisognerebbe stare attenti prima di attribuire nomignoli che si attaccano addosso come pulci, dico io. Parola di Nasetta.

Per fortuna ci sono sempre i nick name, sono più fighi dei soprannomi, ma hanno la stesa sostanza.
Allora nick name: Mimmo, lo smilzo.

venerdì 4 maggio 2012

Piacere, Raffaella


Benvenuti sul mio Blog “mammamimmononsolo",
questo è il mio primo post, quello di presentazione per intenderci e sono emozionata come il mio cane davanti ad un osso di ginocchio imbevuto di sugo al ragù, bava esclusa.

Grazie ad una pma, procreazione medicalmente assistita, sono diventata la mamma di mio figlio.
Sono sua madre, per sempre e nonostante tutto ma, aggiungerei, non solo.
Voglio raccontare del viaggio intrapreso verso mio figlio, delle cadute e delle riprese di un percorso duro come il granito, dei vuoti dell’anima e dei fantasmi nello stomaco, ma voglio raccontare anche altro.
Della vita, della morte e di quello che sta nel mezzo, di cibo, vino, viaggi e di quello che sta intorno.

Descrivermi mi annoia, mi ricorda certi monologhi di fronte allo specchio; ci stimiamo ( non sempre) ma non proviamo nessuna attrazione reciproca.

Vi dirò invece quello che mi piace: amo in particolar modo la colazione e gli aperitivi, ritengo che siano i pasti principali della giornata; amo incredibilmente il natale, la spuma sul cappuccino, il venerdì, le giornate di sole, poltrire sotto il piumone quando fuori piove, la borsa di Mary Poppins e i piedi di bianconiglio. Mi piace scrivere, raccontare storie, i libri e l’odore del mare. Amo Ikea, gli attacchini sul frigo, mia madre, definita da mio marito il mio secondo  fidanzato, la mia famiglia, il centro delle città, possibilmente quello storico. Amo la mia casa, il mio cane, le mie cose. Amo mio marito, un uomo il cui sguardo pesa grammi infiniti di principi e fini. Oggi amo lui, Daniele, mio figlio.

Nel caso pensaste che questo blog sia solo il diario di una donna quarantenne alle prese con problemi di fertilità, cliccate altro, ma con garbo, altrimenti sono tanto contenta che restiate.

A proposito, abbiamo rischiato che il blog si chiamasse bimbominkia............................