giovedì 28 febbraio 2013

Lettera d'amore


Abbiamo bisogno di questo.
Oggi più di ieri.
La lettera che segue è la lettera d’amore di un padre al proprio figlio. Una lettera di sentimenti. Senza odio, senza rancore, pubblicata dall’autore, (Vincenzo Novari, amministratore delegato di 3 Italia, sul profilo di un grande social network). Un messaggio di speranza. Di Fiducia. Per il proprio figlio e per il proprio Paese.

Eccola:

“Giulio, figlio mio, l’altro giorno mi hai telefonato alle 8 di sera per dirmi quanto ti angosciasse la verifica di greco della mattina dopo. Venivi da una settimana nera per te, in cerca come sei di un difficile equilibrio tra i genitori separati, gli amici e l’amore in conflitto, lo studio e lo sport ormai inconciliabili.

Forse per la prima volta, a diciott’anni, tutto ti è sembrato troppo pesante per le tue spalle. Mi hai detto che non stavi bene, che avevi provato a studiare tutto il pomeriggio, ma senza riuscirci. Avevi il mal di testa e il cuore nero.

“Papà, domani non vado - hai concluso – non voglio giocarmi mesi di studio solo perche’ la verifica arriva in un momento no. La recuperero’ la settimana prossima quando il momento buio sara’ passato e finalmente mi potrò concentrare sullo studio”.Ti ho risposto di no. Ti ho detto che quando scappi la prima volta, nella vita, prima o poi ce ne sara’ sicuramente una seconda. E poi una terza. Dopo un po’, diventa il tuo modo di vivere. Dopo, non è mai colpa tua. Dopo, c’è sempre un buon motivo per scappare, una persona con cui e’ meglio non confrontarsi, un appuntamento importante al quale non presentarsi. Ti ho detto che mancavano ancora quattro ore alla mezzanotte. Quattro ore per provare a fare del tuo meglio. Anche se non avevi fame, ti ho suggerito di prendere un pezzo di cioccolato, un po’ di pane e di metterli vicino a Senofonte. E di stringere i denti.

“Fa’ quello che puoi - ho insistito – e domattina vai alla tua verifica a testa alta. Non importera’ il voto. Se sara’ un 5, lo festeggeremo perche’ sara’ un 5 che avrai preso senza darti per vinto. Ti sara’ costato fatica e dolore, ma sara’ il piu’ bel 5 della tua vita, molto meglio di un qualsiasi 8 preso la settimana successiva. Ma se prenderai un 6 o un 7, quello sara’ il piu’ bel voto della tua vita. Te lo sarai guadagnato contro ogni pronostico e te ne ricorderai per sempre”. Questa volta mi hai ascoltato. La mattina ero in riunione quando e’ arrivato il tuo messaggio. La stanza era piena di colleghi alle prese, insieme a me, con l’ennesima emergenza aziendale di quella che sembra una storia infinita. Non ce l’ho fatta ad aspettare. L’ho aperto e l’ho letto. C’era scritto: “Ho preso 7 e mezzo. Incredibile. Grazie. Senza di te non ce l’avrei mai fatta”. Mi sono emozionato.

La mattina dopo ho letto su un giornale la lettera che un’ex collega (ci eravamo incrociati per poche settimane in Omnitel, io Direttore Marketing, lui Direttore del Personale) aveva scritto a suo figlio. Adesso questo ex-collega, dopo una carriera importante, guida un’Universita’ (finanziata coi soldi degli imprenditori italiani e quindi anche con i miei) che dovrebbe formare i giovani dirigenti dell’Italia di domani. Giulio, in questa lettera c’era scritto esattamente l’opposto di quello che ti avevo detto poche ore prima.Diceva a suo figlio di andarsene dall’Italia. Diceva che per un giovane di talento non vale piu’ la pena lavorare nel nostro paese. Che la mediocrita’, il clientelismo, la rissa istituzionalizzata come unico strumento di confronto, l’impunita’ sono ormai l’unica legge e che le regole del gioco sono ormai talmente alterate che non vale nemmeno piu’ la pena di provarci.Tu sai quanto io ami il nostro Paese. Continuo ad emozionarmi ogni volta che per lavoro o per piacere lo attraverso da nord a sud. Però continuo ad incazzarmi ogni volta che vedo il suo potenziale sprecato. Continuo a discutere, spesso ad accapigliarmi con Ministri, burocrati e Presidenti vari (quasi tutti a Roma si fanno chiamare cosi…).

Continuo a non capire perche’ la nostra struttura pubblica sia al tempo stesso così ipertrofica e così assente, perchè i meccanismi legislativi siano così ridondanti e perche’ ogni volta che si parla con i sindacati italiani sembra che l’istinto di autoconservazione dell’apparato prevalga sempre sull’interesse dei lavoratori. Continuo a non capire perche’ le nostre televisioni siano invase da pessimi esempi per voi giovani e nascondano in maniera quasi scientifica quanto di piu’ bello produce il nostro paese…

Sono tante le cose che mi mandano in bestia, almeno tante quante quelle che fanno arrabbiare il mio ex-collega, ma nonostante tutto continuo a lottare ogni giorno, proprio perche’ del mio Paese vedo i difetti, che non sono pochi e non sono piccoli.Fra non molto toccherà a te, ai tuoi amici, raccogliere il testimone. Le sfide che vi attendono sono enormi, ma forse non più grandi di quelle che hanno affrontato i vostri nonni, che ereditarono un Paese distrutto dalla guerra, diviso, penalizzato da un’alfabetizzazione incompiuta e ancora alle prese con un’identità nazionale incerta.Certo, le esperienze all’estero sono importanti nel mondo globalizzato e integrato di oggi: come fai a competere con inglesi, francesi, tedeschi, ma anche cinesi, indiani e arabi, se non sai come ragionano? Loro vengono da decenni a casa nostra per carpire i segreti di un modello che ha punte di eccellenza riconosciute ovunque, meno che da noi.

A te, Giulio, ai tuoi compagni della generazione del ’90, dico che il vostro futuro è qui, nel vostro Paese. A te, Giulio, dico che se non siete orgogliosi del vostro Paese, anche quando avete legittimi motivi per criticarlo, è difficile essere orgogliosi di voi stessi. La sfida è rimanere per cambiarlo, questo Paese, dove serve, col tempo che ci vuole fosse anche un sempre. Ci sara’ tanto da fare, figlio mio, e tocca a voi.

 Noi, in effetti, ci meritiamo un bel 5.

Ti abbraccio,

Papà”.

 
Personalmente credo che il signor Vincenzo sia troppo indulgente con il nostro paese e con chi lo abita e che noi italiani non sforiamo minimamente la sufficienza.

Ma il suo amore di padre non è diverso da quello che il collega sente per il proprio figlio. Non me la sento proprio di biasimarlo perché desidera che suo figlio lasci questo paese.
 
Per tanti, troppi motivi.
Eppure, fuggire non è mai una scelta.

A mio figlio:
 
"Anche tuo padre vorrebbe che tu te ne andassi da qui.

Per viaggiare, per aprire i tuoi orizzonti, perché il tuo talento, di cui è convinto sarai pieno, possa esprimersi senza limiti. La sua è una forma di protezione e di amore nei tuoi confronti proprio come quella del professore.

Ma, come l’autore della lettera anche tuo padre non è uno che scappa, anzi, si inchioda davanti alle responsabilità e non le molla.

So che ti insegnerà a fare lo stesso con amore e pazienza.

Anche lui ti dirà, fa quello che puoi ma fallo bene per te stesso e nei confronti della cosa che stai facendo, sia essa studiare, lavorare, cucinare, fotografare o amare. Lo so che te lo dirà perché sono le stesse cose che dice a me quando, di fronte alle difficoltà, mi divincolo come un pesce prima di spiaggiare dove devo.

Ma so anche che ti insegnerà a viaggiare e ti inculcherà l’amore per le valige e gli zaini che a casa nostra sempre pronti.

Sappi che tutti, nessuno escluso, vivono momenti difficili, lutti, abbandoni, scelte difficili da affrontare. Quando queste cose accadono ci si sente perduti. E allora si vuole solo scappare, andare lontano, cercare un posto diverso dove ricominciare o finire.

Separarsi da qualcosa o da qualcuno non vuol dire essere finiti, significa cercarsi altrove, dentro o fuori che sia. L’impresa non è facile, lo so bene, ma anche quando ti sembrerà di lottare contro i mulini a vento segui il tuo don Chisciotte, anche se manchi totalmente del senso pratico del suo scudiero. La tua mamma lo ha fatto.

 Da mamma chioccia quale credo di essere, vorrei che tu non andassi mai scegliendo questo paese come il luogo più adatto per diventare l’uomo che avrai deciso di essere, possibilmente nella stessa regione, nella stessa città e, meglio sarebbe, nella stessa via presso la quale vive tua madre. So che sarai speciale anche vivendo in un piano diverso dal mio palazzo.

 Vola amore mio, fatti un giretto sopra il giardino dei tuoi vicini, se credi che il verde del loro giardino sia più rigoglioso del tuo. Scoprine le sfumature e con lui tutte le tonalità che possiede la speranza. Scopri quelle del bianco, la luce della neve, immacolata come una sposa e perfetta e chiara come deve esserlo la giustizia. Scopri il vermiglio, il rosso purpureo, il fuoco e la passione del sangue e della forza. Mantieni la distinzione tra il bianco ed il nero ma perdona il grigio.
Vola perché avrai ali grandi.

Ma poi torna dalla tua mamma. E’ qui che ti aspetta.

Ti aiuterà a disfare la valigia".

 

mercoledì 27 febbraio 2013

L'amore che non salva


Una notizia, un trafiletto in fondo a repubblica.it mi spara un colpo in pieno petto e mi fa trattenere il respiro, spezzandolo.

E’ la storia di Habtamu, bambino etiope adottato nel 2007 e morto a 13 anni, di nostalgia.

Non voglio parlare della legge sull’adozione, di adottabilità, e del bisogno di ricerca delle proprie origini, Elisabetta Dal Piaz lo fa in modo commovente. Ma di solitudine.

Del sentimento della vergogna e della solitudine miscelati insieme come un cocktail esplosivo, tipico di chi è toccato dalla buona sorte al posto di un altro. Il disagio nei confronti di chi non ce l’ha fatta e il timore di perdere la grazia.

La confusione di volere restituire qualcosa che si considera immeritato.

Ho provato spesso questi sentimenti e conosco il senso di colpa che non ti fa godere mai di quello che hai. Perché hai paura che la fortuna si riprenda indietro, sotto altra forma la serenità, perché pensi di non essere all’altezza del dono ricevuto, perché sei abituata a credere in un’equa ripartizione della gioia.

Ricordo il giorno del suicidio di Primo Levi 11.04.1987.

Avevo 17 anni e nello stesso mese dello stesso anno un mio caro amico perdeva la vita in un incidente stradale, cambiando il corso del senso alle cose intorno.

Un uomo anziano si toglieva la vita e uno giovane la perdeva, non aveva molto senso per me allora.

Una sbagliata ripartizione dell’infelicità.

Il suicidio è un atto che mi ha sempre sedotto. Un amante maledetto che strega e plasma a sua immagine e somiglianza. Soprattutto a 17 anni.

Da una parte, decidi tu quando e come uscire di scena, dall’altra, è un affronto imperdonabile nei confronti della vita che credi di poter piegare, a quell’età.
 
Le ragioni di un suicidio sono sempre insondabili, le puoi solo dedurre, nessuno tornerà indietro a dirti perché ha scelto di morire.

 
Eppure, non so come spiegarlo senza sembrare una pazza che giustifica il suicidio, comprendo di pancia, il vuoto dell’oppressione.

 
 Quello di cui parla Primo Levi nei “Sommersi e i salvati” o in “Se questo è un uomo”.

 
"Noi sopravvissuti siamo una minoranza anomala oltre che esigua: siamo quelli che, per la loro prevaricazione o abilità o fortuna, non hanno toccato il fondo”. 
 

E qui torna il senso di solitudine e di smarrimento, per l’autore per essere stato testimone dell'indicibile, per Habtam per essere salvato al posto di un altro.

E il senso di colpa o vergogna o di inadeguatezza si amplifica se sei adolescente, se non hai risposte, se non appartieni a nessun posto, se ti porti dentro il male di vivere.
 
Se pensi di sopravvivere alla morte.

  

Ma forse il suicidio resta il dramma dell'impotenza, “perché non si può fare quasi niente per chi ha deciso di andarsene. Anche quando lo si ama profondamente”.

 
L’amore non salva, sempre.
 
Tommy, Roberto Vecchioni.
 
Tommy era lì davanti
e sorrideva
ma sul quel piatto di riso
mi lasciava
per non farsi capire
parlò dei denti
e che avevo bisogno
di altri appuntamenti.
Se l'hai messo vicino
a un assassino
toglilo di lì Signore.
Tommy non aveva niente
da sognare
aveva già passato tutto
il suo avvenire
nel suo giardino degli alberi incrociati
dove i dolori non sono segnati.
Notte lunga notte breve
notte impossibile per la neve
notte nera come il mare
notte che correvo senza mai arrivare.
Ora facciamo due conti
io e te Signore
quel giorno Tommy tirò
una corda al cielo
poi non si vide più
non c'era niente
così metterla al collo
gli sembrò divertente
ma Tommy è smarrito
così piccino
che non puoi abbracciarlo... almeno.
Fa che sia una notte breve.
Fa che l'inverno gli sia lieve
quando poi sarà il momento
digli che io c'ero e non ho fatto in tempo.
Dagli un attimo di madre
contro i tuoi regolamenti
fallo, tanto chi ti vede
toglilo dai miei che ne ho già avuti tanti.

 

 

 

martedì 26 febbraio 2013

Vomito


 Ho il voltastomaco.

Una nausea latente che sale dal centro della pancia e mi pervade.

E non c’è plasil che tenga, come dice un mio caro amico.

E lo dico con le parole di Laura Cartieri.

Sono disgustata, schifata. Mi ripugna l’idea di dividere il mio paese con:

-          I furbetti che credono che un voto possa garantirgli un favore, un privilegio, un vantaggio, una scusa legalizzata per un furto;

-          Chi dimentica la storia, la nostra storia;

-          Chi fa dell’inganno, della truffa, del raggiro, quello piccolo, quello spicciolo, quello dei poveretti, per intenderci, il proprio credo;

-          Chi s’inorgoglisce del fatto che sa fregare meglio degli altri;

-          Chi crede che urlare nelle piazze sia il modo giusto di far politica. Mi spaventa a morte il gioco demagogico populistico. Sarà per via della mia formazione, di una che ha studiato Scienze Politiche, ma i regimi fascisti, o nazisti, e in generale la maggior parte delle dittature, sia di destra sia di sinistra, sono un esempio perfetto del rapporto tra un leader e le masse. E a noi italiani piace tanto stare nel gregge.

Il populismo guadagna sempre consensi nei momenti di crisi della fiducia nella classe politica, a ragione. E a me spaventa a morte.

-          Chi pensa che la famiglia normale sia quella costituita da Lei e Lui uniti dalla Chiesa, con figli concepiti solo in modo naturale.

Sti’cazzi se hanno poi divorzi alle spalle, amanti in ogni angolo della terra, figli illegittimi e vizi irripetibili.

-          Ho ribrezzo degli ipocriti, ho paura per chi deciderà per me e per mio figlio, nato da una pma.

Mentre l’Europa sta andando verso un’altra direzione, laica, civile, e ride di noi, noi arranchiamo dietro le sentenze dei paesi vicini senza renderci conto che siamo impantanati, sporchi, luridi dentro. Avviluppati dentro logiche vecchie che avrebbero bisogno di dibattiti seri, prese di coscienza, assunzioni di responsabilità civile.


Non ha perso la sinistra, e non ha vinto Grillo o Berlusconi. Abbiamo perso tutti. E questa consapevolezza mi arriva come un ceffone, uno schiaffo in pieno viso. Anzi un cazzotto nello stomaco.

Mi sento tradita, delusa, ingannata.

Io che parlo di parità dei diritti per le coppie omossessuali, della necessità di una qualche forma di riconoscimento delle unioni gay e di quelle di fatto. Che metto la faccia dentro ad un libro che parla di me di noi e mi spoglio, mi rendo ancora più fragile perché altre si rafforzino. Che parlo di adozioni, della necessità di una legge che garantisca il diritto dei bambini a una famiglia. Di politiche laiche, serie e libere da retaggi culturali e religiosi.

Forse sbaglio.

Oggi so che sbaglio.

 Tanto la madre dei cretini è sempre incinta, anche senza la mia battaglia per i suoi diritti.

 

 

 

lunedì 25 febbraio 2013

Do ut des

Ho votato.

Ma adesso io voglio che, chi ha preso il mio voto, si batta per questo:

http://www.lenuovemamme.it/lopinionedellemamme/le-coppie-omossessuali/

e per questo:

http://www.nostrofiglio.it/fecondazione-assistita/Lettera_a_un_bambino_che_e_nato.html

e per questo:



e per i vecchi che  campano con uno schifo di pensione e per la gente che un lavoro non lo trova e per il diritto di ognuno di vivere, morire, partorire come crede, purchè non leda l'altro.
E per l'altro, diverso da me, qualunque colore, forma, pelo o ali, abbia.


 

giovedì 21 febbraio 2013

Cora e il marinaio


Ieri nella provincia della mia città è successa una tragedia.

Di quelle che nessun orecchio vorrebbe sentire,  nessun cuore sopportare.

Un bambino giocando, si è impiccato.

Non trovo un senso, non trovo pace.

Qualcuno dia la forza alla sua famiglia per sopravvivere al dolore.

Io racconto solo storie per esorcizzare il mio.

Questa è la storia di Cora e del marinaio:

"Il cielo si riprese Cora che non aveva neppure cinque anni.
Una bimba strana Cora, dal Karma ancora più singolare. Secondo le leggi del Karma, l’universo mantiene sempre le regole dell’equilibrio, perciò questo concetto antico è inseparabile dalla teoria delle reincarnazione. E siccome il cielo nello strano caso di Cora aveva creato un certo disordine, come solo le morti dei bambini sanno provocare, l’ordine precostituito andava ristabilito al più presto.

Anche in cielo Cora fu la stessa bambina di sempre. Una strana bambina, dalla curiosità e dall’entusiasmo inarrestabili; era un concentrato di energia positiva, un vulcano in erba e possedeva l’argento più vivo di una fiamma ardente.

Poiché era difficile arrestare la sua vivacità, i ministri del cielo decisero di impiegare Cora in una qualche attività, fino a che non fosse arrivato il momento della sua rinascita, con la duplice funzione  di placare il suo ardore da un lato e, dall’altro, di renderla utile alla vita del cielo. Così misero Cora nel comitato di accoglienza dei nuovi piccoli arrivati. Il comitato aveva il compito di dare il benvenuto ai bambini giunti in cielo, di metterli a proprio agio, di prepararli dolcemente a distaccarsi dalle cose terrene rendendoli capaci di lasciare indietro le proprie mamme.

Cora si rivelò bravissima nel compito; era dolce come il più dolce degli angeli, gaia e serena, soave e pura come il più angelico dei putti. Sorvegliava, proteggeva ed aveva cura di tutti come fossero i suoi stessi fratelli. Ma, essendo il suo entusiasmo ed il suo ardore ai limiti del contenibile, ben presto Cora andò oltre i propri compiti e anziché indurre i bimbi a distaccarsi dalla terra, li incitò, al contrario, verso il  ritorno.

Quando le capitava di trovare un bambino inconsolabile per la sua dipartita si prodigava ad inventare storie terrene per lui, raccontando di oceani infiniti e distese di fiori, di praterie, di amori e di uomini. Raccontava la quotidianità di una terra lontana. Raccontava la vita. Ma più di tutto, raccontava del mare.

Di tutte le cose lasciate sulla terra, il mare era quella che le mancava di più. Era nata sulla spiaggia di un’ isola circondata dal mare indiano, tra i coralli e gli anemoni di una barriera corallina ancora intatta. Dormiva ninnata dallo sciabordio delle onde, risvegliandosi al mattino, quando il sole colorava di rosso un nuovo giorno.

Che bella che era l’alba laggiù sulla terra, quando la notte partoriva la luce ed il mare si increspava dinanzi, come a battere le mani augurando il bene di un nuovo giorno. Che bella che era la sabbia, impalpabile e infinitamente piccola come i sogni di una bambina di cinque anni.

Su quella spiaggia Cora lasciò il suo amico mare, richiamata, forse per errore, al suo punto d’origine.

Ben presto, però, i racconti di Cora fecero breccia nei cuori degli altri bambini che, mossi dalla descrizione dei posti narrati, chiesero di essere rimandati indietro a finire quello che avevano lasciato in sospeso, una vita da vivere.

I ministri del cielo, preoccupati per una possibile sommossa, decisero che, non potendo stravolgere le leggi dell’universo anticipando per tutti i richiedenti una reincarnazione, avrebbero fatto un’unica eccezione in favore di Cora. In tal modo avrebbero posto fine alle bizzarrie della ragazzina che, suscitando i desideri esiliati di una terra abbandonata, comprometteva la quiete celeste.

Fu però più facile a dirsi che a farsi, poiché, al momento della decisione, nessun corpo dello stesso genere di Cora si presentava adatto ad essere abitato dall’animo di una bambina di cinque anni. Fu così che i ministri dovettero optare per un compromesso: l’anima di Cora sarebbe vissuta nel corpo di un buffo marinaio attualmente in fin di vita a causa di un colpo subito al capo. Il marinaio aveva posto un piede in fallo sopra il pavimento appena lucidato, scivolando a prua. In realtà il marinaio non era esattamente un esperto e valoroso uomo di mare quanto piuttosto, un semplice mozzo senza alcun grado addetto a svolgere i servizi più semplici di una nave cargo.

Il marinaio, che prima dell’ingresso dell’anima di Cora nel suo corpo, non brillava ne per intelligenza ne per  personalità, proprio a causa di questa sua tipicità, era stato preso a servizio sulla nave, grazie alla bontà d’animo del capitano, sempre bendisposto verso il prossimo, in special modo verso un prossimo svantaggiato. E il marinaio sfortunato lo era stato davvero, sin dalla nascita. La sua età anagrafica non aveva mai coinciso con quella mentale, essendo quest’ultima in perenne ritardo rispetto alla prima. Lo scorrere del tempo, a differenza degli altri essere umani, non lo aveva maturato: era rimasto un frutto acerbo. Anche  il suo corpo lo aveva tradito, diventando più grosso del normale; grande e grosso fuori, come un gigante buono, immaturo ed infantile dentro, come un ragazzo adolescente.

Per questa sua caratteristica il marinaio era stato deriso, beffeggiato, preso in giro. Eppure, tutte le calunnie subite non erano riuscite a scalfire il suo cuore puro.

Quando Cora entrò nel marinaio si trovò subito a suo agio. Era meraviglioso essere di nuovo in vita e ancora più meraviglioso essere di nuovo così vicina al suo amico mare.

Cora lavorava tutto il giorno senza sentire la fatica, non provava stanchezza, nessun tipo di solitudine; provava solo un infinito senso di pace e di calore prodotto dall’abbraccio delle acque.

Poteva di nuovo godere dell’alba.

Il suo amore per il mare era struggente: l’amore tipico di chi, nonostante tutto, non guarda al suo lato brutto, al lato brutto delle cose in genere, ma continua a navigare sui propri e sugli errori altrui, felice di farlo.

Ben presto, il proverbiale entusiasmo di Cora contagiò l’equipaggio, conquistando gli altri marinai e rendendo più lieve il loro viaggio. Elargiva racconti farciti di sorrisi con una tale naturalezza e semplicità da pensare che li tirasse fuori bell’e pronti da un cilindro magico. Gli altri notarono solo un piccolo cambiamento nel marinaio ma lo attribuirono alla botta in testa, ringraziando il cielo per averglielo restituito più buono e dolce di prima.

Ma un giorno, forse per un litigio tra il cielo ed il mare, quest’ultimo decise di reagire tirando fuori tutta la sua rabbia.

La burrasca oscurò il cielo e fu paurosa e violenta come la rabbia.

La nave si trovò al centro della collera del mare.

Il vento  sembrò voler strappare le anime dai corpi. I marinai, fradici fino alle ossa, sembravano appesi ad un filo sottile, in balia di una morte certa.

In mezzo agli spruzzi e alle onde che sovrastavano l’imbarcazione fu Cora la prima ad avvistare, in lontananza, una piccolissima imbarcazione carica di gente di un altro colore.

Capì istintivamente che il mare immortale la stava ponendo di fronte ad una scelta, concedendole di nuovo un complicato dilemma esistenziale.

Non c’era tempo per pensare, occorreva agire e subito. Solo lei poteva rischiare, solo lei poteva salvarli. E lo fece, coraggiosamente, lottando contro spruzzi e onde. Salvarli tutti, tranne uno. Un bambino scivolò dalle braccia della madre inghiottito nella gola marina. In quel preciso istante Cora pregò Dio:” Prendi me, prendi me al suo posto.”

L’intensità della preghiera giunse forte ed udibile ai ministri del cielo che, di nuovo, dovettero confrontarsi con l’energia di quella ragazzina. Il problema era questo: se avessero accontentato Cora per la seconda volta, il ciclo della sua reincarnazione si sarebbe interrotto, rimanendo, a quel punto, per sempre un angelo, altrimenti sarebbe stato l’altro bambino a subire la stessa sorte.

Non volendosi assumere questa responsabilità, chiesero a Cora cosa realmente volesse fare. E Cora scelse.

La burrasca è passata, tutte le navi hanno raggiunto la riva. L’equipaggio ha perso un solo uomo. Un uomo di valore, un grande marinaio.

Che bella che è l’alba sulla terra, quando la notte partorisce la luce ed il mare si increspa dinanzi, come a battere le mani augurando il bene di un nuovo giorno.

Che bella che è la sabbia, impalpabile e infinitamente piccola come i sogni del  bambino che una madre grata stringe tra le braccia.

E la piuma di un’ ala di un angelo cade.

martedì 19 febbraio 2013

La costruzione della coerenza



Non sono renziana.

Non ho votato Renzi alle primarie e non sono pentita.
Lo trovo lontano dalla mia idea di sinistra, lontano dalla mia formazione e da alcune mie concezioni sociali.
Eppure, so riconoscere se una persona è in gamba.
E Renzi lo è. 
Indipendentemente dai giudizi personali, dalle opinioni politiche, dall’ideologia.

La cosa che mi piace di più di lui è la capacità di costruire coerenza.

E trovo che la coerenza sia, in un uomo, una dote fondamentale, in un politico, una qualità indispensabile.

Una volta perse le primarie poteva decidere di formare una propria lista, di allearsi con altri, e credo che in questo caso avrebbe preso molti, ma molti voti. 
Invece no. Ha deciso di restare.
Può darsi che sia la strategia vincente per la prossima vittoria e forse lo sarà ma, personalmente, penso che restare coerenti con le proprie scelte, non abbandonare la nave e non correre da soli quando si ha la palla in mano, sia sempre una scelta vincente, se ci si chiama, uomini.

Mi piace pensare che la coerenza si costruisca giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo, come un amore, come le radici di una casa, come un legame.
 Scelta dopo scelta.
Così si rinnovano gli amori, così si costruiscono gli uomini e le loro coscienze.

Non sempre i posti dove riporre le idee sono i contenitori giusti per quelle specifiche idee, come dice Barbara, e la necessità di trovare il posto giusto a ogni idea è utopistico come l’ardore e il cuore puro di un ragazzo giovane.

Ma sorprendermi per una coerenza inaspettata mi rende questo paese meno antipatico e mi fa sperare in uomini e futuri migliori.











lunedì 18 febbraio 2013

Il fatto nel cassetto. Un controllore poco controllato.




Avevo vent’anni, o giù di lì e la bellezza dell’asino, quella della giovinezza per intenderci.
Che poi questa frase non ha alcun senso. In effetti è' frutto della pessima conoscenza linguistica degli Italiani. La frase originaria, francese, era "beauté de l'age" diventata , poi, "beauté de l'anè”. 

Cosicché' anziché bellezza dell'eta' (age) cioè della gioventù, è diventata bellezza dell'asino, cioè anè. Quindi, la bellezza dell’età ha poco a che fare con gli asini. E’ solo un refuso linguistico.
Sta di fatto che i vent’anni mi conferivano la bellezza di un bel ciuchino insieme alla mancanza assoluta di malizia. Ero sprovveduta e incapace di pensar male.

Sono una di quelle che l’Università l’ha fatta da pendolare. Treno-lezione-esame-treno-casa.
All’epoca non appartenevo alla comunità degli studenti, né a quella delle mie amiche che frequentavano altri Atenei in altre sedi, ne mi appartenevo.
A me quel treno non è mai piaciuto e a dirla tutta il mio unico pensiero era di andare, fare quello che si doveva per poi tornarmene dritta, dritta a casa mia, nella provincia, nella mia casa. Tra le strade che conoscevo, tra le vie della mia infanzia, spesso anche tra i viottoli del cimitero, dove trovavo pace, a quel tempo.

Non so a voi ma a me i treni che fermano a una stazione e tu devi prendere la coincidenza per raggiungere la tua destinazione, stanno proprio sulle scatole.
Stesso dicasi per i voli.
Odio gli scali.
Gli scali sono scomodi, a priori.
Economici sì, ma antipatici come la pioggia in un giorno in cui hai fatto la piega e non hai preso l’ombrello.
A meno che tu non approfitta per fermarti un paio di giorni in una bella città e visitarla, cosa che non capita quasi mai, perché hai un volo del cavolo, ti rovinano sempre metà viaggio.
Hai sempre quelle 4/6 ore tra un volo e un altro, troppo poche per pensare di lasciare l’aeroporto, troppe per non annoiarti.
Se rinasco milionaria, viaggio solo in business class. Giuro.

Sta di fatto che, in uno di quei tragitti in cui aspettavo la coincidenza, un controllore, mi dimostrò più attenzioni del dovuto.
Ed io fui sciocca, così’ sciocca che gli permisi di mettere in atto le sue strategie.
Non potrei parlare di vera molestia, o di un’aggressione esplicita, ma di una forma di agguato mentale che avrebbe potuto degenerare in qualsiasi altra forma di violenza se il caso, il mio sesto senso o più semplicemente il passaggio di quella fottuta coincidenza, non vi avessero posto ripari.
Io, stupida, chiesi informazioni circa l’orario del treno che avrei dovuto prendere all’unica persona che mi dava fiducia, perché  vestita di divisa delle ferrovie dello stato, pensavo  non potesse essere certo malvagio.  Lui, fu molto gentile, tanto da offrirmi un caffè, che io ingenuamente accettai, invitarmi a fare due passi, che io stupidamente feci, per ingannare il tempo dell’attesa e invitarmi a pranzo, invito che io, ringraziando il cielo declinai, capendo che si stava spingendo oltre e che il suo interesse sconfinava il garbo di prendersi cura di una ragazza della metà dei suoi anni, in una città che non era la sua, mentre svolgeva un ruolo per cui lo stato lo stava pagando.
A quel tempo il possesso dei cellulari era privilegio di alcuni e nessuno della mia famiglia sapeva che avevo perso il treno.
Quindi se mi fosse successo qualcosa, lo avrebbero saputo a cose avvenute.

Ripresi il mio treno con una sorta di vergogna appiccicata addosso, la sensazione di sporcizia tipica di chi è convinto di aver alimentato una forma di menzogna.

Non ho mai raccontato l’accaduto.
Che avrei potuto raccontare?
Di aver preso il caffè con un controllore? Di aver avuto la netta sensazione che i suoi gesti avessero uno scopo ben preciso?
Non avrebbe avuto senso. Ma ho ripensato tante volte a questa cosa.
Ammesso che ci fosse ancora un controllore abbindolato dalla mia bellezza, interessato ad un caffè-lungo, oggi mi comporterei in maniera assai diversa e forse quel caffè glielo rovescerei in testa, dopo averlo preso a calci.

Le molestie hanno tante forme. E vanno dalle più subdole alle più gravi ed esistono stolker anche in divisa.
Letteralmente stalking significa "fare la posta", "inseguimento", e anche se non esiste una definizione
generalmente accettata di stalking, così come enunciato dagli studiosi delle molestie assillanti di lingua anglofona, lo stolker  è comunque colui che si "apposta", che "insegue", che "pedina e controlla" la propria vittima.
E quello così fece con me.
Così controllore,
anche se forse sarai andato in pensione, spero solo che tu non abbia fatto con altre ragazze quello che hai provato a fare con me e che, al contrario,  quelle siano state più sveglie e ti abbiano mandato a cagare con meno eleganza ma più prontezza.
Se così non fosse stato, sappi controllore, che :
In Italia le condotte tipiche dello stalking configurano il reato di "atti persecutori" (art. 612-bis c.p.), introdotto con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (decreto Maroni).
La norma introduce nel codice penale l'articolo 612-bis, rubricato "atti persecutori", che al comma 1 recita:« Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita »
A ciò si aggiungono alcune norme accessorie, ossia l'aumento di pena in caso di recidiva o se il soggetto perseguitato è un minore, il fatto che lo stalking costituisca un'aggravante in caso di omicidio e violenza sessuale e la possibilità di ricorrere alle misure di indagine previste per i reati più gravi, quali le intercettazioni telefoniche e gli incidenti probatori finalizzati ad acquisire le testimonianze di minori. Questa fattispecie di reato è normalmente procedibile a querela, ma è prevista la procedibilità d'ufficio qualora la vittima sia un minore, una persona disabile, quando il reato è connesso con altro delitto procedibile d'ufficio e quando lo stalker è già stato ammonito precedentemente dal questore.
Il nuovo istituto costituisce una sorta di affinamento della preesistente norma sulla violenza privata: delinea infatti in modo più specifico la condotta tipica del reato e richiede che tale condotta sia reiterata nel tempo e tale da «cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura» alla vittima.
A marzo 2011, al Convegno milanese dedicato alla tematica, alcuni esperti di diritto, avvocati e professori universitari hanno espresso dubbi di legittimità costituzionale su alcuni aspetti della legge sullo stalking.

E che peste ti colga.