giovedì 31 ottobre 2013

Così


Succede che ti innamori.

Succede senza alcun preavviso.

E senti il suo odore anche quando lui non c’è.

Lo senti sulla pelle come la nostalgia.

E ti innamori prima con il corpo e poi con la mente, sebbene qualcuno dica esattamente l’opposto.

Ma è carnale l’urgenza di tornare dalla costola che ti ha generato, ancestrale il bisogno di tornare là dove tutto ha avuto inizio.

“Ti ho visto da dentro, e lì voglio tornare”.

Semplice, istintivo, primordiale.

Come un bambino che torna nell’utero che lo ha accolto.

E forse lui c’era già prima di te, prima del tempo. Lui era già scritto.

Due corpi che tornano a essere uno solo.

Ti ritrovi a pensare che i giorni sono tropo stretti e il tempo, un ladro che ruba ricordi, inganna le attese.

Ti innamori dei difetti, di quella precisa ruga in mezzo alla fronte, delle mani, del braccio appoggiato al finestrino mentre guida e pensa e di quella vena. Quella vena che batte.

E senti il bisogno di costruire il destino, di renderlo strada.
 
E fai spazio al nuovo per metterci via tanti domani.

Succede che ti innamori, così senza preavviso.

E quella voglia di superare la pelle, di plasmare come creta l’amore tra le mani ti feconda l’anima.

In quel momento quando, l’amore si fa palpabile e corporeo vorresti un figlio che inventa la vita.

Così.

martedì 29 ottobre 2013

Raccolgo drammi


Chissà perché una delle mie caratteristiche principali è quella di raccogliere anime perse all’ufficio oggetti smarriti. Nel senso che attiro sfigati infelici come una carta moschicida.

Accolgo lamenti, sfoghi. Accollo gocce di pianto e mescolo la disperazione altrui alla mia.

Un mix esplosivo. Una mina vagante.
Sarà forse perché sono nata sotto il segno dell’Acquario e pare che i nati sotto questo segno siano contraddistinti da una profonda sensibilità che causa molte delusioni.

Per questo richiedo esattamente quello che do, cioè, tanto.
E’ sempre stato così.
Alle medie avevo un amico con il nasone, uno po’ spostato a dire il vero, con una famiglia stramba alle spalle e pure il naso grosso. Insomma, nessuno gli stava intorno. Ovviamente tranne me, perché aveva una famiglia stramba, appunto. Poi c’è stata la fase delle amiche, lasciate, tradite, menate.  E quella degli amici, lasciati, traditi, menati. E quella degli animali, lasciati, traditi, menati. Poi c’è stata la fase dei servizi Sociali che, quando andavo in giro con mio marito e la gente più naif mi salutava con fare affettuoso, mi chiedeva chi frequentassi fuori di casa non volendo approfondire perché mi mancassero sempre soldi in tasca o buoni pasto!
Le disgrazie mi attraversano come treni in galleria e sento un urgente bisogno di dare, di fare, di alleviare.
Una bellissima persona mi ha detto che “soffre di empatia”; ecco, credo di soffrire della stessa malattia.
Ma è una roba che non si cura, temo, nonostante la voglia di leggerezza, malgrado l’ironia.
E’ il binomio dramma e commedia che mi preoccupa, mi fa pensare a Woody Allen, nevroticamente fantastico.
Il problema è che da questa contraddizione in termini non mi salverebbero neanche trent’anni di psicoanalisi.
Azz…

Prima di salutarvi vorrei tanto lasciarvi un messaggio positivo, ma non ce l'ho. Sono la stessa cosa due messaggi negativi?

                                                                               W.A.

lunedì 28 ottobre 2013

Il mio periodo blu


Volevo i capelli blu, come Paula Maugeri nel suo momento blu, appunto. O come Lucia Bosè, una che a settantanove anni, quando i giochi sono per lo più fatti, se ne fotte del resto si tinge la testa di cobalto.

Non ricordo bene, ma credo che ho svenduto l’idea di farmi blu in cambio del mio primo tatuaggio.

E qui ce ne sarebbero di cose da dire sulle fragilità o i tentativi di rendere indelebile o eterni, spicchi di vita, incidendosi la pelle.

Ma se uno fotografa la realtà, scrive di luce, se uno si tatua, si rovina.

Comunque.

Comunque, a me quest’idea di essere bionda mi è proprio venuta a noia.

E poi c’è chi, carinamente, mi guarda e mi dice, per carità stai bene, ma ti preferisco mora.

E allora mi torna in mente la mia voglia di blu, che forse è solo la mia eterna monocromatica insoddisfatta inquietudine.

Poi penso a Daniele che, troverebbe sicuramente divertente il colore dei capelli di sua madre, almeno per i primi cinque minuti per poi chiedersi perché somiglia ogni giorno di più all’amica smemorata di Nemo…

"Com’è il profondo blu, Nemo?"

"Profondo e …blu".

Semplice.

 

martedì 22 ottobre 2013

Incantare gli occhi e far volare la mente


 
Al teatro Secci di Terni da fine Ottobre riprende la Stagione di Teatro per i ragazzi 2013-2014. E’ una rassegna rivolta all’infanzia e alla gioventù Teatro di domenica, rivolta alle famiglie. Una stagione di dieci spettacoli destinati ai bambini dai 3 ai 10 anni.

Dai 27 Ottobre al 9 Febbraio compagnie professioniste proveniente da tutta Italia daranno vita a dieci spettacoli di fiabe tradizionali o create, raccontate utilizzando diverse tecniche: dal teatro d’attore alla clowneria, dai burattini alle ombre, fino al video racconto.

Gli spettacoli hanno inizio alle 17.00 e gli spettacoli, del costo di euro 6,50, sono preceduti da laboratori creativi legati agli spettacoli, completamente gratuiti.

C’è un servizio di prevendita presso il Caos Centro Arti Opificio Siri nei giorni antecedenti agli spettacoli, dal martedì al sabato, oppure sono acquistabili direttamente prima dello spettacolo presso la segreteria.

Sono convinta che investire nella cultura di un bambino significa investire nella crescita di un uomo.

 

Per qualunque informazione:

Ufficio Cultura del Comune di Terni

Tel.0744.549725

0744.549706


Caos

Tel. 0744.285946

Fontemaggiore

 

Tel. 075.5289555

 

www.fontemaggiore.it

 

 

lunedì 21 ottobre 2013

Qualcosa di bello


Dondolano d’oro i riccioli gialli, biondi come lo zafferano, come il contenuto della pentola alla fine dell’arcobaleno. Oscillano lievi i passi, paghi d’amore, colmi.

La fiducia ha un nome, il mio.

Ho l’amore in bocca, nelle mani, nel cuore, nelle parole che trattengono i tuoi sorrisi.

Ieri siamo stati principe e Biancaneve, un cuscino per destriero, un bacio al risveglio.

L’odore piccolo della notte mi resta addosso, ci costruisco sopra il giorno. Talmente forte da sentirlo oltre la separazione.

Con gli occhi grandi mi saluti quando ti lascio in mani sicure.

Dimenticati di me e gioca. Dai nomi al sole, inventa sogni che accadono, calpesta fiori che rinascono. Fallo pure senza di me, senza colpa, con la purezza di una cosa buona.

Siamo sciocchi noi, mi dici, come Pippo, come l’amore che fa miracoli. Sì, siamo sciocchi.

 

C’era una volta, dici, c’era una volta e il lupo pensa, pensa, pensa. C’era una volta.

C’era una volta la tua mamma e tu eri nel suo cuore prima ancora che nella sua pancia.

C’era una volta qualcosa che somiglia alla bellezza che fissa il tempo e l’eternità nella forma di quello che sei.

E ti sto a guardare per ore, mentre dormi. Ti potrei raccontare ad occhi chiusi. Ti verrei a cercare ancora ed ancora. Prima di te mancava l’aria. Se avessi solo meno anni, cambierei la mia vita di ieri per avere solo più tempo da viverti accanto.

Cambierò l’amore mio viziato. Ora voglio solo guardarti.

 

 

mercoledì 16 ottobre 2013

Il postino non sempre suona due volte


Posto che, non è normale che un postino suoni alle otto di mattina alle case della gente, non credo sia normale neanche il fatto che mio figlio di due anni e mezzo mi chieda chi sia a quell’ora e, una volta appurato essere il postino, mi domandi se ci siano delle lettere per lui???

Ma forse sì, visto che, io, sua madre, gli ho chiesto se aspettasse missive da parte di Topolino…

 

Il padre, bravissima persona, vuole abbandonarci!

martedì 15 ottobre 2013

Non c'è spazio per il perdono


Esistono luoghi, non luoghi, e iperluoghi.

Nei primi lo spazio e il tempo si incontrano restituendo, fisicamente, valori territoriali, ambientali, umani.

I secondi, neutri per antonomasia, sono disinfettati da ogni connotazione identitaria e da ogni appartenenza ai contesti locali e perciò, standardizzati. Sono non luoghi i fast food, i centri commerciali, gli autogrill. Forse anche gli aeroporti. Negli ultimi anni si sono aggiunti alla lista gli iperluoghi: zone dove una pluralità di registri e di significazioni emergono attraverso un gioco di implicazioni e risonanze, di rimandi e di circolarità, attraverso un paziente lavoro di decodifica della realtà.
E poi, a mio avviso, ci dovrebbero essere spazi vuoti. Lande deserte. Prive.

Vuoti per materia, per volume. Vuoti per sentimenti, emozioni, valori.

Mentre impazza in ogni dove la polemica sui funerali del generale nazista diventando un caso che supera i confini nazionali e le dottrine religiose, con provocazioni, rifiuti, annunci e dietrofront, io penso che, da nessuna parte, sia il luogo giusto per contenere il male.

Qualcuno pensa che negare i funerali sia un sostituirsi a Dio e al suo giudizio, qualcuno che si può perdonare senza indulgenza, cosa diavolo voglia dire quel qualcuno me lo dovrebbe spiegare.

Credo che non ci possa essere spazio per il perdono in alcune situazioni. E saremmo degli ipocriti, dei falsi perbenisti benpensanti se credessimo nel perdono nei confronti di chi, a mio avviso, non può rivendicare alcun diritto.

La pietas è altra roba e non si può provare nei confronti del male, di chi lo incarna, di chi lo ha fatto di chi non se ne pente.

Ipocrita anche fingere di credere che il pentimento possa stingere il sangue o alleviare il dolore.

Se lo facessimo, anche la nostra indignazione perderebbe di credibilità.

Nessun luogo né per lui né per quelli come lui, tantomeno il vento che ha accolto le ceneri di chi lui ha ucciso.

venerdì 4 ottobre 2013

Vivere


La morte è più dura per chi resta che per chi se ne va. O forse no, ma nessuno è mai tornato indietro a raccontarcelo. Lo ha fatto solo una persona, ma era il figlio di Dio e il dato non è empiricamente ripetibile.

Sarà che il mio papà è morto quando ancora non avevo gli strumenti per gestire un vuoto così grande, che poi non si è mai davvero in grado di dire addio a chi si ama e poco conta l’età.

In “Lettera ad un bambino che è nato” scrivo che la difficoltà ad avere figli va oltre la capacità di procreare

E’ qualcosa che ha a che fare “con una diversa percezione del tempo. Con l’insostenibile peso del pensiero della fine. Il tempo che passa, inarrestabile, feroce, scorre verso qualcosa che non torna indietro, verso la vecchiaia, la morte. La mancanza di un figlio ti priva della possibilità di lasciare qualcosa di te, dopo di te, al mondo. Ti toglie il conforto di credere che a qualcosa sei servito. Tutto questo sarà pure frutto dell’egoismo, ma rende tollerabile e forse più umana, la prospettiva che la vita possiede una fine”.

E’ inesorabile il desiderio di lasciare qualcosa del nostro passaggio, che ci sopravviva, che attribuisca senso.

Socrate afferma che ogni uomo aspira all’immortalità e lo fa mettendo al mondo figli.

Figli fisici o spirituali.

“Ma chi sarebbero questi figli spirituali? Socrate sorride benevolo. Non esiste solo la fecondità del corpo, spiega. Anche l’anima può fecondare o venire ingravidata. Anche l’anima, proprio come il corpo, può eccitarsi davanti a ciò che sente bello e provare la pulsione irresistibile di procreare qualcosa che le sopravviva. L’amore è un’energia che si impossessa dell’amante e si esprime in una tensione creativa. Se invade il corpo, porta alla nascita di una creatura in carne e ossa. Ma se invade l’anima, genererà qualcos’altro. Genererà delle opere.

Di queste opere generate dall’amore non esisterà mai un catalogo completo, perché ciascuno di noi può apportarvi il suo contributo originale. Di sicuro il catalogo non si esaurisce con le creazioni artistiche, ma tocca ogni campo della vita. Una bella legge partorita da un politico virtuoso, riconosce Socrate, è anch’essa una figlia spirituale dell’amore (negli ultimi tempi ci deve essere stato un crollo drammatico delle nascite spirituali).

Cosa sta cercando di dire, anche all’uomo moderno, il genio di Platone? Una cosa semplice e formidabile: soltanto chi ama crea. Non importa l’oggetto verso cui si dirige l’energia creativa. Uno può amare una persona, un sogno, un ideale. Ma è veramente vivo soltanto se, e soltanto finché, ama qualcuno o qualcosa”.

Guardo i corpi senza vita restituiti dal mare inclemente, disgregati contro barriere invalicabili, mentre lo stomaco mi si contorce dal male. Le onde parlano una lingua triste, malgrado il sole della Sicilia ed il bianco della spiaggia dei conigli. E di nuovo tutto scorrerà, come l’acqua, come i giorni, diversi l’uno dall’altro, eterni nella loro ripetibilità.

Ma non sono ripetibili. Ogni istante è diverso da quello che lo precede, ogni momento buono per non essere rimpianto, ogni momento buono per morire sotto un cielo complice.

Tutti i  modi di dare amore,tutti i modi perché un po' di noi sopravviva, in tante persone diverse, nei geni e nelle anime, nelle mete, nelle passioni, nei sogni che sapremo inventare, placano il mio senso di angoscia davanti alla morte.

 Forse, non daremo mai un senso a quei corpi, o a quello dello scorrere del tempo senza un figlio, ma avremmo amato.

Simposio di Platone

(IV sec A.C.)

Il discorso di Socrate (III parte)

 

 Massimo Gramellini La Stampa

“Solo chi ama veramente è vivo”

martedì 1 ottobre 2013

Le femmine gnegne


Quelle che si fanno piacere gli hobby di lui pensando che siano anche i loro,

quelle che, meglio che l’aperitivo con l’amica lo prendono un’altra sera perché lui si dispiace a star solo,

quelle che, vogliamo stare un po’ soli, anche se convivono da dieci anni e si vedono tutti i giorni e tutte le sante notti,

quelle che, io e lui siamo una sola cosa,

quelle che non riescono ad avere un’idea propria e sono disposte a cambiarla se non coincide con quella di lui,

quelle che vivono all’ombra del proprio uomo,

quelle che c’hanno sempre qualche male o devono sempre far pipì,

quelle che va bene la dolcezza, ma no la devozione.

Mi capita di vedere in giro donne che a fianco dei propri compagni, cambiano personalità.

Prima erano intellettualmente vivaci, ora acconsentono, prima amavano la musica dance adesso sono interessate alla musica lirica, prima erano una brillante compagnia, ora si spalmano sui loro compagni che parlano e loro annuiscono.

Capisco che non sempre possiamo essere curiose, stimolanti, ambiziose, energiche, indipendenti, forti e ironiche, ma essere l’ombra del proprio uomo è immensamente triste.

La femmina gnegna mi frantuma i maroni.

Colpitemi in testa se divento così.