martedì 6 settembre 2016

La ragazza danese


Ieri sera ho visto The Danish Girl. O meglio, ne ho visto un pezzo. Poi ho dovuto ripiegare su Nemo, per la quindicesima volta, vista la presenza di mio figlio. Una volta addormentato, ho cercato il film in streaming, accontentandomi della versione inglese, davanti alla quale, salvo alcune pause forzate, ho chiuso gli occhi solo questa mattina. E il film, di occhi, mani, sguardi e scorse, ne è pieno.

 La ragazza danese è un film di trasformazione e di amore. Un film di testa che affronta, invece, la trasformazione del corpo prima e dell’animo poi. Probabilmente non in quest’ordine. La trasformazione di un uomo nato erroneamente dentro un corpo di donna, nei primi del ‘900 e l’amore incondizionato di sua moglie che, complice dell’emersione della parte femminile, lo accompagna lungo il viaggio verso una nuova identità, rinunciando a lui come uomo e come compagno. Un film poetico e doloroso.

Questa mattina, preparandomi per una giornata rognosa, il pensiero si avvinghia intorno al concetto di trasformazione. Più banalmente, come si cambia per non morire, come si cambia per ricominciare…

Le cose cambiano. Cambiano le stagioni, cambiano i giorni della settimana, cambiano le temperature, cambiamo noi, dentro e fuori. Basta osservare intorno le scene di vita quotidiana in costante, lenta o rapida trasformazione. Il concetto di cambiamento è un concetto molto democratico, piuttosto popolare. Vecchio come il mondo. Tutti lo vivono, nessuno escluso. Semmai, diverse sono le percezioni, le emozioni, le riflessioni che lo accompagnano. Tutta roba molto semplice. Resta atavico, invece, il dilemma che il cambiamento comporta: la paura del nuovo e la voglia di cimentarsi nell’affrontarlo. Il mondo e la storia sono pieni di archetipi che descrivono questa ambivalenza. Si cambia per necessità, si cambia per adattamento, si cambia per opportunità, si cambia per urgenza, si cambia per sopravvivenza. Lo fanno tutti, anche i serpenti. Lasciano la vecchia pelle per una nuova.

Tornando alla Ragazza danese, a colpirmi profondamente non è stato il coraggio del protagonista disposto, in un’epoca in cui la materia era ancora sperimentale e nel pieno del tabù culturale, ad affrontare la sua trasformazione, quanto, piuttosto, la forza della moglie nel supportare tale scelta, anteponendo il bene dell’altro, al suo. Perché si sa, se le trasformazioni, le crescite, i cambiamenti dei due elementi che compongono  la coppia, vanno nella stessa direzione, ci si unisce, altrimenti, ci si perde. E ritrovarsi, poi, è più difficile che perdersi da soli.

1 commento:

  1. oh sì. L'ho visto anch'io, anch'io mi sono persa l'inizio e anch'io ci ho pensato, lei mi ha colpito tanto. un bacio a te!

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