giovedì 28 marzo 2013

Il tempo del colore e dei jeans più stretti


Guardarmi. Non vedermi.

Non riconoscere quegli occhi stanchi.

Cerchiati, cambiati.

Meno luce, seppure luce intorno.

E’ capitato altre volte.

Ma mai così. Mai come adesso.

Un viso stanco, invecchiato, mi rimanda l’immagine di una me diversa che faccio fatica ad abbracciare.

Il naso, la bocca, i lineamenti, all’improvviso, sembrano non appartenermi.

Io che pensavo che la mia faccia fosse la parte migliore di me, il mio biglietto da visita, mentre il corpo variava al cambiare dei periodi e dei cicli, a volte più esile, altre volte meno, sbagliavo.

D’un tratto, il viso che ti accompagna ogni giorno da tanto a questa parte, ti molla, diventa diverso. Non sapresti dire come, in cosa è cambiato. Se siano le rughe intorno agli occhi, o la pelle più sottile della carta, o semplicemente il pallore. Sai solo che è così e tu non puoi che accettarlo perché nonostante la crema più costosa, il trattamento più profondo, il siero più energico, qualcosa è cambiato.

Saranno gli “anta”, la fatica, lo stress, la vita che serra, stringe, pressa, incalza dentro e fuori.

Non aspetta. Non si ferma. Le spalanchi le braccia e le vai incontro, con il cuore allargato perché è così che sfondi barriere e rendi il latte versato, nuvole per i passi di tuo figlio.

Ma ti senti liquido. Un liquido incolore.

 Un fluido che non ha una forma propria. Un liquido che prende la forma del recipiente in cui è versato.

Spalle ricurve, una schiena che non da tregua, contorni sempre meno decisi.

Sono stati anni intensi. Densi, colmi, assetati.

Anni vampiri.

Un lungo periodo in cui il tempo è diventato un usuraio.

Cercare mio figlio tra montagne e ormoni, trovarlo, accoglierlo, partorirlo, allattarlo, riprendere il lavoro, dormire poco, scrivere di noi, restituire al mondo la bellezza della luce di un neon da laboratorio e cercare di accarezzare il dolore altrui, diventare vegetariana, assumere impegni, amare, mi ha prosciugato.

E un mattino, lo specchio mi fa ricordo.

Ripensare di me. Del mio fisico, del mio viso, della taglia che veste quella che non sono, mi scavalca, relegandomi al margine di una me, vecchia.

Ho messo in giro tanta energia.

Ma devo fermarmi.

Guardarmi e non trovarmi, mi svuota.

Forse ho solo bisogno di verde, di mettere una tuta e ricominciare a correre. O a nuotare. Bracciata dopo bracciata dopo bracciata, verso il largo.

Ho bisogno di versare altro liquido per colmare di nuovo e ricominciare a drenare un corpo e un viso disseccato, consumato.

Ho bisogno di prati e margherite.

Di ricordare che sapore ha scoprirsi e non coprirsi.

Sentirsi nuovamente bella, malgrado lo sia già per gli uomini più importanti della tua vita, senza per questo, provare colpa.

 

  

 

venerdì 22 marzo 2013

Di case, fortuna e luce nel cuore


Adoro vedere case.

Sì, insomma, mi piace leggere gli annunci immobiliari e guardare cosa offre il mercato.

Ho sempre pensato che la “mia casa” quella fatta appositamente per me, dove i miei spazi mentali coincidono con quelli fisici, dove i muri perimetrano la mia fantasia, dove sentirmi veramente quella che sono, mi avrebbe trovato da sola, un giorno o l’altro.

 
Ho cambiato moltissime case, ho fatto molti traslochi legati a fasi della vita e di notte, chiudendo gli occhi, ho spesso ripercorso corridoi e stanze, dove sono cresciuta o dove, forse, ho lasciato pezzi di me. Poi, delle coincidenze strane si sono fatte tracce, segnali, come in una buffa caccia al tesoro. Così ho abitato per molto tempo in via XI Febbraio, data di nascita di mio padre, la casa di quello che era un caro amico che tanto mi piaceva è poi diventata la mia attuale casa, essendo diventato lui mio marito!

La casa dove andammo subito dopo la morte di mio padre, quella non l’ho mai amata, invece.

 

La mia casa ideale deve trovarsi nel centro storico della mia città, possibilmente vicina a quella dove vive la mia mamma, dovrebbe avere un giardino per il mio cane e possibilmente una terrazza, dove poter prendere un aperitivo con i miei amici.

La mia casa dovrebbe avere il camino nel soggiorno, uno spazio grande, dove mio figlio possa giocare senza i pericoli, due bagni e una vasca. Dovrebbe essere a piani sfalzati, che so, con degli scalini o dei tetti a mansarda, sbilenca come sono io, o spettinata, insomma non lineare, come le mie giornate e rallegrare le mie lune storte con la luce che entra dalle finestre grandi. Le travi a vista non guasterebbero né l’incontro tra uno spudorato stile moderno con deliziosi mattoni a vista. Resina o parquet di rovere sbiancato per terra, ovunque, e cucina a penisola, e bianco e lucido e una o due pareti colorate .

Possibilmente gradirei anche il mare davanti alla terrazza, ma ottenerlo mi sembra un pochino più difficile. Stesso dicasi per i delfini che mi danzano davanti al balcone.

Ci stiamo guardando intorno. Vuoi perché forse è il momento di comprare, anche se non è quello di vendere, vuoi perché non entriamo più dentro la nostra casa che, comunque, amiamo in modo viscerale.

Così quando un paio di giorni fa mio marito mi ha detto che aveva trovato un paio di case che voleva andare a vedere, sono rimasta sorpresa…e quando un agente immobiliare dall’aria schietta e dai buffi capelli è venuta a stimare la nostra casa, lui, proprietario dell’appartamento, mi è sembrato molto interessato ad un possibile cambiamento.

La nostra casa è una sua conquista, l’ha comparata da solo, senza l’aiuto di genitori o familiari, accollandosi un mutuo quando era ancora un ragazzo. Rinunciando a vacanze, cene con gli amici, discoteche. E l’ha fatto con il suo lavoro. Solo dopo sono subentrata io.

Così comprendo il suo legame per quelle mura, il suo affetto per quelle stanze, anche se a volte le sento piccole, lontane, distanti.

A volte, raramente, sento di non appartenervi, sento che non sono quelle giuste.

E allora sogno, allora penso che, un giorno, la cambierò.

Quando sarò grande!

Domani andremmo a vedere due case. Bellissime e forse abbordabili. Mangeremo pane e cipolle per il resto della vita, ma li mangeremo in terrazza, se tutto va bene.

Mi sento emozionata e allo stesso tempo preoccupata. Lui che è saldo e forte come la roccia, anche se il percorso intrapreso per arrivare a nostro figlio l’ha logorato non poco e che non è disposto, a differenza di me a fare un altro viaggio del genere, guardandomi mi ha detto: ”Sai la casa ha tre camere. Ci pensi? tre camere. Una per noi, una per Daniele e chissà, una se dovesse arrivare il secondo!”

Ed io ho pianto, da sola, nel nostro stretto bagno blu, sognando la fortuna.

 

 

mercoledì 20 marzo 2013

Obibo. Post sponsorizzato


Questo a fianco è George, o meglio è un bavaglino in silicone con la faccia da scimmia. Ma, siccome a casa mia, a causa di un cartone che vede protagonista una scimmia di nome George, per la proprietà transitiva, tutte le scimmie sono George, anche il bavaglino è diventato George.
O forse, lo è sempre stato.

Detto questo, George è uno dei bavaglini in silicone della linea Obibo di Pol & Cler che ho avuto il piacere di testare e la voglia di consigliare a tutte le mamme che fanno della praticità il leit motiv della loro vita.

Obibo è in silicone, quindi morbido, lavabile, naturale al 100%, non contiene BPA, lo puoi ficcare in lavatrice, è regolabile e semplicemente delizioso. Possiede anche una tasca in cui vanno, meravigliosamente a finire le briciole! E se, litigando, scappasse di lanciarlo, non farebbe male ad una mosca, tanto è legegro e soffice.

Tra le altre cose si trova dentro una scatolina e quindi si presta anche come dono per mamme in attesa o bimbi appena nati o svezzati da poco.

Per onestà intellettuale, sappiate che il vostro pargolo non mangerà porzioni più grandi di cibo con indosso il bavaglino Obibo. Ma sicuramente sporcherà di meno e voi impiegherete il tempo risparmiato in un’altra attività!

 

martedì 19 marzo 2013

Volevo fare le frittelle

Volevo fare le frittelle, quelle di san Giuseppe, quelle con il riso e l’alchèrmes che quando le friggi assumono un colore rosa dorato che mi ricordano tanto mia nonna.

Volevo mettere su il riso ieri sera per poi farlo bollire con il latte e poi farlo aromizzare tutta la notte con la vaniglia e oggi lanciarlo nell’olio dorato come una pepita in cerca di fortuna per festeggiare quella del papà di mio figlio, nonché mio compagno di vita.

Volevo affondare le mani dentro al baule dei ricordi e tirar su immagini blu, nostalgiche come l’indaco e il crepuscolo.

O vibranti come il crèmisi, e quelle tonalità di rosso, luminose e chiare che, contenendo componenti di blu, tendono lievemente al porpora del battito di un cuore.

Tirar su con il naso ad annusare ricordi, percezioni, dimensioni di figlia.

Sai, rompo ancora le cose come un tempo, le dimentico nei posti, le invento per poi abbandonarle perché mi annoiano.

Sai, ho cercato di non lasciarla mai sola, ho cercato di starle accanto.

Sai, ho fatte cose, ho perso cose.
Sai, c’è roba, tanta tra te e me, tra quella che ero quando mi hai lasciato e quella che sono, oggi.
E non parlo solo di anni, non parlo solo di giorni.
Parlo di tutta la vita che è corsa contro e incontro, trasformandomi.

Avrei potuto essere e invece sono. La tua bimba bruna di sempre.

Quella per cui, forse, ti si è fermato il cuore, per una schiena storta.

Ma è roba vecchia per ricordarne l’odore.

Sai, oggi c’è lui. E profuma di lavanda, di bucato appena steso. “Ricorda l’emozione di certe giornate di primavera, quando il cielo è così limpido che trattieni il fiato, perché un solo respiro potrebbe offuscarlo, svanendo improvvisamente, per sempre”.
Sai, ci sono “re, soldati, draghi e principesse. Il vento e il sole, il mare infinito, i tuoni e le saette e ciò che gli altri non potranno mai vedere.”. Ci sono limiti valicati.

Sai, l’ho stretto, bisbigliandoti all’orecchio che nessun posto ha confini che non si possano solcare. Sai, cerco di regalargli i sogni che cambieranno il suo mondo, rendendolo, spero, ogni giorno più forte.

Io lo so da dove mi sia nata l’idea di amarlo in questo modo bizzarro.

Lo abbiamo imparato insieme nel breve tempo che ci hanno concesso.

Troppo breve perché sia eterno, eppure esteso come il colore.

E l’immagine di te si è fermata a quando non eri vecchio, a quando le giornate si sono sospesa sul tuo viso.

Morire presto rende immortali, giovani. Blocca il tempo. Non c’è spazio per lo scontro, per il confronto. Perpetuo, imperituro. Leggenda.

Sai, ho dei tatuaggi indistruttibili, anche l’altro tuo figlio, mio fratello.

Sai, amiamo la fragilità delle nostre manie che fa della separazione, collante.

Se ti fermi e guardi giù ci vedi.
 
Volevo fare le frittelle, quelle di San Giuseppe, quelle rosa che sanno di nonna e di festa del papà.

 
 Mi sa che passo al forno e le compro.

Che tanto son buone uguali.

 

venerdì 15 marzo 2013

giovedì 14 marzo 2013

Francesco


Sono cattolica, a modo mio, ma non praticante, sempre a modo mio. Vado, entro, ringrazio e poi scappo via.

Temo di stare al cattolicesimo quanto una fettina di pancetta a un piatto vegetariano.

 

Credo nel Padre, nel Figlio e nella Donna che l’ha partorito, come nello Spirito. Me lo immagino tipo l’abbraccio di mio padre che non c’è più. Un abbraccio che calma e placa e manda via i mostri da sotto il letto.

Non credo invece negli uomini che cercano di impormi con forza le proprie idee, niente nella Chiesa come istituzione gerarchizzata di uomini affamati di potere.

Odio l’ipocrisia, la cupidigia, gli intrighi, il voler a tutti costi essere legati a un passato che, inesorabilmente cambia e con lui le esigenze della gente, i bisogni.

Eppure, ieri, davanti a quella folla, davanti a quel mare di gente, quando l’ho visto, ho pianto.

Per farvi capire: noi siamo di quelli che non battezzano il proprio figlio perché credono nel diritto di scegliere la religione in cui credere o non credere, nel diritto di scelta, a priori, senza imposizione alcuna.

Ma ieri sera, io ho stretto mio figlio e ho sperato che Lui lo benedisse.

E benedisse noi, e il cammino che avevamo fatto.

E per la prima volta nella mia vita, ho sentito, davanti ad un Papa, un’emozione che mi ha travolto.

Francesco, per me che sono Umbra, per me che ho Assisi vicino, ha un senso.

Ha un senso quella semplicità parlata, l’umiltà di gesti poveri, l’accento un po’ così, per me che adoro lo spagnolo.

Oggi, tra i tanti articoli letti, mi colpisce quello di Massimo Gremellini, perché dice le stesse cose che ci siamo detti io e mio marito ieri sera.

Noi urliamo allo stadio, non davanti al Papa.

Battiamo le mani a teatro, non ai funerali.

Non gridiamo ai comizi elettorali ma dietro le note di una canzone. Io in modo stonato.

Ma vedere quella folla afona, in silenzio davanti ad un uomo che parla come Maradona (lo abbiamo detto anche noi!) mi ha fatto bene al cuore e ho pensato che forse non eravamo così lontani, piuttosto eravamo vicini nello spirito, lungo lo stesso cammino.

 

Dal “Cantico delle Creature”

 

Altissimo, onnipotente, buon Signore

tue sono le lodi, la gloria e l'onore

ed ogni benedizione.

A te solo, Altissimo, si confanno,

e nessun uomo è degno di te.

Laudato sii, o mio Signore,

per tutte le creature,

specialmente per messer Frate Sole,

il quale porta il giorno che ci illumina

ed esso è bello e raggiante con grande splendore:

di te, Altissimo, porta significazione.

Laudato sii, o mio Signore,

per sora Luna e le Stelle:

in cielo le hai formate

limpide, belle e preziose.

Laudato sii, o mio Signore, per frate Vento e

per l'Aria, le Nuvole, il Cielo sereno ed ogni tempo

per il quale alle tue creature dai sostentamento.

Laudato sii, o mio Signore, per sora Acqua,

la quale è molto utile, umile, preziosa e casta.

Laudato sii, o mio Signore, per frate Fuoco,

con il quale ci illumini la notte:

ed esso è robusto, bello, forte e giocondo.

Laudato sii, o mio Signore, per nostra Madre Terra,

la quale ci sostenta e governa e

produce diversi frutti con coloriti fiori ed erba.

Laudato sii, o mio Signore,

per quelli che perdonano per amor tuo

e sopportano malattia e sofferenza.

Beati quelli che le sopporteranno in pace

perchè da te saranno incoronati.

Laudato sii, o mio Signore,

per nostra sora Morte corporale,

dalla quale nessun uomo vivente può scampare.

Guai a quelli che morranno nel peccato mortale.

Beati quelli che si troveranno nella tua volontà

poichè loro la morte non farà alcun male.

Laudate e benedite il Signore e ringraziatelo
e servitelo con grande umiltate.

                                                               San Francesco D’Assisi 1224.