Leggo su Style Magazine, rivista del Corriere della Sera, notizie
che fanno pensare e riflettere sul futuro dei nostri figli.
“Siamo in fondo alle classifiche dell’ottimismo mondiale. La
disoccupazione giovanile supera il 40%. La crisi cronica dell’imprenditoria
nazionale paralizza l’economia. Eppure, c’è una squadra di giovani talenti su
cui Wall Street e Forbes suggeriscono di puntare. Li cercano su Amazon, Yahoo e
le industrie globali.
Sono ragazzi sotto i 30 anni di basso profilo per niente snob
che già sono l’elite del domani”.
Indubbiamente, alcuni di loro hanno cognomi importanti, ma anche
cervelli non da poco.
Hanno talento e il coraggio di andarsene dall’Italia per cercare
di dare gambe ai loro progetti, magari per tornarci in un secondo momento.
Hanno genitori in gamba, capaci di lasciarli andare.
Perché per fortuna, intelligenza e volontà non sono distribuite
in base al reddito dei genitori.
Questi ragazzi hanno fatto, delle loro passioni, un lavoro.
Ed è questo il loro successo.
Hanno supportato una passione con master e studi specialistici,
ma poi, hanno deciso di fare un salto senza reti.
E a vent’anni se cadi, ti rialzi meno ammaccato di quanto non
saresti cadendo a trenta o a quaranta.
Spesso si inventano start up dal niente, hanno idee geniali che
nascono sul bordo di una piscina, o dentro uno spogliatoio dopo una partita di
calcetto o sul divano mentre giocano con l’ultima app dello smartphone. E
soprattutto, hanno qualcuno che crede nelle loro idee.
Perche ci vuole una certa qualità nel vedere il potenziale delle
persone. Specialmente quelle acerbe.
Ci vuole una sorta di abilità visionaria insieme al coraggio di
scommetterci su.
Su di noi, su noi genitori, noi famiglia, ricade il compito di
dare consigli professionali, orientando le loro scelte e comprendere, capire,
quali siano i loro talenti. Se ne hanno. Quali le loro passioni. Se sono capaci
di vivere di loro. E sostenerle.
Tuttavia, non dobbiamo prepararli solo a lavorare. Dobbiamo
prepararli a vivere.
Sembrerebbe, infatti, che il segreto del successo non si
esaurisca solo nella conoscenza, nella competenza specifica e aggiornata, ma
risieda in un mix di diversi elementi. Un insieme di fattori, una cultura
generale, letteraria, musicale, politica, usare il pc. Parlare almeno due
lingue, essere elegante, avere rapporti di amicizia, saper attrarre. In poche
parole, molti di noi si interrogano su quale sia il modo migliore per avviare il
proprio figlio al lavoro, ma pochi di noi si chiedono quale sia il modo
migliore per avviarlo alla vita.
Dentro la vita non c’è solo il lavoro. La competizione, l’essere
il migliore in un determinato settore. C’è lo svago, la cultura, i rapporti
affettivi, l’impegno sociale, la crescita civile.
Spesso, impauriti e terrorizzati dalla crisi economica che
opprime il mondo, ci focalizziamo solo su di una preoccupazione, se e quando, i
nostri figli troveranno lavoro.
E giù a cercare l’asilo migliore, la scuola per l’infanzia dove
insegnano i primi rudimenti delle lingue, quella elementare dove almeno se ne
parlino altre due, è via di questo passo, trasmettendo il messaggio che in una
società complessa devi essere competitivo, altrimenti soccombi.
Conosco quarantenni bravissimi nel loro lavoro, giovani rampanti
affamati di potere e successo, completamente incapaci nel gestire rapporti umani
decenti, relazioni che si avvalgono del minimo sindacale sentimentale, famiglie
con delle falle indecenti. Mi guardo intorno e vedo dipendenze di ogni tipo.
Affettive, dipendenze da cibo, dipendenze che nascondono malesseri di altro
tipo.
C’è un ricordo tenero e vero che gira nella mia famiglia.
Chiedendo a mio fratello, piccino, cosa volesse fare da grande,
lui rispose candidamente, il barbone.
Immagino volesse intendere una vita fatta di viaggi, senza
regole precise. Una vita di incontri, di spiagge e di tramonti. Di opportunità,
ben diversa da quella di un senza tetto.
Mia madre gli rispose che, se avesse voluto, avrebbe potuto
farlo, ma solo dopo essersi preso una laurea.
Fortunatamente di lauree ne ha prese due, diversi master e una
direzione giusta per il suo carattere. Inutile pensare quanto sia difficile
educare, quanto complicato dare il buon esempio, quanto faticoso dosare premi e
punizioni.
Io vorrei, vorrei più di ogni altra cosa riuscire a rendere mio
figlio libero. Libero di diventare quello che vorrà essere. Libero qualora
volesse un lavoro di soddisfazioni, oppure una famiglia serena ma un lavoro
semplice, o invece l’uno e l’altro. Libero di immaginare il suo futuro senza il
peso del fallimento, rispettando tutte le fasi della sua età.
Che sia capace di rispondere alle sue aspettative, non alle mie.
Che abbia il coraggio di essere felice.
Perché, come mi dice un’amica ritrovata, anche la felicità ha un
presupposto: ci devi lavorare molto e ci vuole coraggio per raggiungerla.
Abbiamo esattamente la stessa speranza per i nostri bimbi :)
RispondiEliminaUn abbraccio
Speranza e timore. Abbraccio a te.
EliminaChe bello questo post!!! Mi sono venuti in mente i colleghi americani con cui (volenti o nolenti) nella mia azienda siamo costretti a lavorare: sono spesso incapaci di ragionare in modo libero, di risolvere i problemi in modo fantasioso ed efficace, non si prendono nessuna responsabilità per quanto minima. I ragazzi italiani secondo me sono diversi, alcuni di loro hanno ancora qualcosa di prezioso che va al di là delle nozioni fine a se stesse. Spero che riusciremo ad educare i prossimi giovani mantenendo intatto questo "qualcosa" che li rende speciali! Se diventerò mamma, questo sarà uno dei miei obbiettivi!!!
RispondiEliminaHai centrato il punto. Quel qualcosa rende le persone, differenti.
Eliminaper fortuna abbiamo le stesse idee.
RispondiEliminail padre del mio compagno ha un po' condizionato le scelte dei figli il primo figlio non ha ascoltato fortunatamente e ora ha un ottimo lavoro che guadagna bene.
invece il mio compagno voleva che facesse quel lavoro ha ascoltato e ora ogni tanto a il rimorso che se avrebbe ascoltato il suo cuore, forse ora starebbe meglio ...
Lo capisco...
Eliminabellissimo post, profondo e intelligente...grazie!
RispondiEliminaIo ci penso e me ne frego del lavoro di domani, per ora, perchè non so dove sarà il mondo fra vent'anni. Penso a crescere un figlio consapevole, colto (latu sensu) e felice. Poi si vedrà.
Ci provo anche io. Non ti nascondo i timori. Ma non voglio che perda una parte che reputo fondamentale.
EliminaCi credo moltissimo anch'io. E difendo mio figlio strenuamente proprio sul fronte libertà.
RispondiEliminaInizio già a sentire attorno a lui (e in lui talvolta) il peso della performance, ossia eccessive aspettative sui suoi risultati, perchè per ora gli riesce fin troppo facile. Ma lui sa che non mi importa nulla dei voti e che quello che facciamo insieme adesso è costruire l'ossatura giusta che gli consentirà di diventare tutto ciò che vorrà. Voglio che ci creda con tutte le forze che i sogni possono essere trasformati in realtà perché a me hanno fatto credere il contrario e penso mi abbiano fatto un grande torto. Il pessimismo è ciò che tiene imbrigliato il futuro del nostro paese e davvero non capisco cosa ci troviamo di buono nel diffonderlo, non sono sciocca e vedo i problemi ma se guardiamo alla storia possiamo vedere che le grandi imprese non le ha fatte chi si rassegnava al buio.
Grazie Marzia per questo bellissimo commento. È esattamente di questo equilibrato ottimismo che i nostri figli hanno bisogno.
EliminaTi dico la verità. Io vorrei tornare ad avere 10 anni di meno, perché adesso avrei il coraggio che tempo fa non ho avuto di levare le tende. Ho dato fiducia al mio Paese, alle persone, alle possibilità e ho fatto male.
RispondiEliminaIo ne vorrei avere venti di meno. Ma forse non sarei dove dovevo essere.
EliminaCondivido quello che scrivi. Prima di tutto preparare alla vita, il lavoro non e' che uno degli aspetti.
RispondiEliminaCon PdC adolescente ti dico che pero devo mediare molto le mie convinzioni con la realta.
Ok essere nerd, ma mi ritrovo con un ragazzino che fino a ieri divorava ogni tipo di letteratura e stamattina mi ha detto candidamente "a me non piace leggere".
La scuola lascia il tempo che trova e sicuramente (salvo professioni di famiglia o sacri fuochi) di certo non e' il titolo di studio che fa molta differenza sul lavoro, oggi.
Pero', sinceramente, se ci mandano un cv ed hanno la terza media non li considerano neanche per pulir le scale.
L'equilibrio precario e' la mediazione tra tutto e non e' facile.
Se ascolti mio figlio l'unica vera passione e' lo sport. Quanti ci campano?
Bisogna per forza stare coi piedi per terra.
E dare tempo. Far maturare. Non mollar mai la presa.
Ed accettare che mica si raccoglie sempre quello che si e' seminato...
Hai ragione. Forse Mi Confronto Con Un Bimbo Di Neanche Tre Anni e non vedo ancora certi problemi. Come sempre è difficile mediare, orientare, dare consigli e indicarmi la strada perché scelgano la cosa migliore per loro stessi. Mestiere duro quello del genitore.
EliminaLa mia vita è tutta costruita intorno al concetto di libertà, che condivido con te. Così mi hanno cresciuta e così sto crescendo mio figlio!!
RispondiEliminaSono lontana dalla realtà italiana da quattro anni e non posso dare un giudizio concreto. Ma io ascolto e vorrei sentire altro!!
Sono felice di poter crescere mio figlio qui, ma vorrei la consapevolezza di poter tornare a casa una giorno, se volessi.
Ciao Raffaella. Arrivo dal blog di Marzia. Ho letto il tuo post con molto interesse, il tema mi tocca molto da vicino perchè come ogni mamma (di bimba trenne) mi interrogo spesso sulla questione libertà. Su come trasmettere alla mia piccola il senso di qursta parola senza...cadere nei luoghi comuni. Verrò a conoscerti meglio. Bel post davvero! A presto :-)
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