Claudia De Lillo, alias Elasti, mi piace tanto. Giornalista per
D di Repubblica e Reuters, blogger, scrittrice e mamma, forse una delle più
note del web, mi piace perché racconta “cose” con l’ironia tipica delle persone
intelligenti che nascondono la profondità nell’immediatezza e la sensibilità
tra le righe. Lascia sempre che l’emozione suscitata, resti lì appesa, tra un
sorriso abbozzato e una sacrosanta verità.
Un suo articolo “ Quanti imbarazzi bisogna vincere per crescere
bene” mi ha fatto riflettere su quanto sia difficile “liberarsi
progressivamente dagli imbarazzi, acquisire sicurezza, emanciparsi dal
pregiudizio altrui” in poche parole, accettarsi.
Claudia descrive il bisogno di normalità di suo figlio,
adolescente. Quel concetto di normalità, astratto e senza senso, proprio di
chi, trovandosi in quella zona relazionamente persa, aspira all’invisibilità,
alla trasparenza, all’uniformità ad un branco che dia sicurezza.
Il concetto di normalità”tanto rassicurante, quanto astratto e
inesistente, è un’ambizione legittima dell’infanzia e dell’adolescenza, perché crescere,
è un’attività impegnativa, insidiosa, che necessità anonimato più che le luci
della ribalta”.
Poi, Claudia descrive gli imbarazzi vissuti da adolescente, le
cose per cui provava vergogna e dalle quali, in fondo, nessuno si emancipa mai,
del tutto.
“Io, da ragazzina, mi vergognavo di avere genitori separati, di
chiedere informazioni per la strada, di uscire di casa con il mascara, e,
qualche anno più tardi, di uscire di casa, senza, di ammettere di non avere
fatto né la cresima, né la comunione, di rivelare le mie origini ebraiche, di
dire che mia nonna era comunista, di interagire con le commesse dei negozi di
abbigliamento, di chiedere scusi dove è il bagno? di indossare scarpe che
mostrassero le dita dei piedi, di comprare gli assorbenti, di stare al
mondo…Poi la vita si complica da sola, anno dopo anno,senza bisogno di paturnie auto inflitte”.
Così si cresce, si impara la giusta dose di sicurezza per
scoprire le dita dei piedi, comprare gli assorbenti, mettere gli occhiali,
anche se rimane sempre un certo disagio, nell’indossarli.
Questa cosa dei piedi mi ha fatto molto ridere, perché per anni ho
nascosto i miei, senza un reale motivo.
Da ragazzina sono state molte le cose per cui ho provato
imbarazzo. Una schiena con la scoliosi, un gesso, un busto, un seno grande, un
senso di inadeguatezza latente. Mi vergognavo di essere poco interessante o esserlo troppo, di
chiedere informazioni, di essere foglio bianco su cui dover scrivere. Di essere
triste, di non avere mio padre.
Quella vergogna e quell’ansia di normalità, le ho incontrate la
prima volta lungo il ponte che trasporta dall’infanzia all’età adulta. Mi sono
appoggiata ai lati negativi di una zona di passaggio e transitorietà, provando
crisi e disagio che ho combattuto, vincendo e perdendo a fase alterne.
A volte, quando le mie fragilità mi inchiodano davanti a specchi
nudi, prendono di nuovo forma, aggredendomi come allora.
“Cercate
di fare i normali” chiede il figlio di Claudia, perché imbarazzato da tutto
quello che non controlla.
Ed è
difficile controllare un corpo che cambia, ormoni che scalpitano, la vita che
pulsa. E’ difficile contenere l’imprevedibile.
Mi
viene in mente quella storia sul passare del tempo: che a venti anni te le
prendi perché o sei troppo o troppo poco, a trenta, pure, a quaranta lo
accetti, a cinquanta ti ci abitui, a sessanta interroghi di meno, a settanta,
non ti interroghi più, a ottanta te ne fotti e ridi.
Non
so se sia davvero così.
Mia
mamma mi dice che soffre ogni giorno nel vedere che gli anni consumano la sua
vita ed il suo corpo, anche se non perde troppo tempo a crogiolarsi.
E allora
quello che hai invocato più di ogni altra cosa nell’adolescenza, la normalità e
l’invisibilità, è invece, proprio quello che speri non lasciare dietro di te.
Ti
auguri, invece, di essere stato a tuo modo, unico, speciale, almeno per
qualcuno, almeno per chi ti ha amato.
Se
solo avessi saputo che, chi mi ama, ama anche i mei piedi, avrei messo molti,
ma molti più sandali.
Forse,
nelle mie giornate sì, li avrei messi anche se chi mi vuol bene, non li avesse
amati.
La più sorprendente
scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non
posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.
La grande bellezza.
Bellissimo post! Mi hai fatto tornare in mente tutte le mie paure, le mie ansie e quella voglia di invisibilità che ha caratterizzato gli anni della mia adolescenza.
RispondiEliminaPresente all'appello...e porto sandali solo da pochi anni!
EliminaIdem. E quante volte ho dovuto rassicurare genitori e adolescenti in allarme per le loro paure, che nove volte su dieci spariscono come arrivano.
RispondiEliminaAnch'io ho cercato spesso di essere invisibile, pensavo fosse per la presenza di due genitori ingombranti perché attorno a me vedevo molti coetanei pieni di voglia di mostrarsi ... ma forse era solo un diverso modo di reagire all'imbarazzo, mettendo una maschera.
RispondiEliminaMia madre mi chiamava nel bel mezzo della notte, mentre io ero intenta a godermela con i miei amici, quando tardavo di 5 minuti sull'orario di rientro stabilito. Un trauma adolescenziale che dubito sarò mai in grado di suprare!
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