venerdì 30 maggio 2014

Maledetta zanzara


E ti ritrovi a pensare, nel cuore della notte, perché una zanzara ti tiene sveglia da minuti, che sei forse, a metà della strada. Che certi giorni non torneranno indietro e quelli nuovi saranno pieni di scommesse e anche di incognite. Che le persone che ami diventeranno eco e che tu non sei pronta. Che la storia che sei, le forme, i contorni, sono meno precisi.

Un po’ come i profili delle  facce dei nonni di peppa pig, che sono rosa chiaro e sbordati a differenza di quello della piccola maiala.

Che forse dovresti smettere di indossare jeans strappati e scarpe basse e iniziare a darti un tono o quantomeno iniziare ad indossare abiti più consoni ad un’over quaranta.

E ti ritrovi a pensare che fine abbia fatto quella tua vecchia compagna di scuola o quella che, ha un figlio piccolo come te e  ogni venerdì la ritovi ai bordi di una piscina a guardare incredula come te, il suo miracolo che nuota.  E quell’acqua ti fa ricordare tutte le vasche fatte per raddrizzare una schiena storta,  luoghi lontani, silenzi ed erogatori,  coralli e squali.

E ti ci vorresti tuffare tutta vestita, perché il richiamo è più grande della bega di doverti poi asciugare gli strani capelli che hai, ma poi ti prenderebbero per matta. Non sbagliando di tanto.
Che figura.

E resti ferma immobile, sperando di riprendere sonno, grata per quello che hai e al tempo stesso, irrequieta.

Che poi c’hai la lacrima facile e non sai perché. Piangi perché lui ti guarda in un certo modo, o perché non ti guarda, o perché vedi dormire padre e figlio nella stessa identica posizione e ti senti un’imbecille perché pensi, che cavolo c’hai da piangere?

Piangi perché quei bimbi scuri hanno raggiunto i loro genitori dall’altra parte del mondo, perché altri li stanno ancora aspettando, perché ti girano, maledetta zanzara.

Perché leggi Susibita così, e lei scrive quello che tu pensi, che però, non hai saputo scrivere e lacrimi davanti a tanta poesia. Che è tanta roba, che è tanto amore, che ti senti pure un po’ strappare dentro:

“Io non lo so quand'è che è più giusto aspettare, quando lasciare.
So che valgono entrambe, a un certo punto, ma in punti diversi.
Forse lo senti, quando un bambino comincia a far finta di credere. Forse te lo fa capire.
Quel momento in cui ascolta più dentro di sé che non le tue labbra che gli parlano.
Quello in cui ha ancora bisogno di credere di non farcela senza di te, ma più che altro fa finta e ci gira attorno.
O forse lo senti tu, dentro di te, che stai facendo finta, che te la stai raccontando.
E lo sai, o non lo sai, o non lo vuoi, o sei rassegnata ad accettarlo ma non ad ammetterlo, che lui sta già spingendo, su quei pedali.
E fila via, dritto, senza cadere”.


 

4 commenti:

  1. Hei, grazie! come sei gentile. Mi fa piacere che abbiamo (anche) questo in comune. Peccato però che abbia causato una strage di pianto...;)
    Io ora mi do una regolata, e scrivo un post cazzaro, tanto per rimediare.
    Grazie ancora della citazione, un abbraccio!

    Susibita

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  2. Grazie per questa segnalazione. Piango.

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